Letteratura

Un racconto dell’estremo Sud con eco faulkneriana – Omar Di Monopoli al Collegio Borromeo

Il discostamento dal proprio territorio natio e dalle proprie radici e la scoperta sperimentale di una nuova terra custodiscono spesso la chiave necessaria per poter in seguito valicare nuovamente i confini patri con una accresciuta consapevolezza ed una più ampia capacità di visione.

Dedizione, ambizione, costanza volte al consolidamento di un’abilità e al conseguimento di determinati obiettivi accrescono la miriade di possibilità latenti che si stagliano dinnanzi all’individuo. In tal modo si scorgono talvolta nuovi interessi ai quali un’intrinseca passione induce a donarsi totalmente e visceralmente per darvi compimento.

In apertura della conferenza di giovedì 9 maggio dedicata allo scrittore salentino Omar Di Monopoli e mediata dall’alunno Lorenzo Blasi, l’ospite, stimolato dal suggestivo ambiente dell’Almo Collegio Borromeo, teatro dell’incontro, si abbandona al ricordo dei suoi anni universitari bolognesi, quando principale motore dei suoi studi era l’aspirazione a diventare fumettista, alimentata tramite la diffusione in ateneo di storielle da lui disegnate e sceneggiate. La scoperta del fascino della parola e il prevalere della penna sul pennello costituiscono una conquista successiva, favorita dal suo ritorno alle origini e dall’influenza su di lui esercitata dallo scrittore modernista statunitense William Faulkner, esponente del modello narrativo del southern-gothic, al quale Di Monopoli guarderà a titolo esemplificativo nelle sue trasposizioni visceralmente italiane. Esordendo nel solco della scrittura romanzesca con la trilogia neo-western costituita da Uomini e cani, Ferro e fuoco e La legge di Fonzi, Di Monopoli erge la sua Puglia primigenia a luogo universale e scenario prediletto nel quale si muovono i suoi personaggi, verosimilmente ispirati a figure reali radicate nella realtà meridionale e malavitosa. Ad orientare tale scelta si rivela l’idea del “campo di battaglia omerico”, consistente nell’individuare nel meridione la cornice primaria all’interno della quale si svilupperebbe il quadro globale e articolato delle passioni: principio personalmente percepito dallo scrittore pugliese sotto forma però di mero amalgama sensoriale e che, proprio all’incontro con Faulkner, deve una sua più compiuta articolazione verbale. Mafia, razzismo, presenza invasiva di industrie siderurgiche rappresentano le ferite secolari, alcune delle quali lacerano l’estremo sud periferico del Salento dai tempi della questione meridionale, che Di Monopoli mette in evidenza all’interno delle sue opere, incaricandosi, con coraggio e sincerità e perfetta consapevolezza del proprio ruolo corale e comunicativo di imprimere una riflessione politica e sociale; di indurre il lettore ad adottare una posizione e maturare una coscienza civica, instaurando con lui un rapporto di corresponsabilità; di lanciare una sfida, la cui vittoria consista nella capacità di estrapolare bellezza dal mondo circostante, quella bellezza che travalica dalle pagine dei romanzi Di Monopoliani con straordinario slancio vitale, soffocando la nequizia degradante degli abitanti e sovrastando il lascito umano di una estrema discarica di macerie.

Nell’atto di citare alcuni altri autori assurti a modello dal romanziere colpisce, oltre a quelli di Pavese, di Verga, il nome di Fenoglio, grande scrittore della Resistenza langarola, particolarmente significativo per il registro linguistico personalissimo ed originalissimo da lui adottato, frutto della commistione tra un italiano spesso spiccatamente dialettale con l’inglese. Anche per quanto concerne l’autore meridionale notevole suggestione si sprigiona dalla lingua: una sorta di dialetto-koinè privo di un reale e concretamente individuabile appiglio geografico, bensì miscela di elementi poliedrici e miscellanei, finalizzata a soddisfare l’ambizione motrice di ogni scrittore di inventare un proprio mezzo linguistico. In seguito all’approdo a Adelphi, avvenuto nel 2017 con il volume Nella perfida terra di Dio, Omar racconta dell’innovativa collaborazione con un consulente linguistico, trampolino per lui alla volta di una maggiore libertà glottologica ed espressiva e, al medesimo tempo, accrescitiva dell’esercizio artistico implicito nella creazione di un’opera.

Autore di una prosa aulica debitrice di una visione poetica, Di Monopoli disdegna l’adozione di “etichette” che pretendano di instaurare una distinzione tra una cosiddetta letteratura di genere ed una altamente culturale, in vista di una concezione unitaria ed irripetibile della produzione letteraria. «Considero l’esperienza artistica unica ed incompleta: ho scoperto di non detenere verità, ma la ricchezza e valore del mio mestiere risiede esattamente nella mancanza di certezze assolute e inconfutabili, poiché, nel momento in cui si accorge di non possedere risposte, l’essere umano persiste nel porsi interrogativi e non è mai dimentico della propria inesorabile condizione di caducità e finitudine. L’arte è un’esperienza interrogativa ed io, in quanto scrittore, custode delle domande che essa produce».

 

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