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«I colori […] li pretendo». Omosessualità e letteratura.

«Oppure ti poteva capitare di nascere “oltre cortina”: in Germania dell’Est o in Bulgaria, e di vivere tutta l’infanzia e l’adolescenza in grigio: senza colori senza pubblicità, com’erano i Paesi del Patto di Varsavia. Oddio, senza pubblicità forse non sarebbe stato poi così male, se avete presente il livello medio di uno spot italiano. Ma i colori, quelli no, li voglio; di più: li pretendo».

La voce che pronuncia queste parole proviene dal romanzo Tutta colpa di Miguel Bosé – Storia di un bambino metrosessuale di Sciltian Gastaldi (ed. Fazi, 2010). È la voce del narratore, il più piccolo dei figli della famiglia Chiericato (un nome parlante, avvolto da un’aura di vistosa ironia), che ci racconta vizi, virtù e, soprattutto, contraddizioni di una tipica famiglia italiana tra gli anni ’70 e ’90. Attraverso una prosa brillante, irriverente, in grado di tenere desta l’attenzione del lettore, Sciltian Gastaldi costruisce personaggi umoristico-comici, in grado di sollevare profonde riflessioni. Personaggi come Eugenio Chiericato, fratello del protagonista, neofascista che finirà per sposare un’afro-americana, oppure il pater (così viene quasi sempre indicato il capostipite di questa bizzarra famiglia), personaggio dall’integerrima morale cattolica che finirà per prendere parte, insieme al figlio e al compagno di questi, al World Gay Pride di Roma del 2000, evento storico con il quale si conclude il romanzo.

Il 17 maggio è la giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia. Una giornata dedicata all’importanza della diversità (categoria che andrebbe ampiamente discussa, ma che diamo quale postulato già assodato del discorso), alla necessità di non aver paura di una realtà che appare lontana, eccentrica, che, soprattutto, spaventa alcuni o che altri riempiono di pregiudizi e luoghi comuni. Ricordiamo tutto questo, qui, con i libri, perché «leggere un libro non è uscire dal mondo, ma entrare nel mondo attraverso un altro ingresso» (secondo Fabrizio Caramagna).

alexis-yourcenar-letteraturaLa nostra identità, capire chi siamo, guardarci dentro senza annegare, ma riemergendo con consapevolezza. Queste parole identificano un processo che, quando e se si verifica, a prescindere dalla sfera della sessualità, non è facile compiere. Non lo è per Alexis, protagonista di Alexis o il trattato della lotta vana (opera di Marguerite Yourcenar ed. Feltrinelli, 2013; la prima è del 1929) in cui egli, volendo uscire dall’ipocrisia della vita che si è costruito, decide di abbandonare la moglie. Al momento di dirle addio, le scrive una lunga lettera (che costituisce poi l’intero racconto) in cui spiega le ragioni del suo distacco e al contempo chiamandola a testimone della lotta vana che ha condotto contro la propria omosessualità. Il protagonista del romanzo non sembra una personalità vincente. Poterebbe leggersi nel suo agire una rappresentazione della psicologia di un vinto dal mondo borghese che lo circonda. Ma nel momento in cui egli riconosce sé stesso, dopo una profonda ricerca interiore, che si dipana sotto gli occhi del lettore, risulta al contrario un vincente, perché rinuncia alla menzogna, accetta una verità per gli altri scomoda e si dirige verso la sua vita. Come dichiara a Monique (la moglie),egli è conscio che bisogna sapere «se un’anima inquieta non sia meglio di una addormentata». Alexis abbraccia l’inquietudine della sua diversità per vivere, rinuncia a un “dormire” che suona quasi come un “morire”. E in fondo, già nel titolo, Marguerite Yourcenar ci ricorda quanto sia vana una lotta contro la propria natura.

Modello dell’opera della Yourcenar (eloquente in tal senso il titolo) è il Traité du vain désir di André Gide. La prolifica penna di Gide ha dato vita a personaggi che possono considerarsi fratelli di Alexis, con il quale condividono la stessa natura. Dal protagonista de L’immoralista (1902), passando per La porta stretta (1909), arrivando a Corydon. Opera di lunghissima gestazione editoriale, pubblicata per la prima volta nel 1911, in dodici esemplari (per sé e per le conoscenze più intime), Corydon è un dialogo socratico (l’eco di Platone e, in generale, della letteratura classica è già nel nome del personaggio, nome di memoria virgiliana) tra un indefinito relatore che intervista Corydon intorno al tema dell’omosessualità. Nei panni di questo personaggio, Gide si abbandona a una lunga riflessione per sostenere che a nulla può servire la negazione di certi impulsi. «Prima di cercare di ridurli [gli impulsi] e addomesticarli importa comprenderli perfettamente, poiché gran parte delle disarmonie delle quali ci troviamo patire sono soltanto apparenti, dovute esclusivamente errori di interpretazione».

Il tormento interiore di Alexis e Corydon e, rispettivamente, della Yourcenar e di Gide, è presentato prevalentemente come momento interno, riflessione sul sé dentro sé. Certamente un “tu” a cui rivolgersi compare, poiché siamo di fronte a una lettera, che presuppone per sua natura un destinatario, e a un dialogo. Tuttavia sono, Monique ed il relatore, interlocutori “deboli”, quasi silenziosi.

lettera-padre-omosessuale-figlia-scalise-letteraturaAnche Daniele Scalise sceglie di scrivere una lettera. In Lettera di un padre omosessuale alla figlia (ed. Rizzoli, 2008), egli ripercorre le tappe della propria presa di coscienza, del proprio coming out, per restituirle in un racconto alla figlia. È davvero lei, la destinataria della lettera? Certamente lo è in veste formale (compare un saluto di congedo a lei rivolto) e non solo, ma, senza cadere troppo in errore, possiamo dire che è una lettera per tutti, poiché tutti ne sono destinatari. Infatti, a tal proposito, l’autore sceglie di ripercorrere per tappe rilevanti i momenti salienti della storia omosessuale, come il processo ad Aldo Braibanti del 1968, o il delitto di Matthew Shepard del 1998, o i “fatti di Giarre” che hanno determinato la nascita di Arcigay. Senza la pretesa o volontà di dare vita a un manuale, con i dovuti limiti di genere (letterario), il lavoro di Scalise appare anche questo, un compendio di fatti che la penna di molti spesso colloca in secondo piano o ignora. L’autore mette davanti un “momento esterno” (opposto al momento interno di cui sopra), in cui la vita individuale, di Daniele Scalise, diventa la storia di una collettività, al punto che, talvolta, all’interlocutore (la figlia) egli si rivolge con un “noi” e non con un “io”. Va anche notato che l’opera, in certi punti, assume un tono confessionale. Non nel senso comune, ma in quello etimologico, per il quale “confessione” è prima di tutto un “dichiarare con forza, con ogni parte di sé” (cum + fateor).

Le opere in cui compare l’omosessualità sono numerose. Volendo fornire alcuni spunti di lettura, possiamo ricordare Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust, Angeli da un’ala soltanto di Sciltian Gastaldi, La morte a Venezia di Thomas Mann, I turbamenti del giovane Törless di Robert Musil, Come sarei felice – Storia con padre di Tommaso Giartosio, Sei come sei di Melania G. Mazzucco. Sono lavori cronologicamente distanti fra loro, diversi per genere letterario (l’opera di Giartosio è una raccolta di liriche, diversamente dalle altre che sono tutte prose) e per trattamento della tematica omoerotica, ma che possono fornire interessanti prospettive e nuovi sguardi.

«Vogliamo avere una vita banale, vogliamo litigare su chi fa la spesa e su chi cambia i pannolini, vogliamo discutere ai pranzi domenicali, vogliamo alzarci di notte perché nostro figlio ha fatto un brutto sogno e dobbiamo rassicurarlo, vogliamo ereditare dai nostri partner e lasciarli eredi del poco o del tanto che abbiamo, vogliamo disporre della nostra pensione anche quando saremo morti e lasciarla a chi ci è stato vicino, vogliamo che in nostra assenza chi ci sopravvive non debba vagare alla ricerca di una casa, vogliamo che i nostri rapporti siano normalizzati dalla norma perché non siamo tutti ricchi stilisti di moda, artisti affermati, registi potenti, scrittori di successo, ballerini dell’Opera. Siamo anche soprattutto impiegati, insegnanti, operai, sfigati, disoccupati, precari, professionisti, camerieri. Siamo gente qualunque, senza maggiori o minori qualità di tutti gli altri, ma senza diritti.» (da Lettera di un padre omosessuale alla figlia).

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«The Critics», di Henry Scott Tuke, 1927.

Tommaso Romano

Redattore per «Inchiostro». Studente di «Antichità Classiche e Orientali» presso l’Università di Pavia, è appassionato di troppa roba. Cento ne pensa, cento ne fa, cento ne scrive (o vorrebbe).

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