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“Il gatto nero” di Poe e Dario Argento

Chiamarli “maestri del terrore” è riduttivo. D’altronde hanno segnato la loro epoca: uno con la penna e l’altro dietro la cinepresa.

La fama di Edgar Allan Poe per la sua personalità va di pari passo con la fama delle sue opere : l’ossessione per la morte e l’alcolismo hanno segnato la vita travagliata di quello che è stato il padre della letteratura dell’orroreDario Argento, uno dei più noti e importanti registi del cinema thrilling, ha tenuto incollata allo schermo del cinema un’intera generazione con film come Profondo Rosso o Suspiria.

Certamente due figure interessanti che ognuno di noi conosce di nome. Ma forse non tutti sanno che c’è qualcosa, o per meglio dire un animale, che li lega: un gatto nero.

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Racconto breve del 1843 che aiutò Edgar Allan Poe a farsi conoscere come autore, Il gatto nero racconta la storia in prima persona di un assassino che vuole mettere per iscritto quelli che per lui sono solo una “prevedibile successione di cause ed effetti, del tutto naturali”, ossia la paura di un gatto nero sfociata nell’omicidio di sua moglie, nascosta poi nel muro della loro casa. Una storia inquietante questa di Poe che solo un amante dell’orrore come Argento avrebbe potuto omaggiare. Così, negli anni ’90, dirige il secondo episodio di Due occhi diabolici, film condiviso con l’altro maestro del cinema horror, Romero, il quale si ispirò al racconto La verità sul caso Valdermar, sempre di Poe. La pellicola non fu un successo e la critica espresse opinioni molto contrastanti, anche se va per la maggiore l’idea che Il gatto nero fu uno degli ultimi capolavori di Dario Argento. La storia è abbastanza fedele alla trama originale, malgrado il contesto sia diverso, in una metropoli in pieno stile nineties.

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Quello che lega subito le due opere è la frase iniziale del film, con la quale il protagonista (un magistrale Harvey Keitel) si esprime sulla Perversità. Sì, con la maiuscola, perché secondo Poe questo “spirito” governa l’uomo tanto quanto il Bene e il Male, o forse anche di più. “Chi non si è scoperto, cento volte nell’atto di commettere un’azione spregevole o stolta, a ciò indotto dalla sola ragione che, come ben sapeva, non doveva farla?” si chiederà retoricamente il protagonista del libro. E proprio così, nei primi 2 minuti del film, si vede Roderick Usher (chiara citazione al famosissimo racconto la La caduta della casa degli Usher di Poe), MEOW1il fotografo protagonista, scattare con morbosa e inquietante passione delle foto ad un cadavere per la cronaca nera. Il corpo della vittima è tagliato in due da un grande pendolo, tanto per citare nuovamente Poe e il suo racconto Il pozzo e il pendolo. Molto più approfondito da Argento è il personaggio della moglie, che però per Poe ha un altro tipo di rilevanza: aiuta a dare l’aspetto di una storia “domestica”, come spiega l’assassino all’inizio del racconto. Ed è questa l’idea che sta alla base degli horror/thriller/gialli di tutti i secoli, far nascere il dubbio che “potrebbe succedere anche a me”. Questo faceva paura e fa ancora paura: la quotidianità. C’è anche molta superstizione dietro questo racconto, elemento anche attuale: basti pensare a quanti di noi cambierebbero strada pur di evitare un gatto nero. Argento gioca con questo luogo comune e ci presenta una moglie dai capelli rossi e dalla pelle bianchissima, una papabile strega, così come ce la mostra nel sogno allucinato di Roderick, mentre lui viene impalato ad una forca per l’assassinio del gatto.MV5BOTY5ZGIxN2YtYzFjNS00NWNmLWFjZDktMjY5MTI4YWYyNzI2XkEyXkFqcGdeQXVyMjUyNDk2ODc@._V1_SX1777_CR0,0,1777,999_AL_

Eppure, nonostante le scene cruente e splatter, molto care al regista, quello che spaventa di più è l’evoluzione del protagonista nel corso della storia: ogni minuto più gelido, più insensibile, più perverso. Proprio sulla follia giocava il racconto di Poe e Argento accoglie a braccia aperte l’approfondimento psicologico che lo scrittore compie meravigliosamente in questa sua opera: la paura è nella follia omicida, nel sadismo, non nell’azione in sé. Certamente la scena dell’uccisione del gatto nel film è abbastanza inquietante ma, come nel racconto, sono proprio la freddezza e l’apatia con le quali uccide il gatto che destano terrore. Aldilà dei numerosi riferimenti a Poe e ai suoi racconti, Dario Argento manterrà nel film le sue tipiche atmosfere ricche di tensione e la costante del colore rosso, che appare in ogni scena in un oggetto come in una luce, sotto le quali vesti si nasconde quel destino di morte che avvolge tutti i personaggi. Così come segnato è il destino dei protagonisti, che pur di provare il gusto di averla fatta franca faranno trapelare la verità e saranno condannati entrambi a morire.

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