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Solo è un cinecomic

Sono molte le domande alle quali Solo: A Star Wars Story doveva rispondere prima ancora della sua uscita; domande che ricordano molto da vicino delle accuse preventive e che spaziavano da “Alden Heinrich sarà all’altezza di Harrison Ford?” a “c’era davvero bisogno di un film su Han Solo?” Questioni di non facile risposta, nemmeno per chi ha visto il discusso film di Ron Howard. Già, ma dove finirà il film dei congedati Phil Lord e Chris Miller (che comunque figurano come produttori esecutivi) e inizia quello di Howard? Come vedete, a non stare attenti, si rischia di rimanere intrappolati in un vortice gravitazionale di domande senza risposta.

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Cominciamo col mettere in chiaro una cosa: Solo non è Rogue One. A differenza del suo predecessore, infatti, Solo attinge da una mitologia già nota e da personaggi già formati e pertanto si trattava di un rischio enorme perché voleva dire scontentare potenzialmente non una ma due (e quasi tre) generazioni di fan. Ma non basta: quello che forse allo spettatore casuale può sfuggire è che, prima della acquisizione da parte della Disney della Lucasfilm, esistevano già delle origini “canoniche” del personaggio di Han Solo (ampiamente narrate in libri e fumetti) e vedersi ribaltare, anche solo parzialmente come in questo caso, il vecchio credo può risultare a taluni indigesto a priori. Le possibilità di successo quindi erano scarse già in partenza. Ma alla Disney, si sa, non interessano i pronostici.

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Dicevamo che Solo è diverso da Rogue One e una delle maggiori differenze tra i due sta proprio nei rispettivi punti di forza: se infatti il film di Gareth Edwards puntava tutto o quasi sulla storia, Solo invece punta tutto sui personaggi, principalmente il protagonista e la sua cerchia. Diciamolo subito, Alden Heinrich è un bravo Han Solo, carismatico, convincente, a tratti tenero e forse è proprio questa sua tenerezza a distanziarlo maggiormente dall’interpretazione “fordiana” che si reggeva paradossalmente sul poco interesse dello stesso Ford per il personaggio. Heinrich invece ce la mette tutta per regalarci un Solo duro ma buono (non solo dentro), accentuando quindi quelle caratteristiche che hanno reso celebre il personaggio nel ’77 e che qui risultano credibili in una versione di dieci anni più giovane. Bravo anche Woody Harrelson nei panni di Tobias Beckett, una sorta di mentore per il giovane Han, e alla cui interpretazione si deve buona parte del tono western dell’intero film. Ma Solo non dimentica la sua provenienza e difatti c’è spazio anche per la guerra. Sebbene, infatti, la parte bellica sia appena accennata soltanto nel primo atto, l’atmosfera caotica ivi descritta è perfetta per raccontare il primo incontro tra Han e Ciube. Ma il vero cuore del film sono gli inseguimenti; a terra o nello spazio, la regia di Howard, non sorprendentemente, brilla di riusciti virtuosismi, che ricordano, specialmente nella scena del treno, alcuni fotogrammi del suo Rush, confermando l’abilità del regista di creazione e gestione dello spazio dinamico.

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Ma a brillare più di tutti sono i personaggi “secondari” di Lando Calrissian e L3-37. Se il primo vince, letteralmente, a mani basse sfruttando tutto il carisma dell’animale mediatico Donald Glover (perfettamente a suo agio nel ruolo), la seconda è forse la sfida più coraggiosa di tutto il film: la fisicità e il fascino di una bellezza statuaria come quella di Phoebe Waller-Bridge è qui saggiamente sacrificata per risaltare il carattere rivoluzionario e a tratti marxista di un droide mai visto prima in Star Wars. Credeteci o no, è più facile innamorarsi in questo film di L3 che di Qi’ra, una sempre splendida Emilia Clarke, il cui personaggio, però, non riesce mai a trasmettere quello spessore che ci aspetteremmo da una prima fiamma del celebre contrabbandiere. Per non parlare poi del mono espressivo Paul Bettany, la cui interpretazione e ruolo di Dryden Vos, boss di un sindacato criminale, risulta quasi superflua.

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Difficile dire se ci fosse bisogno effettivamente di un film su Han Solo, ma, se ce lo chiedessimo davvero, dovremmo a questo punto estendere il dubbio anche a Rogue One e in maniera più radicale a tutti i film della saga. Ad ogni modo, Solo è un buon film, divertente, ispirato e nel finale sorprendente. Proprio la sorpresa del finale unita all’importanza della caratterizzazione dei protagonisti, alle relazioni e gli scambi di battute tra i vari personaggi, avvicinano molto questo film a un genere che ormai possiamo definire a ragione un cugino di primo di grado di Star Wars. Solo è un cinecomic e lo si capisce anche dai molteplici riferimenti, sparsi qua e là, all’Universo Esteso della saga (e sì, anche a quello fumettistico e animato). Solo è un cinecomic, e forse è anche un po’ colpa nostra e dei nostri gusti ormai molto prevedibili. Per questo motivo Solo potrebbe deludere leggermente chi si aspettava un èpos di impostazione più tradizionale o una storia di guerra tipo Rogue One. Niente di tutto questo, Solo è un film, così come il suo personaggio, diretto e concreto, senza per questo disdegnare qualche momento di sana riflessione, ma sempre pronto a sparare per primo nei momenti di tensione. Perché sì, Han spara per primo.

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