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Guardiani della Galassia è lo Star Wars di questa generazione?

Nel suo libro Il mondo secondo Star Wars Cass Sunstein afferma che “Star Wars è come la Gioconda di Leonardo – famosissima e di indiscutibile bellezza, ma beneficiaria di una norma culturale (<<questo lo devi vedere>>) che era lontana dall’essere inevitabile”[1]. Chissà se tra trent’anni si potrà dire la stessa cosa dei Guardiani della Galassia di James Gunn. Quello che è certo è che la saga con protagonisti Star Lord, Rocket Raccoon e soci sta ricevendo un consenso di critica e pubblico straordinario e c’è già chi parla di instant cult. Un destino non troppo dissimile da quello della saga cosmica per antonomasia di George Lucas, che a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 marchiò a fuoco (di spada laser) non solo il destino della famiglia Skywalker, ma anche quello di un’intera generazione di spettatori, tra i quali, è verosimile pensare ci fosse anche un giovane James Gunn. Personaggi carismatici, scenografie mozzafiato, battute memorabili, effetti visivi all’avanguardia e forse anche quella fortunata “norma culturale” di cui sopra. Proviamo a confrontare le due saghe nel dettaglio.

Giovani eroi sperduti

Entrambe le saghe hanno per protagonisti uno sparuto gruppo di personaggi riuniti assieme dal fato (in Star Wars) o dal caso (Guardiani della Galassia). Ognuno, con caratteristiche peculiari e moventi personali, intreccia con gli altri un percorso imprevedibile che li porterà a compiere un viaggio tanto esteriore quanto interiore. Ma nella saga lucasiana, impregnata dell’estetica di Joseph Campbell, sono evidenti i richiami alle saghe eroiche medievali e all’epos classico e presto o tardi ogni personaggio dovrà fare i conti con una “Forza” più grande di loro. Inoltre ogni personaggio incarna uno stereotipo dell’eroe positivo che si contrappone al male assoluto. Luke, Leia e Han sono a loro modo portatori di quella “speranza” della quale non solo la galassia ma anche il mondo intero sentiva la mancanza negli anni della Austerity e della Guerra in Vietnam. I protagonisti della saga Marvel invece non sono eroi positivi e speranzosi, ma egoisti, narcisisti e in alcuni casi pure criminali. Sintomo, verrebbe da pensare, di una società più disillusa che storce il naso di fronte ai grandi idealismi dei decenni precedenti e preferisce invece figure dissacranti, confuse e disagiate. E se era la speranza il tema portante di Star Wars, in Guardiani della Galassia e senz’altro l’ottimismo, bonario e leggero ma non banale, che fa da sfondo alla formazione di un atipico nucleo familiare (questo, non a caso, è anche un classico tema Disney). Saghe agli antipodi? Forse, eppure entrambe, su sfondi galattici, descrivono chiaramente lo Zeitgeist alla quale appartengono senza apparentemente averne la pretesa.

Galassie lontane e vicine

Se la saga di Star Wars si svolge in una “galassia lontana, lontana…” quella dei Guardiani è ambientata invece in una galassia molto più vicina o comunque familiare. Una galassia attraversata da pirati in giacca di pelle, poliziotti interstellari, e fanatici col martello. È uno spazio pieno di pericoli ma anche di opportunità per chi sa coglierle. Forse più che lo spazio, quello dei Guardiani è un oceano sterminato eppure riconoscibile, soprattutto per chi non è a digiuno del materiale cartaceo originale. Quello di Star Wars invece è uno spazio decisamente più ostile, dilaniato da continue guerre e varcato da impressionanti incrociatori imperiali che solcano i cieli di Tatooine per riprendersi i piani della Morte Nera. Ma basti anche confrontare le effettive scene orbitali dell’una e dell’altra saga. Se in Star Wars lo spazio è scuro, buio e a perdita d’occhio, quello dei Guardiani è intervallato da sfumature di colori accesi e caldi. Nel secondo capitolo si arriva addirittura a uno spazio psichedelico e coloratissimo. Più che una Galassia sembra una scenografia di un film dei Beatles. D’altro canto quello di Star Wars è monocromatico e monotematico. E il tema è quasi sempre la guerra. In questo caso forse non bisogna parlare di Zeitgeist ma di vere e proprie ambientazioni differenti per storie differenti. Quella di Lucas è di fatto una saga fantasy ambientata nello spazio. Quella di Gunn è una saga spaziale contornata da fantasie.

“Io sono tuo padre” anzi no

Sarà un caso, ma entrambe le saghe nei loro secondi capitoli hanno un momento “io sono tuo padre” nei quali la storia prende una svolta irreversibile. Ma se in Star Wars quel momento è l’inizio di una lenta e sofferta riconciliazione tra i due Skywalker, nei Guardiani della Galassia lo stesso momento dà il via (allerta spoiler) a una serie di eventi che culmineranno nel rifiuto totale del figlio verso il padre e a un vero e proprio conflitto. In Star Wars lo scontro padre/figlio riassume lo scontro tra due diverse visioni di esistenza, una improntata sull’ordine e la disciplina l’altra sulla libertà e l’autodeterminazione. Più forzatamente si potrebbe vedere, se pensiamo agli anni in cui uscì la trilogia classica, a una metafora dello scontro tra la l’ultima generazione che aveva vissuto la guerra e la prima che aveva trovato la pace (ma ripeto potrebbe suonare un po’ forzato). Sicuramente però la conclusione, conciliante in tutti i sensi, riequilibra e riappacifica le due parti così che il padre possa salvare il figlio e il figlio redimere il padre. È uno scontro edipico nel quale però ha la meglio, ancora una volta, la speranza. Star-Lord invece è ben poco propenso a redimere il padre e anzi la ribellione è totale e letteralmente distruttiva. Se quindi, nella generazione precedente, la figura paterna era imponente ma profondamente salvifica, in quella attuale assistiamo a una decostruzione della stessa. Una decostruzione della finta, soffocante e opportunistica apprensione che cela una natura egoista, egocentrica e egomaniaca di certi padri non presenti.

I suoni dello spazio

Infine non può mancare una riflessione sulle musiche e le colonne sonore delle due saghe. Ora, è indubbio che le composizioni di John Williams siano insuperabili. Questo James Gunn lo sa bene e non prova neanche a entrare nella competizione. No, semplicemente lui contrappone alle sinfonie perfette dei titoli di testa e della marcia imperiale una attenta selezione di musica rock e pop, guarda caso proprio del periodo a cavallo tra gli anni ’70 e ’80. Quasi a voler dire “a ciascuno il suo”. Certo a una prima riflessione la scelta di Gunn può sembrare una comoda ed elegante scappatoia per risolvere velocemente la questione colonna sonora. Invece a ben guardare si tratta di una scelta di stile non meno onesta dell’originalità delle musiche di Williams. Se infatti mostri ed effetti speciali tengono incollati allo schermo gli spettatori più giovani, le canzoni di Blue Swede e Norman Greenbaum provocano un indiscutibile effetto nostalgia in quelli più vecchi, andando così a creare l’ambiente perfetto per far conciliare, lucasianamente parlando, padri (e madri) e figli. Ma sia chiaro: la marcia imperiale non la batte nessuno.

Gunn erede di Lucas?

Senza troppi giri di parole rispondiamo subito alla domanda che ha dato il via al confronto: no. Gunn non è l’erede di Lucas e per tutta una serie di motivi, a cominciare dalle dimensioni narratologiche delle due saghe. Quando si dice che Star Wars è una saga cosmica non ci si riferisce solo all’ambientazione ma più che altro alla vastità delle tematiche che abbraccia. Guardiani della Galassia invece è una saga molto più piccola e con minori pretese. Eppure ambedue hanno saputo ritagliarsi uno spazio tutto loro nel saturo panorama del genere al quale appartengono: fantascienza la prima e cinecomic la seconda. E bisogna riconoscerlo. Per Gunn fare qualcosa di originale in questo particolare momento storico è stato molto più difficile di quanto non lo fosse per Lucas. Entrambe hanno segnato un’epoca e hanno brillato. Ma, a parte queste convergenze, non si può parlare di un’eredità. Anche perché un’eredità di questo tipo comporterebbe dei doveri non indifferenti. No, Guardiani della Galassia è forse figlio di Star Wars ma non l’erede. Un figlio libero, allegro e scanzonato, perso nel suo walkman e nella sua musica, che si allontana da un padre importante per cercare in piena indipendenza la sua strada. Un figlio che inevitabilmente porta con sé i segni tipici di una parentela difficile da nascondere ma che non sfoggia nemmeno, perché in fondo è un figlio un po’ ribelle. Un figlio però che nella sua strada non può fare a meno qualche volta di voltarsi indietro per ricordare da dove viene. E nei momenti di dubbio sentirsi dire “Io sono tuo padre”.

Opere citate

Sunstein, C. R. (2016). Il mondo secondo Star Wars. Milano: Università Bocconi Editore.

[1] (Sunstein, 2016)

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