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Il ritratto di Paolino

Non-storia di un papero sfortunato al posto nostro

Il mio primo ricordo legato al personaggio di Paperino risale al 1996. Avevo quattro anni e il VHS “Paperino 60 anni in allegria” era riprodotto in loop sullo schermo del mastodontico, almeno lo sembrava allora, televisore Sony a tubo catodico del nostro salotto. Il primo corto contenuto nella cassetta, “Paperino compie gli anni” (Donald’s Happy Birthday), ritraeva una vicenda tra le più inflazionate del panorama comico già per quel tempo, il 1949: l’equivoco tra le due parti in gioco e la conclusione risolutiva per assurdo. Eppure, la regia di Jack Hannah e il lavoro dei padri dell’animazione Bob Carlson, Jack Boyd, Volus Jones e Bill Justice aveva reso ancora più appetibile e inaspettatamente nuovo uno degli espedienti narrativi più antichi, contribuendo a un dibattito eterno tanto estetico quanto fenomenologico, argomentato a colpi di autori e storie e conclusosi, guarda caso, ancora una volta nell’assurdo: esiste la sfortuna?

Di fatto Donald Duck nacque 15 anni prima sulle Silly Symphonies, ma sarà solo nei 20 anni successivi che prenderà forma la Sfortuna, vero e proprio personaggio invisibile che accompagnerà il protagonista piumato nelle sue disavventure tragicomiche. Laddove infatti Mickey Mouse si apprestava a diventare l’aspirazione massima possibile dell’uomo, l’incarnazione della simpatia e dell’ingegno tutta americana e Goofy l’emblema della più verginale ingenuità, Donald Duck assunse su di sé tutto il resto, tutto ciò che il maschio bianco degli anni 50 non voleva che apparisse di lui ma che profondamente sapeva di essere. Paperino è un ritratto, senza sorprese, dell’uomo medio ma ai più sfugge la relazione tra noi e quel ritratto che col tempo, e a mio avviso, ha assunto tratti sempre più vari e diversificati fino a rendere quel papero quasi irriconoscibile eppure inequivocabilmente iconico.

Si consideri tanto per cominciare la natura intrinsecamente realistica del personaggio: Paperino è un bipede non implume e, al di là di tutto, artefice del proprio destino. Non sono negate a lui, come comunemente si pensa, caratteristiche positive, come la curiosità, l’intraprendenza e una buona dose di perseveranza, sovrapponibile non raramente a una dannosa cocciutaggine. Puntualmente, tuttavia, nessuna di queste caratteristiche basta a salvarlo dalle sventure di cui sovente egli stesso è la causa prima. Si pensi al sopracitato corto del ’49, dove Paperino, da bravo tutore di Qui, Quo, Qua, si impegna a salvaguardare i risparmi dei nipotini dalla loro presunta “spendaccioneria”, salvo poi scoprire che i ragazzi altro non volevano fare che comprargli un regalo di compleanno. O ancora, si consideri “Paperino e la goccia” (Drip Drippy Donald) dell’anno precedente e negli ultimi anni diventato anche un meme di successo. In esso il nostro lotta invano contro un lavandino difettoso nel cuore della notte e sarà costretto a ricorrere a demenziali stratagemmi prima di impazzire definitivamente. Nelle suo oltre 140 apparizioni animate (più del suo collega roditore), tra film e corti, il ritratto di Paperino che ne esce è quello di un testardo individualista in guerra con le avversità del caso (o del caos).  L’espediente comico consiste nel rendere sempre più sottile il confine tra “caso” e “causa” mettendo in dubbio la natura metafisica stessa della sfortuna e suggerendo una visione ancora più pessimistica che, parafrasando Hobbes, potremmo definire “L’uomo è il papero di sé stesso”.

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Di diversa ma complementare natura è il Paperino fumettistico e di questo dobbiamo ringraziare, nell’ordine, Carl Barks e Don Rosa. Generalmente si attribuisce ad Al Taliaferro la genesi fumettistica di Paperino ma sarà solo con Carl Barks che quello dei paperi diventerà un vero e proprio universo mitologico con collegamenti intertestuali, citazioni, riferimenti alla storia reale e pure una sapiente critica sociologica. Del primo vogliamo ricordare “Paperino e l’amuleto del cugino Gastone” (Gladstone’s Terrible Secret) del 1952. Paperino e i nipotini sono indignati dalla continua buona sorte del cugino Gastone e scelgono di pedinarlo per capire (e carpire) il suo segreto. Si convincono che all’interno di una cassaforte del cugino si celi un amuleto magico responsabile della sua buona sorte. Con amarezza scopriranno al suo interno un misero nichelino, frutto di un lavoro onesto, cosa di cui Gastone si vergognava moltissimo. Di Don Rosa invece è difficile scegliere una storia in particolare ma certamente è grazie lui che si deve il consolidamento di un “Paperino precario”, vittima dei soprusi di un capitalista avido e crudele ma (forse) profondamente buono. Quello del “precario sfortunato” è forse il ritratto di maggior successo di Paperino e non a caso quello meglio trasposto nel nostro paese grazie ad autori e disegnatori come Guido Martina, Romano Scarpa e Giorgio Cavazzano. Certo non mancano differenze tra le due versioni italiana e statunitense. Se infatti quello originale è un Paperino precario ma non di sinistra, dato che non cerca alcun tipo di riscatto, personale o sociale e non raramente disdegna bassezze e scorciatoie, quello italiano è un eroe più positivo o almeno meno fantozziano. Non a caso è proprio in Italia che avviene il suo graduale riscatto da antieroe a eroe passando prima per Paperinik, poi PK e infine l’agente segreto Doubleduck.

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Di Don Rosa forse è il caso di ricordare una storia mai pubblicata del 1970 e di fatto la sua primissima storia in collaborazione con Ray Foushee. “Ritorno a Paperopoli” (Return to Duckburg) ha preceduto di almeno 16 anni le grandi storie crepuscolari, ovvero quelle storie che immaginano un futuro, il più delle volte negativo, dei grandi personaggi dei fumetti. In essa è narrato il tragico destino di molti personaggi iconici Disney. Topolino muore in Tibet inseguendo Gambadilegno, Pippo diventa un alcolizzato, Nonna Papera arrostisce Ciccio e Gastone muore alla roulette russa. In tutto questo Qui, Quo, Qua vengono riaffidati a loro padre, Daffy Duck e Paperino medita pensieri di vendetta nei confronti dello zio. Basti questo piccolo gioiellino a capire perché Paperino, al di là del fascino di certi destini futuribili, non possa mai uscire dal limbo dell’eterno presente al quale sono condannati un po’ tutti i grandi personaggi immaginari. Ma a Paperino abbiamo chiesto qualcosa di più: abbiamo chiesto di fungere da ritratto per tutte le nostre disavventure e disgrazie. Gli abbiamo chiesto di assumersi il peso della sfortuna al posto nostro, un po’, se vogliamo, come ha fatto Dorian Gray col suo dipinto. Quello di Paolino Paperino è un dipinto senza forma ma con un unico tratto, volto a delineare i contorni della sfortuna che, da 84 anni ormai (lo scorso 9 giugno), ci delizia con nuove interessanti prospettive sulla natura della malasorte, senza mai giungere a una risposta risolutiva salvo forse solo una: niente in letteratura è più fortunato della narrazione della sfortuna.

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