Università

Seconda stella a destra, poi dritto fino al mattino

di Leyla Tanzi e Matteo Miglietta

 

A settembre il ventisettenne Norman Zarcone, dottorando presso l’Università di Palermo, si è suicidato per la mancanza di prospettive future di lavoro nell’ambito dell’università. Senza dubbio si tratta di un gesto estremo, sintomatico, però, di una situazione giunta ormai all’esasperazione. Abbiamo voluto capire quali fossero i pareri e i pensieri di chi, come Norman, subisce, forse più di altri, le conseguenze di questa riforma: i dottorandi. Cercando di ottenere un panorama che fosse il più completo possibile, abbiamo ascoltato le voci dei dottorandi di diverse facoltà del nostro ateneo e quello che segue è quanto è emerso dalle nostre interviste.
Comune a tutti sembra essere la percezione dell’assenza di prospettive future all’interno di un’università sempre meno in grado di garantire fondi, strutture e servizi a chi dovrebbe, con il suo lavoro, permetterne la sopravvivenza. Diversi sono i modi d’approcciarsi a questo cambiamento, collegati alla facoltà d’appartenenza ma anche all’indole personale: c’è chi, come Corinna Carrara (dottoranda in Procedura Penale), scorge il lato meritocratico della crisi, in grado di far emergere chi s’impegna a superare gli ostacoli e raggiungere il proprio obiettivo. Ma ci sono anche quelli che, come Alessandro Caiani (dottorando in Scienze Economiche), denunciano una mancanza di collaborazione fra le componenti studentesche, che dovrebbero tentare di arginare una situazione di precarietà strutturale non solo dell’università, ma della società nel suo complesso. L’assenza di prospettive nel nostro Paese spinge molti a considerare l’esperienza oltreconfine come una delle poche possibilità di restare legati alla ricerca e all’università. Marco Canale (dottorando in Procedura Civile) crede addirittura che il successo degli studenti italiani all’estero debba essere motivo d’orgoglio per il loro ateneo di provenienza e che, anzi, l’università italiana dovrebbe stimolare maggiormente l’affluenza di stranieri all’interno del proprio circuito, in modo da creare una realtà meno provinciale.
A subire le maggiori conseguenze dei tagli sono sicuramente gli studenti delle facoltà umanistiche, in possesso di una cultura “che non produce”, non più spendibile sul mercato del lavoro. È questo il pensiero di Matteo Grilli (dottorando in Storia), che con rammarico confida di essere fra quelli che, disponendo dei giusti mezzi, non esiterebbe ad abbandonare il Paese. “L’alternativa sarebbe fare l’impiegato delle Poste –continua Matteo-, ma non è quello per cui ho studiato e per cui ho investito tempo e denaro”. Ma se all’estero il valore del dottorato italiano è riconosciuto da tutti, vuol dire che ciò che si fa in Italia ha un’importanza di primo livello. L’assurdità sta nel fatto che sia più facile che se ne accorgano al di là delle Alpi. É questo il pensiero di Dimitri Domenichella (dottorando in Lettere Moderne) al quale fa eco la voce di Emmanuela Corbè (anche lei dottoranda in Lettere Moderne) che aggiunge: “si continua a sentir parlare di meritocrazia, ma bisogna vedere in che modo i meriti di ciascuno verranno riconosciuti. Ad esempio, giudicare il valore di un ricercatore in base alle sue pubblicazioni all’estero per noi che studiamo italianistica non ha senso. Inoltre sarebbe assurdo mettere sullo stesso livello un articolo su rivista e l’edizione critica di un’opera sulla quale una persona ha lavorato per anni”.

La consapevolezza del fatto che gli studi accademici debbano essere sostenuti da una forte passione, e non solo dalle prospettive future di lavoro, è evidente nelle parole di Alessandro Caiani: “la cultura è un importante baluardo della società democratica, non possiamo considerarla soltanto in termini economici”. Se questo avvenisse, anche la semplice iscrizione all’università sarebbe una scelta del tutto errata dal momento che lascia in possesso di un “pezzo di carta straccia”, che molto spesso è anche d’intralcio per poter svolgere lavori che richiedono un titolo di studio inferiore. Secondo Alessandro è necessario mobilitarsi contro “un DDL che smantella completamente l’università” avendo come obiettivo la transizione verso il modello fallimentare Bocconi, che tuttavia compare solo al 69° posto nelle classifiche mondiali, nonostante disponga di finanziamenti neanche lontanamente paragonabili a quelli dell’università pubblica”. Bisogna però abbandonare l’idea che con il dottorato si abbia diritto a intraprendere una carriera accademica, evitando che lo stesso diventi una semplice tappa attraverso la quale, persone in età da lavoro, trovino il modo più agevole per continuare a studiare. Così Corinna Carrara esprime la sua perplessità nei confronti di coloro che decidono di spingersi tanto avanti nel loro percorso di studi senza contemplare la possibilità di non riuscire a entrare nel mondo accademico. “Mi rendo conto che la situazione sia mortificante per chi ha come unico obiettivo la realtà universitaria, ma non è possibile che a 25 anni una persona non abbia un piano B e un piano C riguardo il proprio futuro”.

Il padre di Norman Zarcone ha affermato: “I docenti ai quali si era rivolto mio figlio gli avevano detto chiaramente che non avrebbe avuto un futuro nell’ateneo. E sono certo che saranno favoriti i soliti raccomandati”. Il signor Zarcone non sembra essere l’unico a pensarla in questo modo; è infatti ormai idea diffusa e comune che in Italia la raccomandazione abbia spesso la meglio sulla meritocrazia. Matteo Grilli, nonostante affermi di non avere assistito a palesi scorrettezze durante il suo concorso di dottorato, nota che ci sia comunque una tendenza ad accettare studenti laureati presso l’università in cui il concorso stesso viene bandito. Ancora più amare sono le considerazioni di Alessandro Caiani, che mettono in luce come oggi, in Italia, il problema della raccomandazione sia evidente e sotto gli occhi di tutti, al punto che “se non hai un professore che ti fa da chioccia non vai da nessuna parte”. Non sempre, però, questa situazione viene considerata in termini negativi. Secondo Corinna Carrara l’università dovrebbe esser maggiormente proiettata verso il mondo del lavoro dove, i colloqui, sono sempre influenzati dal parere dei dirigenti aziendali. Allo stesso modo in università “è giusto che i colloqui siano influenzati dal parere del docente, che conosce il candidato e sa come lavora”. La questione delle “spintarelle” non sembra però interessare né la facoltà di Giurisprudenza né quella di Lettere. “Il problema ora sarà che -aggiunge Dimitri Domenichella- se fino a questo momento per legge gli atenei erano obbligati a garantire un rapporto 1:1 fra dottorati con e senza borsa, con l’approvazione del DDL Gelmini questa regola verrà cancellata”. Ciò significa che saranno sempre di più gli studenti che dovranno intraprendere il loro dottorato senza la garanzia economica di una borsa di studio. È ovvio che la situazione andrà a discapito di chi non può permettersi di abitare lontano dalla sua città d’origine senza avere un introito finanziario. In poche parole il dottorato, come l’università in generale, sarà sempre più una cosa per ricchi. Tutti i ragazzi che abbiamo ascoltato riconoscono la loro situazione di privilegio rispetto ai tanti lavoratori che, sottoposti a orari ben più duri e stressanti, riescono a ottenere lo stesso quantitativo di denaro. Nelle loro parole, tuttavia, si percepisce tutta la frustrazione di chi sta cercando in ogni modo di seguire una passione, senza che i propri sforzi vengano riconosciuti dalla società che li circonda. “Ciò che ci sta tenendo a galla fino ad ora -conclude Emmanuela Corbé- è la solidarietà civile: i professori sono sempre stati onesti con noi ammettendo la mancanza di fondi e cercando di attivare una rete d’aiuto reciproco. Stiamo cercando di mettere le pezze dove riusciamo e molti in questo periodo stanno lavorando anche gratuitamente per consentire alla didattica di andare avanti. Certamente è sbagliato che alle persone non venga riconosciuto il lavoro svolto, ma quantomeno è un bel gesto. Vuol dire che c’è ancora chi tiene davvero all’università”.

Riportiamo ora le prime righe dell’inchiesta parallela che hanno svolto i nostri amici di Step1, periodico telematico dell’Università di Catania, sulle stesse tematiche da noi trattate: i dottorandi.
Post lauream /Viaggio tra gli studenti di dottorato di ricerca a Catania, dopo la tragedia del suicidio di Norman Zarcone a Palermo. Speranze, determinazione, consapevolezza, ma anche critiche al sistema. Le opinioni dei professori Gallo e Cantone.

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