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Recensione / Bella addormentata

di Erica Gazzoldi

Dalla Mostra del Cinema di Venezia, è approdato anche a Pavia. Bella addormentata di Marco Bellocchio non ha vinto il Leone d’Oro. Tuttavia, il direttore della fotografia, Daniele Ciprì, è anche regista di È stato il figlio, cui è andato il premio per il Miglior Contributo Tecnico. Inoltre, il cast annovera Fabrizio Falco, vincitore del Premio Marcello Mastroianni per gli attori emergenti. Anche senza questi riconoscimenti, però, la portata contenutistica del film sarebbe stata evidente. È un’analisi dell’Italia, “bella addormentata” nel politicamente corretto.
L’ultima proiezione pavese ha avuto luogo il 26 settembre 2012, presso il Politeama. Il restante cinematografo di Pavia centrale non demorde, dopo la chiusura del Corallo-Ritz.
Gli ultimi giorni di Eluana Englaro s’insinuano nelle vite dei personaggi, attraverso ormai familiari spezzoni di notiziari. C’è chi è, proprio malgrado, arbitro della vicenda. Il Sen. Uliano Beffardi (Toni Servillo), per esempio. La “ragion di partito” vorrebbe che lui votasse a favore della legge che impedirebbe la sospensione di alimentazione e idratazione ai pazienti in stato vegetativo. Una pantomima, di fatto, perché gli stessi berlusconiani sanno che si tratta d’una mossa tardiva. Ma Uliano non se la sente di giocare con la propria coscienza. Lo ammonisce la memoria della moglie, che lo aveva pregato d’interrompere la sua sofferenza. Un gesto che Uliano non ha ancora potuto spiegare alla figlia Maria (Alba Rohrwacher). Lei, nel frattempo, si trova davanti alla clinica dove Eluana va spegnendosi, con altri manifestanti pro-life. Di fronte, lo schieramento opposto. Maria incontra così Roberto (Michele Riondino) e il fratello Pipino (Fabrizio Falco). Col primo, la ragazza condivide la preoccupazione per l’altro giovane, incapace di controllare le proprie esaltazioni. Anche Pipino è angosciato: un altro malato senza speranza. E angosciante è la domanda che pone al fratello-custode: “Dove andresti senza di me?”
È lo stesso dramma di Divina Madre (Isabelle Huppert), per cui non contano più nulla la carriera teatrale e l’amore, da quando è dedita alla figlia in stato vegetativo. Pur lontano dal palcoscenico, però, è condannata a recitare. Mentre, per Uliano, la tragedia è la coscienza, per Divina Madre è l’assenza di coscienza. Così, se gli altri vedono in lei la Madonna Addolorata, il suo inconscio rigurgita Lady Macbeth, senza che si trovi un volto dietro quelle maschere.
Certo meno innocente è il teatro della politica. I suoi fantocci, fuori dalla televisione, sono vuoti e depressi. Né vivi, né morti. Del resto, questi due vocaboli hanno una gamma molto ampia di significati, per i personaggi. “Io sono morta!” dichiara Rossa (Maya Sansa), perché la disintossicazione dalla droga non le ha ridato la spinta a vivere. Il dott. Pallido (Pier Giorgio Bellocchio) non ha fede o filosofia con cui sostenerla. L’assiste per dovere di medico, per spontanea “umanità” . E per un sentimento più intenso, che lo lega a lei in un incontro-scontro.
Il film mostra l’opposizione fra religione e laicismo, ma la supera nei rapporti d’amore. “Non è vero che acceca” dice Maria, illuminata dalla passione per Roberto. L’accusa contro lo sciacallaggio politico è adombrata dal pianto della Madonna (Donna de Paradiso, Jacopone da Todi) davanti agli atti di Giuda e Pilato. Se una morale c’è, potrebbe stare nelle parole del marito di Divina Madre: “Non puoi imporre a un altro ciò che tu pensi sia giusto.” Nemmeno in nome della “libertà”.

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