Attualità

Perché proprio la Siria?

La Siria sta alla comunità islamica come la Mesopotamia sta alla civiltà occidentale. La Siria, Damasco in particolare, è stata la sede centrale del Califfato Omayyade, secondo grande Califfato dopo la morte del Profeta. Dal 661 al 750, Gli Omayyadi si estesero su un’area che andava dai confini orientali dell’attuale Iran (circa) fino all’Oceano Atlantico comprendendo tutto il Nord Africa e una parte della Spagna. Il Califfato fu uno dei primi responsabili dell’espansione dell’Islam al di fuori del suo nucleo originario nell’Hijaz (regione di Medina e La Mecca). Oggi invece la Siria, ammesso che esista ancora, è teatro di una guerra civile nella quale si perde il conto dei fronti che si oppongono e degli interessi che effettivamente vi si giocano.

La Siria come la conosciamo, o meglio come la conoscevamo fino al 2011, è in realtà un po’ una costruzione del colonialismo. Con il venir meno dell’autorità dell’Impero Ottomano su tutta la regione del Vicino Oriente, per effetto della Prima Guerra Mondiale, Gran Bretagna e Francia si costruirono delle zone di influenza sulle quali esercitare il proprio potere. Un’operazione che necessitava però di una definizione che fosse il più chiara possibile di dove iniziasse e finisse l’influenza di ciascuna. La documentazione a questo proposito è però ambigua, controversa e ancora discussa, le amministrazioni mandatarie rimasero delle promesse mai mantenute e degli accordi firmati ma mai veramente applicati. Quello che lasciarono però furono i confini dei nuovi Stati.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il sistema dei mandati fu abbandonato e tutta la zona, per la prima volta dal 1300, ritrovò l’indipendenza, da uilayat (province) dell’Impero Ottomano, a mandati europei, abbandonavano definitivamente i governi eterodiretti per costruire delle istituzioni di rappresentanza politica autonome e indipendenti.

Tuttavia, gli effetti dell’amministrazione mandataria non si interruppero. I governi europei per vari motivi avevano favorito alcuni gruppi presenti sul territorio. Potevano essere questi religiosi, linguistici, etnici o per semplice preferenza dato che erano gruppi maggiormente disposti ad accettare la presenza politica europea. Nello specifico, la provincia della Grande Siria sotto l’influenza francese fu divisa in Libano, territorio a prevalenza cristiana maronita, e Siria a prevalenza musulmana sunnita. Tra i due correva la catena montuosa del Monte Libano che divenne il confine “naturale” tra le due. Chiaramente la divisione andava completamente a favore del Libano cristiano mentre la Siria era discriminata e privata di alcune vitali risorse economiche. In Siria, la Francia aveva creato una sorta di federazione, dividendo il territorio in quattro Stati: due facevano riferimento alle città di Aleppo e Damasco e due invece erano costituiti secondo un principio di maggioranza religiosa, lo Stato Alauita e il Jabal Druso. La maggior parte della politica era gestita da musulmani sunniti nei due Stati di Aleppo e Damasco, ma isolando gli Alauiti e i Drusi, la Francia diede loro una certa rilevanza politica che fino a quel momento non avevano mai avuto.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale la Francia non era riuscita a creare nessun tipo di istituzione governativa o parlamentare funzionante, concesse perciò l’indipendenza ad un paese che aveva una leadership che fino a quel momento non aveva in realtà mai governato. La politica francese del divide et impera aveva portato le varie politiche a rispecchiare le esigenze regionali, etniche o religiose. La leadership al comando oltre che confrontarsi con il ruolo nuovo di governo doveva anche gestire una realtà politica molto frazionata. Da cui la grande instabilità politica della regione e il sopraggiungere di colpi di Stato militari.

A metà degli anni ’50 nacquero i primi partiti politici con programmi specifici e ideologie definite. Il più importante fu il Partito Ba’ath (resurrezione), radicato nella religione musulmana preconizzava l’unità panaraba e panislamica attraverso una rivoluzione sociale (semplificando molto!). Parallelamente a questi cambiamenti nazionali, nella regione del nord ovest a maggioranza alauita, l’impegno politico tra i giovani stava crescendo. Gli alauiti sono una minoranza musulmana sciita, in un paese in cui la maggioranza è sunnita, in generale alienata nel contesto siriano generale. Un giovane in particolare spicca tra questi, Hafiz al-Assad un giovane talentuoso e ambizioso che decise di entrare nell’accademia militare siriana (rompendo dunque la barriera tra siriani sunniti e alauiti) per potersi permettere un’istruzione universitaria. Si avvicinò in questo modo al Partito Ba’ath, tanto che nel 1963, insieme ad altri membri dell’Accademia militare condusse il primo colpo di Stato per permettere al partito di conquistare il potere. Tre anni più tardi, lo stesso al-Assad procedette all’epurazione di numerosi membri del Partito, compresi i suoi fondatori, sostituendoli con altri membri alauiti a lui fedeli e che avessero come discrimine il fatto di provenire dalla sua stessa regione. Costruì e rafforzò un regime che riuscì a trasformare in una dinastia, dopo la sua morte il potere passò quasi senza interruzione (ma con una modifica della Costituzione e con un referendum “popolare”) nelle mani del figlio: Bashar al-Assad.

Da minoranza alienata, gli Alauiti erano arrivati alla guida del paese. Padre e figlio hanno guidato la Siria in modo autoritario e arbitrario, ignorando, o quanto meno manipolando, le istituzioni parlamentari e governative. La popolazione civile, al momento del passaggio cercò di elevare la propria voce contro il regime. Per dare una parvenza di cambiamento, Bashar al-Assad, inizialmente, tollerò le proteste ma nel 2001 fece imprigionare un attivista anti-governativo in modo da avvertire tutti gli altri. Non avvenne dunque nessun cambiamento: mentre gli attivisti proponevano delle nuove soluzioni per la Siria, delle nuove ricette politiche nazionali che non tenessero contro delle diverse religioni e etnie, il regime procedeva con gli arresti. Nonostante tutto l’opposizione continuava insistendo sulla necessità di fornire alla Siria strumenti democrazia, di unità di rispetto dei diritti umani. L’unico posto in cui poteva avvenire un dibattito sicuro, e effettivamente democratico, era internet, un mezzo efficace per permettere a tutti di familiarizzarsi con le proposte nuove e “innovative” degli attivisti dell’opposizione. Tuttavia, le idee erano diverse e non si riuscì a trovare un modo per coalizzare tutti in un’unica entità capace di costituirsi come una qualsivoglia minaccia al regime.

Nel mese di marzo 2011, le tensioni, fino a quel momento, represse e soffocate divennero manifeste. In varie regioni della Siria, prima i contadini poi i cittadini scesero in piazza per protestare contro un regime che prometteva ma non adempiva, modernizzava ma non rispettava il proprio popolo e che promuoveva nuove riforme economiche ma si dimenticava dei motori della sua economia. Le proteste infatti iniziarono tra i contadini e nelle città in cui le realtà tribali erano ancora forti e molto presenti. Le grandi città all’inizio tacevano, titubavano ma poi si sbilanciarono e iniziarono a protestare. A Homs, terza città per importanza, venne organizzato il primo sit-in per protestare contro il regime; forze armate, cecchini e bande criminali fedeli al regime impedirono tale manifestazione. Ma questi eventi si moltiplicarono e si manifestarono anche in contemporanea in città diverse. Il Raìs sembrò all’inizio piegarsi alle richieste dei manifestanti e concesse il diritto alla manifestazione pacifica (diritto che era stato negato dal primo giorno della presa del potere di Hafiz al-Assad).

Bashar al-Assad come presidente riformatore durò poco, pochissimo. Nel 2011, è iniziata la guerra civile che perdura ancora oggi, nella quale si oppongono un fronte civile, chiamato “ribelle” e il governo. Non si può tuttavia propriamente definire un “fronte civile” dato che era, ed è tuttora, composto da numerosi membri dell’esercito che hanno disertato e che adesso si impegnano contro il regime. I “ribelli” si costituirono come Esercito Siriano Libero, e all’inizio ottenevano le armi grazie al contrabbando con il Libano, confine mai realmente chiuso. Dal 2011 in poi, la guerra civile ha messo in evidenza tutte le varie contraddizioni della società che fino a quel momento il regime di Hafiz al-Assad aveva più o meno tenuto insieme. Rispetto agli altri movimenti delle Primavere Arabe, la guerra siriana non ha portato alla effettiva caduta del regime regnante, com’era stato il caso di Ben Ali in Tunisia , Mubarak in Egitto e Geddafi in Libia. Bashar al- Assad ha progressivamente perso la sua legittimità, e si è ritrovato a controllare parti sempre più esigue del territorio, ma non ha mai perso la fedeltà di una parte del suo esercito. Rispetto alle Primavere Arabe, non si è verificato lo scollamento tra governo e militari sufficiente a permettere il passaggio verso (o il ritorno a) un governo democratico. Il regime è rimasto in bilico sufficientemente a lungo per far venire agli osservatori occidentali dubbi sulla liceità di un intervento atto a rovesciare il regime. Alla fine infatti nessuno è intervenuto in modo ufficiale, né a sostegno del regime né in opposizione ad esso, ma di fatto al-Assad alle riunioni politiche internazionali era persona non grata.

Dal 2011 al 2015, l’evoluzione del conflitto ha seguito due tendenze: da un lato è avvenuta la denuncia pubblica e internazionale delle macabre pratiche del regime nei confronti della propria popolazione, delle proprie minoranze e anche degli oppositori; dall’altro lato sono entrati nel conflitto sempre più attori trasformando la guerra civile siriana in una guerra rappresentativa delle tensioni regionali. Le potenze regionali, hanno conquistato posizioni per un eventuale sfruttamento economico delle risorse siriane; i gruppi ribelli musulmani, sciiti, sunniti, curdi, intervengono sostenendo i ribelli o i fedeli, portando anche armi, soldi e logistica. Analizzando, dunque, tutte queste fazioni ci si accorge che in Siria, dall’inizio delle guerra si è creato un vuoto di potere politico non indifferente, all’interno del quale brulicano sia i nemici che i fronti di guerra.

In una situazione del genere dove l’autorità politica, lo Stato, i confini non sono mai stati concetti capaci di sedimentarsi e radicarsi nella vita quotidiana, in questa realtà fluida dove il carattere è un po’ nazionale, un po’ religioso, un po’ etnico, si capisce perché lo Stato Islamico (cosìdetto) abbia avanzato le sue preteste territoriali e abbia avuto anche il modo di espandervisi e in qualche maniera radicarsi.

Non c’era nessuna certezza nel 2011 su quando, come e con quali conseguenze sarebbe crollato il regime di al-Assad, ce ne sono ancora meno ora che gli attori in gioco si sono moltiplicati esponenzialmente. L’unica cosa sicura è che è una situazione estremamente difficile da spiegare.

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