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Une famille syrienne: quando la guerra non fa rumore

Direttamente da Parigi, “Le coin Français”: la rubrica, di Carlotta Federica Moretti, sul Cinema francese, classico e contemporaneo, che vi svelerà tutto quello che avreste voluto sapere sul Cinema transalpino, e che non avete mai osato chiedere. #1


Nella Siria odierna in piena guerra, innumerevoli famiglie vivono barricate in casa per paura dei continui bombardamenti e dei temibili cecchini appostati. Tra di esse, una donna, il suo anziano padre e i suoi figli, vivono segregati assieme alla governante ed una giovane coppia di vicini con il loro neonato, ai quali hanno dato ospitalità. La famiglia si arrangia come può, tra la penuria ed il terrore, cercando  di mantenere una parvenza di normalità ad una vita che, oramai, li fa vivere isolati dal mondo. La giovane coppia si prepara da tempo a fuggire ma, proprio nel giorno designato alla fuga, qualcosa va storto e le loro vite cambiano per sempre.

Philippe Van Leeuw, regista belga già apprezzato dalla critica per il suo primo film Le Jour où Dieu est parti en voyage (2009), attraverso Une famille Syrienne (InSyriated) racconta con eccellente e crudo realismo quel che resta della vita di quelle famiglie che vivono quotidianamente la guerra, fatta di atroci silenzi rotti dagli assordanti suoni delle bombe che cadono incessantemente sulla città. Un gioco di strazianti assenze, di rumori e frastuoni che si mescolano perfettamente alla melodia della lingua araba, che in questo film viene mantenuta e dunque soltanto sottotitolata. Non si può sfuggire: gli orrori del conflitto annientano, feriscono e corrodono gli animi nonostante le barricate. Un dramma spasmodico e devastante che mostra attraverso una forte metafora la  traccia indelebile dell’impotenza, che penetra nel cuore di chi assiste, indifeso, alle atrocità che si consumano durante la guerra; scene potenti a tal punto da far provare allo spettatore lo stesso senso di impotenza e di rabbia. Una catarsi così profonda resa possibile grazie alle magistrali interpretazioni delle tre protagoniste(Hiam Abbass, Diamand Bou Abboud e Juliette Navis) che lasciano spazio al dolore delle donne: mogli, figlie e madri che aspettano il ritorno, talvolta invano, dei loro cari, raccontando ogni terribile e disumano aspetto della brutalità che esse costantemente e coraggiosamente subiscono e combattono. E sono proprio la paura ed il coraggio l’essenza di questo film: la paura di non farcela, il coraggio di resistere. A tratti liberamente ispirato a La Ciociara di Vittorio De Sica, il film, nel rappresentare la forza delle donne nella loro diversità, mostra il lato più ammirevole di una sopportazione e di un eroismo che ci fa sentire infinitamente piccoli mentre inevitabilmente anneghiamo nel loro dolore. Una fotografia ricercata, che si destreggia nel buio di una casa-bunker dove le uniche fonti di luce sono costantemente  chiuse. La finestra e la porta infatti, giocano un ruolo centrale nel film: esse, poiché punti di confine tra il mondo interno ed esterno, sono allo stesso tempo fonte della più terribile angoscia e della più ardita speranza di evasione.

Un piccolo capolavoro di soli 85 minuti, pervaso di un’intensità lirica lancinante che spezza il cuore ed atterrisce gli animi lasciando spazio a sguardi, lacrime e a parole non dette. Une famille syrienne mostra il lato più oscuro della guerra: quello che non fa rumore.

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