“The New World” (2005), di Terrence Malick
Nel corso di The New World fluiscono due storie l’una accanto all’altra, arrivando ad intrecciarsi nel momento topico della battaglia tra indigeni e coloni britannici:
– le dinamiche amorose di Pocahontas (Q’orianka Kilcher) con il capitano Smith (Colin Farrell) e John Rolfe (Christian Bale);
– il tentativo dei coloni di stabilire un insediamento, Jamestown, primo avamposto occidentale nel Nuovo Mondo.
Malick si serve della vicenda per indagare ed affrontare due delle tematiche da lui predilette: l’Amore, le insicurezze ed i mutamenti dell’animo ad esso legati, ed il rapporto tra l’Uomo e la Natura. I personaggi del regista originario dell’Illinois sono sempre alla ricerca di un significato profondo a partire dalle loro esperienze quotidiane, si pongono domande su ciò che li tormenta e smuove; mezzo fondamentale per farci arrivare queste riflessioni altamente introspettive è l’uso frequente del voice-over, uno degli elementi più caratterizzanti del cinema malickiano.
Pocahontas scopre l’amore quando conosce il capitano John Smith durante la sua prigionia presso gli indigeni; il loro è un rapporto che nasce dalla curiosità per l’estraneo, il diverso, dall’incontro-scontro tra due diverse culture e modi di vivere. Arrivano a toccarsi, sfiorarsi – splendido in tal senso il modo in cui Malick ritrae la loro ricerca di contatto, facendo spesso cadere l’occhio della telecamera sulle loro mani che si intrecciano e sulle carezze che si scambiano – ma tra loro permane sempre una certa diffidenza, minima ma tangibile. Questa si tramuta nei dubbi, nelle domande che Pocahontas si pone durante alcune delle sequenza in voice-over (“È questo l’uomo che amo? Un fantasma. L’amore può ingannare?”). “Tu scorri attraverso di me come un fiume”, dice l’indigena al capitano Smith; questo paragone esprime le caratteristiche del loro amore: l’imprevedibilità, l’essere sfuggevole e la continua mutevolezza.
Dopo essere stata abbandonata dal capitano Smith, Pocahontas incontra il colone John Rolfe. Il rapporto che sboccia tra i due è di natura differente rispetto a quello tra la ragazza ed il capitano Smith: è un amore fatto di protezione, armonia e stabilità, che si accompagna all’integrazione progressiva di Pocahontas – che ora verrà battezzata col nome di Rebecca, quasi a segnare un punto di svolta per il personaggio – ai costumi occidentali. Anche qui è molto incisivo il paragone che viene dipinto: Rebecca stessa paragona Rolfe ad un albero che la protegge e le permette di sdraiarsi alla sua ombra. Tra le ultime immagini che scorrono sullo schermo, quasi a suggellare i due diversi amori vissuti da Pocahontas/Rebecca, compaiono – prima – un fiume che scorre seguendo il suo naturale percorso, e – poi – un albero rigoglioso, ritratto con la tipica sacralità di Malick.
Il capitano John Smith è diviso tra l’amore per Pocahontas e l’ambizione, il desiderio di realizzarsi, di essere un pioniere alla ricerca di nuove terre per sé e per il suo popolo. Il suo amore per l’indigena è probabilmente sincero, ma non abbastanza forte da fargli mettere da parte l’offerta che gli viene fatta di condurre una spedizione verso nuovi territori più a nord, lasciando così sedotta e abbandonata Pocahontas.
L’esperienza da prigioniero di Smith accanto ai pellerossa gli permette di comprendere il loro diverso approccio nel rapportarsi all’esistenza e alla Natura. Malick, rifacendosi al Mito del buon selvaggio, ritrae gli indigeni immersi nell’armonia della Natura, spensierati e privi dei sentimenti negativi frutto della corruzione della società. Pur nella loro primitività essi prosperano, Natura e Uomo contraggono un rapporto di reciproco vantaggio. Particolarmente rilevante è la loro visione panteistica della Natura, vista come un’entità comprensiva del Tutto, sacra e non senziente; questa concezione emerge con costanza anche nelle altre produzioni del regista, basti pensare a La sottile linea rossa (1998) o a The Tree of Life (2011), solo per citare gli esempi più chiari, o agli innumerevoli scorci di natura presenti in tutti i suoi film, sempre volti ad esaltare il bello intrinsecamente presente in essa. Di tutt’altra fattura è l’approccio tendente allo sfruttamento e al degrado dell’ambiente, cercando un’imposizione forzata sulla Natura, perpetrato dai coloni britannici. A tal proposito, il capitano Smith afferma: “Mentre muoiono di fame, scavano per trovare l’oro. Non si parla, non c’è speranza, lavoro, se non questo”.
The New World, inoltre, sancisce l’inizio della collaborazione cinematografica tra Terrence Malick e il direttore della fotografia Emmanuel Lubezki, che si potrarrà fino alle ultime produzioni del regista. La capacità dell’artista messicano di ritrarre in maniera limpida e suggestiva soprattutto gli elementi naturali, dando quasi una sensazione di purezza e sacralità al soggetto, si sposa alla perfezione con la poetica di Malick.
L’essenza di quest’opera va cercata e scovata tra l’armonia e l’incanto delle immagini, più che nelle parole; quello che Malick e Lubezki fanno è un invito ad immergerci e farci trascinare e cullare dalla musica di Wagner e Mozart, che accompagna le effusioni tra gli amanti, dalla luce che filtra tra le fronde degli alberi, dai colori dei tramonti che si riflettono sull’acqua in ogni loro calda sfumatura.