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Mina Vagante: Hong Kong Trilogy: Preschooled, Preoccupied, Preposterous (Christopher Doyle, 2015)

Con Hong Kong Trilogy Christopher Doyle, figura poliedrica del panorama cinematografico internazionale, firma un personale omaggio alla città in cui vive da anni, lasciando la parola ad alcuni dei suoi abitanti, liberi di raccontare e raccontarsi come assorti in un gioco in cui ognuno è chiamato a interpretare se stesso. Il film, diviso in tre capitoli corrispondenti a tre generazioni di persone, procede costantemente in bilico tra istanze testimoniali e approccio immaginifico, sorretto da una chiara onestà di fondo a cui si unisce uno sguardo giocoso e ironico, capace nel contempo di rivolgere l’attenzione, per quanto in modo allusivo, a scenari meno edificanti (con allegato messaggio di resistenza finale). Eppure, l’assetto intimo e personale conferito da Doyle al suo film rende difficile valutare l’efficacia di quest’ultimo senza conoscere, dal loro interno, le dinamiche sociali e la storia culturale della città a cui è dedicato. L’impressione è che il regista manchi spesso di incisività, salvo in alcune felici soluzioni, come quando condensa la ricchezza del vasto calderone religioso cinese in brevi riprese di cartoline, statuette e varie chincaglierie appartenenti a credi e culti disparati.

Hong Kong Trilogy è insomma un libero atto d’amore dedicato ad una città e ai suoi abitanti, gioiosa (ri)scoperta di usanze e tradizioni filtrate dai ritmi di una quotidianità fatta di individui bizzarri e ordinari, tristi e gioiosi, costretti comunque, in un modo o nell’altro, a fare i conti con un potere spesso nell’ombra, sotteso o appena accennato, ma presente nella vita di ogni cittadino cinese.

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