Attualità

Ma Bersani cos’ha da esultare?

di Francesco Iacona

«‎Abbiamo vinto senza se e senza ma». È questo il commento di Pierluigi Bersani, il segretario del Partito Democratico, al risultato del secondo turno delle elezioni comunali conclusesi lunedì.

È vero, l’esito complessivo è stato molto favorevole al centro-sinistra e disastroso per il centro-destra – che nonostante tutto cerca di minimizzare la sconfitta – e Bersani può vantarsi di un ballottaggio che ha visto il Pd protagonista in molti capoluoghi (Asti, Como, Monza, Piacenza, Alessandria, L’Aquila, Taranto). Il leader piacentino, però, non tiene conto (o presumibilmente ignora strategicamente) di alcuni aspetti su cui è meglio soffermarsi.
Il Partito Democratico, infatti, anziché promuovere elogi autoreferenziali troppo affrettati dovrebbe, piuttosto, ringraziare il suicidio della Lega, la disfatta del Pdl e un Terzo Polo che di fatto non esiste. Sono loro che hanno perso, non il centro-sinistra che ha vinto. I voti della coalizione di centro-sinistra sono pressoché invariati e il successo è dovuto al netto calo dei consensi del centro-destra.

Bersani, perciò, forse ha sopravvalutato il risultato ottenuto dal suo partito. Infatti, è importante considerare che l’astensionismo ha toccato percentuali altissime e che stanno cominciano a farsi strada partiti di nicchia (Sel) e di protesta (M5S), tanto che le tre principali città coinvolte in questi ballottaggi  – Genova, Parma e Palermo – sono finite in mano ai candidati – rispettivamente – di Sinistra Ecologia e Libertà, Movimento 5 Stelle e Italia dei Valori.

Bersani dovrebbe tener conto della disfatta di Marta Vincenzi come sindaco uscente (del Pd) di Genova, sconfitta alle primarie dal vendoliano Marco Doria (poi eletto sindaco). Dovrebbe tener conto della sconfitta del palermitano Fabrizio Ferrandelli battuto dal dipietrista Leoluca Orlando (in seguito a delle elezioni primarie non proprio pulite). Dovrebbe tener conto del risultato di Belluno, città in cui il Pd decise di non fare le primarie e il candidato ufficiale è stato sconfitto da uno uscito proprio dal Pd in segno di protesta. E dovrebbe tener conto dei risultati delle comunali dell’anno scorso, in cui città come Milano, Cagliari e Napoli andarono a Pisapia (Sel), Zedda (Sel) e De Magistris (IdV).

In pratica, sui terreni principali il Partito Democratico è stato sconfitto dai suoi stessi alleati e non dai suoi avversari (ormai morti e sepolti, politicamente parlando).
Alla luce di tutto questo, Bersani dovrebbe riflettere molto invece di diffondere euforia per una vittoria che di fatto si è dimostrata una vittoria mascherata.

Un discorso diverso và fatto per Parma, primo capoluogo ad aver eletto sindaco un candidato del Movimento 5 Stelle. Qui il democratico Vincenzo Bernazzoli è stato sconfitto dal grillino Federico Pizzarotti che, pare, nel ballottaggio abbia goduto di parecchi voti degli elettori di centro-destra (decisi a non far vincere gli avversari). Questa ipotesi può essere supportata dal fatto che quello di Parma è stato il comune che al ballottaggio ha avuto la percentuale più bassa di astensioni (precisamente l’astensionismo nei principali capoluoghi – in cui non ha vinto il centro-destra – è stato il seguente: Parma 38,82%; L’Aquila 41,96; Piacenza 45,62%; Asti 48,46%; Monza 55,87%; Taranto 56,79%; Como 57,27; Alessandria 57,86%;Palermo 60,27%; Genova 60,92%). Da questi risultati si può evincere che l’astensionismo è stato molto elevato – soprattutto a Genova e a Palermo – sia perché la fiducia generale nella politica in questo periodo è molto bassa, sia perché nei ballottaggi gli elettori degli schieramenti sconfitti tendenzialmente non si recano alle urne per un candidato che non è il loro; tutto ciò lascia intendere che Pizzarotti nella sua vittoria possa essere stato supportato da chi al ballottaggio non è neanche riuscito ad arrivarci.

 

Anche Beppe Grillo ha detto la sua. Sull’onda dell’entusiasmo sul suo blog ha gridato che «‎Il Pd è finito» e che «Bersani non è morto ma quasi, è uno zombie‎. Dovrebbe andare a lavorare perché in futuro ne avrà bisogno».

Su queste parole ci si può trovare d’accordo. Ma forse avrebbe più senso guardare in casa propria risparmiando il fiato per parlare di idee e di azioni concrete piuttosto che per lanciare accuse pesanti (nel linguaggio, non tanto nei contenuti) e continuare una campagna negativa anche a elezioni vinte.

Sarà che gettar fango è straordinariamente comodo e facile?

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