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Lost Highways – Strade Perdute

Nuovo mese, nuova rassegna per il cineforum di Radio Aut: questa volta la scelta è caduta su un mostro – è il caso di dirlo, fidatevi – della cinematografia americana, David Lynch, che ci farà compagnia (e che compagnia…) in questi gelidi giovedì novembrini. I film selezionati per la visione fanno parte di una trilogia – mai ufficialmente riconosciuta dal regista – che, secondo una tra le più accreditate interpretazioni proposte dalla critica, può essere definita “dell’Inconscio”: Lost Highways (1997), Mullholand Drive (2001) e Inland Empire (2006).
Devo riconoscere che parlare di – e anche vedere – un’opera come Strade Perdute è un compito tutt’altro che semplice (non a caso Lynch ha dichiarato che se non avesse fatto il regista, il suo lavoro sarebbe stato quello dello psichiatra). Questa pellicola, all’inizio, sembra avere tutte le caratteristiche di un thriller, di un noir: “Dick Laurent è morto”, annuncia una misteriosa voce al citofono della casa dove Fred Madison (Bill Pullman) vive con la moglie (Patricia Arquette). Peccato che a Fred quel nome non dica nulla, come nulla risulta la sua reazione a tale notizia.
È stato osservato, giustamente, lo stretto legame che intercorre con la psicologia (soprattutto con Freud) nell’impiego di tematiche come quella della stratificazione dell’io, del doppio, della reazione di un soggetto in relazione a un trauma, tematiche che si incarnano concretamente nei protagonisti e nelle loro personalità – o, addirittura – identità multiple, in un gioco di specchi e rimandi a dir poco agghiaccianti. Man mano che i minuti scorrono, sempre più incalzanti, dentro chi guarda, si fanno strada queste domande: quello che vediamo sullo schermo è reale, almeno in parte? È l’espressione della psicosi di una mente irreparabilmente disturbata? È sogno? È allucinazione? Un possibile indizio a riguardo, forse, ci viene fornito dallo stesso Fred: “Non mi piacciono le telecamere, a me piace ricordare le cose come le ricordo io”. Tuttavia, le uniche, poche, istanze di realtà forse ci vengono restituite proprio dalle immagini riprese da un misterioso individuo (?), nel corso della vicenda. Da lì a poco, infatti, risulterà evidente la presenza di qualcosa di dissonante, sia nella figura del protagonista che, in generale, nelle sue percezioni. Ben presto ci si rende conto di trovarsi immersi in una situazione che sembra avere tutta la parvenza del reale, ma che non può, non deve esserlo. I nessi causa-effetto saltano, alcune scene si riempiono di elementi a dir poco surreali, onirici, psichedelici, carichi di un fortissimo significato simbolico. Non a caso, secondo alcuni, il primo di questi tre film, dantescamente, rappresenterebbe l’Inferno, in una straniante discesa allegorica verso i meandri dell’essere.
Lynch (sempre molto reticente nel fornire chiavi di lettura per i suoi lavori) vuole esplicitamente dire allo spettatore che è inutile tentare di fruire e comprendere un film come questo utilizzando gli strumenti della ragione. Niente affatto secondario, data la natura poliedrica del regista/pittore/fotografo/musicista/compositore è l’utilizzo della musica atta, in particolare, a sottolineare la drammaticità delirante di specifiche scene. La variegata colonna sonora – per intenderci – curata da Angelo Badalamenti, comprende anche brani di Marylin Manson, covers di David Bowie e dei Rammstein. Allo stesso modo la scelta accurata dei colori, l’impiego della luce si fanno forieri di un messaggio che va ben oltre quello puramente referenziale.
Come Carlotta (la curatrice dell’evento) ci ha detto a inizio film, allo stesso modo io non ho voluto entrare nello specifico della trama, per permettere, a chi ancora non si è accostato a quest’opera, di approcciarsi a essa liberamente, istintivamente e senza preconcetti. Infatti, nel corso del dibattito che ha seguito la proiezione, è stato interessante osservare come per alcuni gli stessi personaggi e le medesime situazioni avessero assunto un significato e un valore diverso.
Nonostante qualche impedimento tecnico, dovuto a cause di forza maggiore – ormai affidarsi ai dvd non è più una garanzia – la serata si è rivelata, ancora una volta, efficace e pregnante. Credo che sia un ottimo modo, questo, di conoscere meglio registi che siano anche di non facile comprensione. Infatti, senza il “commento” finale di alcuni di voi, ragazzi, confesso che per capire alcuni passaggi avrei dovuto sottopormi almeno a un paio di (re)visioni del film. Un grazie particolare a quanti si impegnano a portare avanti a eventi di questo genere, si vede che ci mettete il cuore.
Ci vediamo giovedì!

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