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Molly’s game: la “principessa del poker”

Direttamente dalla penna di Aaron Sorkin – autore degli script di biopic di successo quali Steve Jobs (Danny Boyle, 2015) e The social network (David Fincher, 2010) -, è arrivato nei cinema italiani dal 19 aprile Molly’s game. Lo sceneggiatore statunitense, per la pellicola che segna il suo debutto alla regia, si avvale dell’autobiografia Molly’s Game: From Hollywood’s Elite to Wall Street’s Billionaire Boys Club, My High-Stakes Adventure in the World of Underground Poker (2014), di Molly Bloom, scegliendo di portare sullo schermo la romanzesca vita di quest’ultima, che, dopo aver dovuto forzosamente rinunciare ad una promettente carriera nello sci a causa di una rovinosa caduta nella gara della vita che l’avrebbe portata alle Olimpiadi, reinventa se stessa ritrovandosi ad organizzare partite di poker clandestine tra personaggi di spicco del mondo di Hollywood. Dall’essere assistente del proprio datore di lavoro, a plasmarsi un proprio mondo dove godere d’identità e rispetto, tanto da essere ribattezzata dai media la principessa del poker, il passo è breve, ma, in un frangente dove la posta in gioco è troppo alta, attrarre personaggi scomodi al proprio tavolo diventa semplice, ed è sufficiente una mossa sbagliata per cadere nell’ingenuità e perdere tutto.

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Sulla scia di quanto visto recentemente nel brillante dramedy I, Tonya (Craig Gillespie, 2017), anche Molly’s game – seppur per motivi e con risultati differenti – si pone tra le pellicole capaci di trascendere il genere biografico, andando a prediligere una gestione della narrativa che dal biopic scolora nel legal drama, rendendo dimenticabili le sue origini.

Giocato su più piani temporali in sovrapposizione continua, incentrato su una sceneggiatura quanto mai fitta che guarda anche ai tecnicismi del poker senza peccare di facile pedanteria, Molly’s game trae il suo punto di forza dalla presenza scenica dei personaggi che, interpretati da un cast di livello – una Jessica Chastain nel ruolo di perfetta antimoglie ed asessuata Circe, il credibile avvocato Idris Elba, ed un Kevin Costner nel ruolo del padre imperfetto – risultano tipizzati in funzione della storyline di Molly, traendo, al contempo, supporto dall’ampio spazio filmico deferito all’utilizzo del voice over. È infatti la voce della donna a condurci nella sua rocambolesca vicenda, scoprendo a poco a poco i dettagli e scorrendo come un lungo flusso di coscienza (non a caso vi è esplicito richiamo nella pellicola all’Ulisse di James Joyce).

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Nonostante la potenzialità del soggetto ed un esito nel complesso discreto che si avvale di dialoghi avvincenti ed un montaggio serrato volto a conferire dinamicità al film, è la costruzione dell’adattamento cinematografico a costituire  l’anello debole della pellicola, laddove la progressione temporale – della durata totale di due ore e venti minuti – sembra non portare a compimento una reale maturazione psicologica od una tangibile presa di coscienza della protagonista. Molly racconta, e, attraverso le sue parole, lo spettatore potrebbe trovarsi di fronte all’illusione di una prospettiva volta ad un punto di rottura, un apice, un inizio della fine: non sarà così.

Sorkin, favorendo l’intreccio e la decostruzione dei fatti, ci porta ad una Molly del presente, nei fatti imputata, sebbene già quasi completamente risolta ed assolta, almeno interiormente: gli eventi sono già accaduti, le implicazioni etiche si danno già per date e l’integrità morale della donna e la sua dignità non vanno messe in discussione, azzerandosi un reale conflitto od una conseguenza concreta, o per lo meno non celata o soltanto ventilata allo spettatore.

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A confermare quanto affermato, sarà la gestione della vera chiave di lettura della pellicola: il rapporto rancoroso e conflittuale con la figura paterna (Kevin Costner). Nonostante l’importanza rivestita da questa tematica, anche nell’ottica del riflesso del percorso di Molly, la scelta di risolvere in modo sbrigativo e didascalico nel pre-finale il rapporto padre-figlia, perseguendo anche intenti commoventi, rende esplicita la volontà di servire sul banco alla donna l’alibi perfetto per le sue azioni, in ottica quasi agiografica. Del resto, come ci ricorda lei stessa: Ero stata cresciuta per diventare campionessa. Il mio obiettivo era vincere. In cosa e contro chi? Era solo un dettaglio.

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Guarda il trailer di Molly’s game.

Chiara Turco

Chiara Turco nasce a Pavia il 23 agosto 1993. Frequenta il liceo scientifico "C. Golgi" di Broni (PV), diplomandosi nel 2012. Nel febbraio 2018 consegue la laurea magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Pavia. Appassionata di Cinema, diventa redattrice di Birdmen nel dicembre 2016, per poi successivamente occuparsi anche dell'ambito social network.

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