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La prima tappa del viaggio-identità di Wenders: “Alice nelle città”

Esattamente dieci anni prima di portare a compimento il capolavoro Paris, Texas (1984), Wim Wenders poneva il primo tassello necessario alla definizione di una pluritrentennale carriera aggrappata ai vertici della cinematografia mondiale, con il road movie Alice nelle città (1974), nonché primo capitolo di una ideale “trilogia della strada”, insieme a Falso Movimento (1975), e Nel corso del tempo (1976).

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La storia è delle più essenziali. Tutto ha inizio quando la cinepresa, dall’immagine assolata di un pontile tipicamente californiano, cala pian piano verso il suo scheletro sottostante, per contro buio, dove ci viene mostrato il protagonista, Philip Winter (Rudiger Vogler), reporter tedesco, intento a catturare con una polaroid l’eternità della spiaggia che ha di fronte a sé. Un personaggio più che wendersiano, Philip è a tratti la trasposizione, tutt’altro che idealizzata, dello stesso cineasta tedesco: scrittore, giornalista appassionato di fotografia e, soprattutto, individuo perso in un pensare ermetico, che qui dà una manifestazione di sé attraverso l’estrema reticenza della comunicazione (diversamente da quanto accade, invece, nel Cielo sopra Berlino, del 1987, dove per contro il linguaggio della parola eccede quasi nello sproloquio). La delusione che investe Philip nella parte incipitaria della pellicola è quella di chi ha appena vissuto il disincanto del sogno americano, spogliato per intero della sua aria mitica: il suo viaggio lungo gli States è accompagnato da foto più o meno interessanti, che in ogni caso non riescono a riprodurre la realtà filtrata attraverso gli occhi di Philip, e dal rifiuto sempre più marcato dei mezzi radiofonici e televisivi lì imperanti. La tv proietta “fiero disprezzo”, appunta Philip su un taccuino, e, satura di pubblicità, e di pubblicità nella pubblicità, sa solo pretendere qualcosa dal suo passivo fruitore.

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La perdita e la conseguente ricerca fallimentare di se stessi sono sottolineate dalle chiusure in dissolvenza sistematicamente reiterate, accompagnate da una sempre identica melodia malinconica, fino a quando non si raggiunge una più netta evoluzione diegetica. Prima di fare ritorno in Europa, Philip fa la conoscenza di Lisa (Lisa Kreuzer), la quale vorrebbe prendere lo stesso volo dell’uomo, ma è ostacolata da un amante opprimente. In attesa di una risoluzione positiva, la donna affida a Philip la figlia di nove anni, Alice (Yella Rottlander), per il volo diretto ad Amsterdam, ma quando i due giungono a destinazione, Lisa non dà più notizie di sé. Tutto ciò che resta ad Alice, deuteragonista della pellicola, è una vecchia foto che mostra la casa di sua nonna. Sarà questa stessa foto a guidare il viaggio su quattro ruote che da Amsterdam condurrà Philip e Alice nella tedesca Wuppertal, fino al distretto della Ruhr.

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È la breve e obbligata convivenza dei due personaggi a costituire il fulcro dell’opera di Wenders. Alice è una bambina graziosa dallo sguardo vispo, che col suo modo di fare irriverente disvela pian piano il lato affabile di Philip. Il personaggio interpretato da Rudiger Vogler, tuttavia, non smette di condurre i propri pensieri in vaghe e assorte riflessioni, perché proprio la compagnia di Alice alimenta la sua immaginazione e sembra pilotarlo verso una verità recondita. Se, in un primo momento, una donna incontrata a New York aveva rivelato a Philip come ormai da tempo lui avesse perso se stesso, e che le foto scattate lungo le sue peregrinazioni fossero da tradurre come il suo tentativo fallimentare di comprovare la sua esistenza, in un secondo momento Alice lo conduce per mano ad una constatazione taciuta: è il viaggio esperienziale dei sentimenti a poter definire un punto di approdo. Dove prima per Philip ogni cosa si ripeteva in scenari immutabili di un viaggio virtualmente continuabile all’infinito, Alice giunge perentoria a reindirizzarlo. Una meta lei ce l’ha, non è smarrita, ma desidera che sia Philip, e Philip soltanto, ad accompagnarla.

Quello di Alice nella città è un Wenders che non ha fatto ancora precipitare gli angeli sulla terra per far condurre loro l’esperienza sensibile dell’amore (Il cielo sopra Berlino e Così lontano così vicino), ma già ricerca questo sentimento in un rapporto terreno e primitivo come quello cauto tra Philip e Alice, passaggio necessario per ogni sviluppo filmico futuro, e fortunato, che il cineasta tedesco avrebbe diretto.

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