Favola, un manifesto
America, anni cinquanta. In una casa medio-borghese, la casalinga Mrs. Fairytale vive un sogno, ma un sogno di qualcun altro. Non del marito, violento e sadico, né tantomeno dei suoi amanti, i tre diversissimi gemelli omozigoti Stuart, e neanche della sua migliore amica, Mrs. Emerald. Mrs. Fairytale vive un sogno, ma è un sogno patinato, plastico, curato fin nei minimi dettagli e di certo non suo. Nata come opera teatrale dello stesso Filippo Timi, che ha la parte della protagonista, Favola riesce appieno nel suo intento di comunicare un messaggio quanto mai attuale eppure eterno, sfruttando al massimo gli stilemi estetici di un certo Cinema (come Lo specchio della Vita di Douglas Sirk) e la narrazione surreale di Pirandello (diverse le citazioni a Uno, nessuno e centomila ma anche a Pensaci, Giacomino!). Coniugando sapientemente due linguaggi, Teatro e Cinema, Sebastiano Mauri, qui al suo esordio alla regia, ha realizzato quello che forse è un nuovo esempio di Cinema e divertissement con alcuni accenni di burlesque.
Nel suo intento, chiaramente politico, il film riesce molto bene nella prima e nella seconda parte a raccontare la parabola di un transessuale alla scoperta della propria identità erotica. Senza moralismi, il regista e il protagonista mettono in scena un dramma divertente e demenziale, che accompagna lo spettatore in un viaggio alla scoperta dell’intimità fisica e mentale di Mrs. Fairytale, uno strepitoso e scoppiettante Filippo Timi; la chimica con Lucia Mascino, già ampiamente rodata ne I delitti del BarLume, raggiunge qui nuove vette narrative, ora nella prima parte con trovate geniali di dialoghi non parlati e molti “non-detti”, riusciti grazie all’intesa tra i due attori, ora nella seconda parte, quando la passione tra i due esplode, regalandoci momenti di puro piacere camp.
L’impressione generale delle prime due parti è quella di assistere a una sorta di film di Barbie Girl degli Aqua, merito anche delle fortunate scelte di costumisti e scenografi, i quali hanno ricreato un mondo stucchevole, eccessivo e disturbante nella sua sincera e schietta finzione. I problemi giungono nella conclusione, quando diventa chiara l’intenzione degli autori di risolvere la faccenda puntando il tutto sull’aspetto politico e contemporaneo del film. Si tratta chiaramente di una presa di posizione forte e condivisibile di questi tempi, eppure, nella sua risoluzione, un po’ troppo frettolosa quando non confusionaria. Si ride con garbo alla sempre brillante Piera degli Esposti, ormai a suo agio nei panni della nonna sgraziata e sboccata che tutti vorremmo, ma l’eccessiva fiducia riposta nella ricerca del consenso di una parte di pubblico (e la prevedibile distanza di un’altra parte) rischia di rovinare un poco una vicenda che poteva benissimo limitarsi ad essere semplicemente una favola, per quanto grottesca, atta a ribaltare luoghi comuni. Invece Favola è un manifesto, condivisibile o meno, dell’amore libero da pregiudizi, preconcetti e ruoli, ma la sua quasi ossessiva ricerca della critica al contemporaneo non lo rende libero dagli spazi limitati e stretti dell’attuale ai quali si contrappongono da sempre gli spazi eterni e atemporali della favola vera e propria.