BirdmenCinema

The Truman Show – Lo show metafora della vita

Ci sono film che dovrebbero fare parte del bagaglio cinematografico di ogni persona e che rappresentano le pietra miliari della storia del cinema; uno di questi è sicuramente The Truman Show (Peter Weir, 1998).

Pellicola che non ci si stancheremmo mai di riguardare e che offre spunti di riflessione ogni volta differenti e nascosti, a circa 19 anni dall’uscita nelle sale cinematografiche, è ancora considerata moderna ed attuale per le tematiche trattate, come la facilità con la quale verità e finzione, reale e virtuale si fondono tra loro, rendendo l’una e l’altra indistinguibili e confuse.

The Truman Show è nato dalla sceneggiatura originale di Andrew Niccol (già affermato, non a caso, in campo pubblicitario) che, con maestria e audacia, è riuscito a dar vita ad un intreccio semplicemente perfetto. La regia, dopo essere stata proposta e poi rifiutata da Cronenberg e da Raimi,  è stata assegnata al regista australiano Peter Weir, già famoso per aver diretto L’attimo fuggente (1989).

Il film racconta la storia di Truman Burbank (interpretato con inconfondibile teatralità da Jim Carrey): un semplice impiegato che vive in una pacifica ed idilliaca città americana. Moglie perfetta, giardino verde e ben curato, vicinato cordiale e sorridente, routine meccanica e ben scandita: tipici cliché della cultura americana che rendono l’atmosfera al limite della perfezione , addirittura quasi paradossalmente caricaturale.

Truman è l’ignaro protagonista del reality-fiction più importante e seguito in tutto il mondo, uno spettacolo che ruota da sempre attorno alla sua figura. Il film non può che aprirsi, da vero e proprio reality che si rispetti, con un primo piano dell’inventore, Christof (Edd Erris), la cui scelta del nome, come si può immaginare, non è assolutamente casuale. Egli è il creatore dello show, il deus ex machina che governa e dirige. Nel monologo introduttivo spiega l’autenticità della vita del protagonista, che, pur essendo controllata, è sacra, veritiera, vera. La scelta della colonna sonora e dei brani in sottofondo di musica classica rendono il contesto ancora più surreale, distaccato dal mondo reale come se le scene mostrate fossero spezzoni di un documentario.

L’inquadratura che ricorda uno spioncino o un buco della serratura rimanda al tema del Grande Fratello di Orwell: l’occhio che osservava il mondo circostante, partecipando passivamente alla vita dei soggetti spiati. Come una telecamera nascosta le inquadrature mostrano la vita meccanica di Truman, cristallizzando l’intera vita dell’uomo attraverso la descrizione del suo presente.  Eccetto pochi flashback non viene raccontato il passato del protagonista , ma, con eccezionale bravura , viene raccontato il suo presente, lasciando intuire le sue esperienze pregresse. L’ordine e il copione perfettamente rispettati vengono, però, distrutti quando Truman deve fare i conti con i propri sentimenti ed i propri ricordi. Egli è vero, è reale. La sua vita, i suoi ricordi, le emozioni che prova non sono prestabilite, ma sono incontrollate, spontanee, fuori copione. Ed è proprio quando Truman incontra il padre, che pensava fosse morto, che l’ordine naturale delle cose viene stravolto. Ed ecco che il Velo di Maia, parafrasando Schopenhauer, viene scoperto, il protagonista, da inconsapevole cavia di un esperimento sociale, subisce una mutatio, una metamorfosi.

La realtà che sembrava canonica e da accettare passivamente adesso viene vista come una prigione e Truman ne è prigioniero. Prigioniero di un sistema ben strutturato, architettato in maniera così perfetta da non poterne uscire fuori.

Ma, come aveva già scritto Pirandello ne Il fu Mattia Pascal, Truman, appena si rende conto della finzione dentro la quale è stato catapultato, come Amleto, inizia ad interrogarsi sulla propria esistenza. L’assolutezza del personaggio finto ed artefatto si trasformerebbe nella contraddittorietà dell’uomo moderno che non sa se preferire la vita alla forma, la tragedia all’umoristica beffa.

Ma, a differenza dell’Adriano Meis di Pirandello, il quale rimane privo di identità, di un ruolo nella società, Truman sceglie di vivere la vita vera, di percorrere la strada più rischiosa, quella fatta di intoppi, ombre e decisioni difficili: la vita in tutte le sue tragiche ma reali sfaccettature.

Ed è allora che intraprende un viaggio verso i confini del mondo per lui creato, un viaggio in mare verso la conoscenza e la consapevolezza della propria natura. Ma è proprio alla fine del viaggio che lo spettatore dovrà abbandonare la tanto amata figura di Truman; egli, infatti, varca il confine del mondo ideato da Christof e dopo un dialogo con il suo creatore decide spontaneamente di porre fine allo spettacolo e, con tanto di inchino finale, saluta il pubblico e decide di rinascere; gli spettatori da casa restano ad osservare. Qualcuno gioisce, qualcuno si dispera, tutti se ne dimenticheranno e cambieranno canale. Ed è proprio su questo aspetto che Weir vuole far leva: sulla capacità che ogni singolo individuo ha di riuscire, tramite la tv, ad appropriarsi della vita privata del resto del mondo per poi liberarsene, come se non fosse mai accaduto. La sferzante, ironica visione di Peter Weir condanna, così, sia il pubblico che i manovratori ed ideatori del mezzo televisivo e tutto il suo sistema. L’unico ad uscire indenne da questa aspra critica è l’uomo vero, l’uomo integro e reale: Truman (“True man”).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *