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La mafia uccide solo d’estate

È già da più di due settimane che va in onda la serie tv La mafia uccide solo d’estate, ispirata all’omonimo film di Pier Francesco Di Liberto, alias Pif.

Prodotta da RAI Fiction, la serie, seppur abbia sollevato il dubbio di riuscire ad eguagliare il successo del film a cui fa riferimento, ha riscosso un ottimo risultato intrattenendo un pubblico di gran lunga più difficile da conquistare rispetto alle serie tv in onda su Fox o su canali di distribuzione via internet, del calibro di Netflix.

Il grande pubblico su cui fare breccia, infatti, è molto variegato, poiché costituito da un’ampia percentuale di tradizionalisti e un’altrettanto rilevante porzione composta da spettatori più giovani e moderni. Il successo della serie è da attribuire sicuramente ad una narrazione leggera, piacevole e fresca, capace di coniugare argomenti profondi, importanti e delicati con il tono scanzonato tipico della voce narrante di un bambino. Perché è proprio lui il protagonista, il piccolo Salvatore, che, attraverso il suo sguardo innocente e irriverente, racconta la situazione difficile che ha attraversato Palermo durante gli anni di Falcone e Borsellino, del commissario Boris Giuliano, del generale Dalla Chiesa , di Totò Riina,del maxi processo, della corruzione in una città condannata all’indifferenza, all’omertà, dove pur di nascondere e negare l’innegabile si era disposti a raccontare che la mafia fosse solo una leggenda metropolitana, un fenomeno irrilevante, quasi un’invenzione.

Ed è proprio in questo contesto che si sviluppa la curiosità del nostro protagonista, pronto a scoprire e svelare cosa nasconde la sua amata città,cosa c’è  dietro la mancanza di acqua a Palermo, per quale motivo viene ucciso il giornalista a cui era affezionato. Tutto questo attraverso un tono divertente, quasi iperbolico, surreale ma che impreziosisce un quadro storico buio e cupo, ricostruito con molta precisione. Quasi come un Benigni ne La vita è bella, Pif riesce a coniugare due aspetti apparentemente inconciliabili, quali la documentazione storica sulla mafia e l’aspetto comico e autoironico, creando un armonioso racconto piacevole ed intelligente.

A coronare la narrazione è il cast talentuoso costituito da Claudio Gioè, Anna Foglietta, i genitori del piccolo Salvatore, Francesco Scianna e l’intramontabile Nino Frassica nel ruolo sui generis di Fra Giacinto, un frate colluso disposto al silenzio e all’omertà pur di vivere in pace con se stesso. Per finire poi con Domenico Centamore, già famoso per aver preso parte in altri lavori come I cento passi, La meglio gioventù e Baaria, che nel telefilm interpreta il famoso boss Totò Riina.

Particolarmente di spicco è proprio questa figura,che per quanto incapace, inetta ed imbranata, fa riflettere sul modo migliore per combattere la mafia, ovvero la derisione.

Rendere ignorante, stupido ed incapace un boss che fino a qualche anno fa teneva le redini della mafia siciliana e non solo può essere considerato forse un inusuale  spunto di riflessione e un trampolino di lancio per contrastare le associazioni mafiose.

Ed è proprio questo il grande fiore all’occhiello della fictionrendere fresco, divertente un argomento duro e difficile  da trattare, evitando di scadere nell’esasperante  modo di raccontare la mafia attraverso sparatorie o linguaggio scurrile. La bellezza non è solo eleganza, luce e fascino ma è la capacità di mostrare ciò che si è veramente, assomigliare a ciò che si immagina. E noi, spettatori, immaginiamo la nostra terra come quella raccontata da Pif, una terra in cui l’indifferenza viene combattuta con l’informazione e la mafia con una semplice ma intelligente risata.

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