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La Compagnia dell’Elfo (ri)propone “Sogno d’una notte di mezza estate”: trentacinque anni e non sentirli

Sogno d’una notte di mezza estate, capolavoro di Shakespeare, commedia nella quale regna un’atmosfera onirica, irreale, ma anche una profonda ambiguità fra il lieto e l’oscuro, è ormai, a pieno titolo, uno spettacolo storico della Compagnia dell’Elfo messo in scena sin dal 1981, trentacinque anni fa, a quel tempo sotto la direzione del Premio Oscar (successivamente, nel 1991, con Mediterraneo, miglior film straniero) Gabriele Salvatores.

La regia odierna è di Elio De Capitani che, dopo le cupe atmosfere della rappresentazione del 1986, si è mosso stabilmente verso un registro stilistico radicalmente differente, optando per una versione solare e irriverente che segue la traduzione di Dario Del Corno, integrata con inserti, battute, canzoni e riferimenti legati alla contemporaneità.

De Capitani dosa con sapienza gli ingredienti, particolare evidenza è riservata all’aspetto e al ruolo dell’amore, che spesso e volentieri trascende nella palese carnalità, e all’ambivalenza tra la realtà e il sogno, all’interno del costante e ben costruito intreccio tra il comico e la sessualità, tessendo la leggerezza della commedia, la storia dei quattro innamorati e dei loro ostacoli, con l’inquietudine che ottenebra la vita calando assieme al buio della notte e del mondo dei folletti.

All’interno del gioco teatrale si amalgamano mirabilmente, come tessere di una composizione cosmatesca, i differenti livelli dell’opera shakespeariana: la dimensione autoreferenziale, meta-teatrale (la rappresentazione nella rappresentazione, il teatro nel teatro, la messa in scena, per opera di Bottom e degli artigiani, della storia di Piramo e Tisbe, adattamento leggero delle Metamorfosi di Ovidio, parodia delle coeve traduzioni di epoca elisabettiana) e il folklore della tradizione anglosassone (la magia, gli incantesimi, le fate e i folletti che popolano la notte).

Il sipario si apre e disvela un allestimento scenografico semplice ma esaustivo, ispirato dai modelli classici, che rappresenta un palazzo, o la città, e configura il mondo umano. La stessa scenografia si apre, in seguito, nel mezzo, rivelando un fondale con leggere distorsioni e deformazioni, soprattutto nelle aperture, che ricorda vagamente le scenografie dei film espressionisti tedeschi, decorato con motivi floreali, simbolo del bosco teatro degli eventi notturni, che introduce il mondo magico irrazionale e onirico. Un’unica scenografia attraverso un “trucco” è sia giorno che notte, sia luce che buio, quasi a simboleggiare come veglia e sogno, apparentemente contrapposti, siano in realtà due volti della stessa medaglia, due elementi in stretto contatto, allo stesso modo la contrapposizione tra conscio e inconscio rende, nella commedia, estremamente simili dì e notte, luoghi di plurime e frequenti contraddizioni.

Così, dopo il giorno e i razionali preparativi per il matrimonio dell’indomani, scende la notte, notte non solo come fase temporale, notte come mondo possibile dove regnano regole differenti, discordi rispetto quelle del giorno, regole che assomigliano al caos e alla follia, regole che non sono. E, per un Oberon re degli elfi che prova, senza troppo impegno, a mettere ordine, c’è un Puck, folletto (ispirato allo spirito dei boschi, omonima figura della mitologia britannica) al servizio del re che, con i suoi errori, mischia le carte e porta scompiglio. Lo spettatore viene avvolto dalla notte, il ritmo della recitazione (in particolare all’inizio del secondo atto, il ritmo del rincorrersi dei quattro giovani amanti, i loro incontri e i loro scontri) lo tiene incollato agli eventi fino a dimenticarsi dello scorrere del tempo, è la magia del teatro, che crea il sogno nella storia dei protagonisti e al contempo nella mente, e nel corpo, dello spettatore, una dimensione dove cambiano le percezioni del reale, dove cambia la percezione del tempo.

A corroborare quanto anzidetto, e meritevole di particolare menzione, la bravura e la freschezza dei giovani attori, nuovi elementi di una compagnia che si trasforma nel tempo rimanendo fedele al proprio giocoso linguaggio teatrale.

Lo spettacolo raggiunge così un’armonia lieta, dove il vero si accorda col soprannaturale, l’irriverenza col razionale e l’amore con la passione, alternando momenti lirici a momenti di esilarante comicità, disegnando sul palcoscenico il ritratto di un mondo plurale, tratteggiando la vita con le sue inguaribili contraddizioni e riconducendo il sogno, e l’irrazionale, sul palcoscenico così come per gli spettatori, alla sua originale natura ludica e gioiosa.

Uno spettacolo ottimamente allestito e interpretato, sicuramente meritevole della nostra partecipazione e visione, della nostra sospensione dell’incredulità.

Crederete (ancor di più) di sognare quando scoprirete quanto tre ore (la durata dello spettacolo) possano scorrere velocemente e leggermente.

 

 

Sogno d’una notte di mezza estate

di William Shakespeare

Traduzione: Dario Del Corno

Regia: Elio De Capitani

Scene: Calo Sala

Costumi: Ferdinando Bruni

Musiche originali: Mario Arcari, Coro della notte di Giovanna Marini

con Corinna Agustoni, Giuseppe Amato, Marco Bonadei, Sara Borsarelli, Clio Cipolletta, Enzo Curcurù, Loris Fabiani, Lorenzo Fontana, Vincenzo Giordano, Sarah Nicolucci, Emilia Scarpati Fanetti, Luca Toracca, Vincenzo Zampa

Luci: Nando Frigerio

Produzione: Teatro dell’Elfo

con il sostegno di Fondazione Cariplo

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