CulturaLetteratura

InChiostroVeritas (19) – Il segreto di Goethe

di Matteo Merogno (Twitter: @ChiostroVeritas)

I romanzi molto famosi, quelli che finiscono sui manuali di Letteratura, alla lunga vengo analizzati sempre allo stesso modo. Personaggi, dialoghi, sequenza, climax, descrizioni, interpretazioni critiche. I libri, però, nascondono piccoli insegnamenti che a volte smettono di essere dettagli insignificanti e diventano preziosi consigli e spunti di riflessione. È questo il caso de I dolori del giovane Werther.

La protagonista femminile Carlotta, seduta comodamente all’interno di una carrozza in viaggio, si lamenta di qualcosa. Non è riuscita a finire un romanzo che le era stato prestato perché già dopo le prime pagine aveva capito di non essere interessata a continuare. A lei quel libro non piaceva come dicono spesso coloro che decidono di lasciare a metà una lettura. Non le piaceva perché non si immedesimava nella storia e nei personaggi – come le fa dire Goethe mentre descrive alle sue spalle attraverso finestrino della vettura il paesaggio naturalistico così tipico del periodo romantico. Capiamo perciò che l’uomo ha bisogno di immedesimarsi per apprezzare qualcosa. Ha bisogno di vedere se stesso un po’ ovunque, di trovare nella realtà il rispecchiamento di sé. Per ognuno gli altri uomini, la natura e le cose sono tutti strumenti utili per delineare con precisione propria personalità: ci restituiscono un’immagine di noi. Questa dinamica nel mondo odierno ha assunto forme raccapriccianti! Si è trasformata. Perché libri, film, eventi, mostre, musica non sono più solo il frutto dell’ispirazione; se così fosse non a tutti piacerebbe tutto e anche nella maggioranza ci sarebbero moltissimi gusti differenti, molti di più di quelli che i sociologi (e anche io ammetto) intravedono.

In pratica ne rimane solo uno: quello della massa. E questo perché l’ispirazione non è più quella carica di pathos che ha portato Goethe a scrivere delle pene titaniche di un giovane romantico e del vento che allo stesso tempo tormenta e culla la natura. Ora la legge dell’ispirazione va a braccetto con un’altra: quella del mercato. L’artista, quello famoso, quello che con la sua arte può mantenere lo stesso tenore di vita di un imprenditore di successo, non si può più chiedere: “cosa mi piace scrivere?”. Deve chiedersi anche: “cosa piacerebbe al pubblico? Cosa piacerebbe al mercato?” Ed ecco che tutti i vari Tre metri sopra il cielo portano tre metri sotto terra la Letteratura vera, quella infiammata di vita. Gli Ho voglia di te fanno perdere la voglia di leggere un romanzo scritto prima degli anni duemila “perché la roba vecchia è noiosa”. E infine le varie Sfumature di colore, a son di copie vendute, gettano nell’ombra quelle ben più importanti, quelle affettive-reali. E in tutto questo il caro “uomo di oggi” è progressivamente diseducato ad amare, a comprendere, a vivere. Carlotta avrà semplicemente cambiato romanzo non essendo soddisfatta di quello che stava leggendo, per poi scoprire in un altro periodo della sua vita che non era così male. Perché cambiata lei, cresciuta, era cambiato anche ciò in cui aveva voglia di immedesimarsi.

Noi oggi preferiamo essere gli autori di prodotti di bassa qualità e continuare a guadagnare, piuttosto che interrogarci sulle possibili soluzioni. Non ci solo i romanzi russi da una parte e la sezione romanzi adolescenziali che a mala pena si servono dei congiuntivi dall’altra. E se pensiamo che sia così, occupiamoci noi di creare qualcosa di alternativo, a metà strada, in cui “amore”  non faccia rima solo con bacio e cuore oppure solo con suicidio. Possiamo produrre qualcosa in cui gli individui si immedesimino senza che alimenti la crescente ignoranza protagonista del nostro tempo? Chiediamocelo e diamoci una risposta!

Non ridere, non piangere, ma comprendi!

inchiostroveritas@gmail.com

5 pensieri riguardo “InChiostroVeritas (19) – Il segreto di Goethe

  • AlbertoS

    Complimenti Matteo, che sentimento nel tuo articolo! Che passione, non concludi amaramente ma dici che dobbiamo fare qualcosa di diverso, costruire una alternativa! Dobbiamo farlo ora. Scardinare l’idea che tutto e` soldi, che dietro ogni cosa luccica il simbolo del dollaro (o dell’euro). Ora pero` io credo che la letteratura spazzatura ci sia sempre stata e che serva per far brillare i fiori tra la merda (parafrasando De Andre`). Tuttavia il cambio di prospettiva avviene quando sistematicamente, scientificamente si orienta la maggior parte delle persone verso un abbassamento del gusto, verso una degradazione delle aspettative. E si relega alla riserva indiana quei pochi che resistono che non sono d’accordo, i quali pero` si rassegnano anch’essi e si accontentano della loro riserva. E se la cantano e se la suonano. Sembra un po’ la metafora delle nostre Universita` di oggi, tutte intente coi bilanci, coi manager e a nessuno importa del fatto che all’universita` bisogna far appassionare, far scoprire, far capire che lavorare dopo e` bellissimo se uno ha capito cosa ama, coso lo rallegra e cosa gli piace fare!
    Ancora complimenti e uniamo le forze per fare qualcosa. Da ex redattore un saluto carissimo.
    AlbertoS

    Rispondi
  • Caro Matteo, stavo giusto per ripetere una delle cose dette da AlbertoS: la “letteratura di consumo” c’è sempre stata. C’era anche quando non esisteva il mercato librario che conosciamo oggi, quando i nobili micenei si radunavano attorno all’aedo, o la gente andava nella piazza del mercato ad ascoltare i cantastorie. Callimaco già se la prendeva coi grandi cicli epici che piacevano tanto al “grande pubblico” (“grosso rotolo, grosso male”, laddove il rotolo è di papiro, va da sé). Così pure Catullo condannava chi voleva imitare i fiumi epici di Ennio ed esaltava una letteratura “di nicchia”, elaborata fino allo spasimo.
    Io starei attenta, però, a costituire una polarità “letteratura d’arte VS letteratura commerciale”. Opere che noi studiamo come pilastri della nostra cultura, come l’ “Orlando Furioso”, nacquero come vera e propria letteratura di consumo. Stendhal inserì “Il Rosso e il Nero” in un mercato librario in cui trionfavano i “romanzi per cameriere”, gli antenati degli Harmony.
    Cosa determina il “gusto della massa”? Trovo personalmente difficile capirlo, dato che le mode mi coinvolgono assai poco e che, in fatto di scrittura/lettura, ho sempre fatto ciò che mi pareva, senza particolari difficoltà, scantonando tranquillamente Moccia, Sfumature varie, ecc. Io credo che ciò che chiamiamo “gusto della massa” sia, in realtà, un complesso mix di sentimenti diversi: curiosità, voglia di “leggere per criticare”, desiderio d’avere un argomento comune in quelle conversazioni quotidiane così “leggere”, ma così preponderanti nella nostra vita… o anche uno schietto apprezzamento, da parte di chi cerca un libro che dia relax ed evasione dopo una giornata dedita a tutt’altro. Certo, il profluvio di pubblicità fa la propria parte. A furia di essere bombardati da un’immagine di copertina, si crea l’effetto “pifferaio magico”. Perciò, rimane importante distinguere un’opera “che vende” da un’opera “che vale”. Può “vendere” un pessimo romanzo presentato in modo accattivante. “Vale” ciò che trasmette carne e sangue dell’autore a persone che si sentono “nutrite” da ciò che egli scrive. Non è detto, però, che queste due cose distinte siano opposte. Ne ha parlato Mariagrazia Mazzitelli: http://erica-gazzoldi.blogspot.it/2013/04/una-passione-senza-crisi.html Un’opera di qualità finissima può godere d’una pubblicità che la renda appetibile al vasto pubblico. Così come un romanzo mediocre può arrivare a toccare corde sensibili dei lettori e far loro compagnia meglio d’un grande classico. Io sono la prima a godere nello stroncare fenomeni come Stephenie Meyer o Valerio Massimo Manfredi, ma non me la sento di qualificare come “ignorante” chi ha le loro opere nel cuore. “Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non comprende” (Blaise Pascal).

    Rispondi
  • InChiostroVeritas

    Ti ringrazio moltissimo per questo prezioso commento,
    Hai ragione: è terrificante quando il nostro capitalismo avanzato agisce in modo sistematico e scientifico in termini di “abbassamento del gusto” e non solo… io per esempio scrivendo l’articolo ho pensato subito alla Scuola di Franforte…ai marinai irretiti dalle sirene.
    Sempre pronto a fare qualcosa e trovare nuove soluzioni!

    Non ridere, Non piangere, ma comprendi!
    😉

    Rispondi
    • AlbertoS

      Bene bene…ma allora cosa decidiamo di fare, qui si tratta di cambiare stile di vita, di rischiare tutto, per cercare di far capire che dobbiamo cambiare il nostro modello di sviluppo in modo radicale. Di questo si tratta, ognuno con le proprie competenze ed esperienze. Dunque Vi chiedo: che fare?

      Rispondi
  • InChiostroVeritas

    Io voglio lottare per ripartire dall’uomo.Perché ognuno riparta da sé. Perché ognuno non rida, non pianga, ma comprenda. Anzi,tenti di comprendere tutto anche perché ha riso e perché ha pianto. In poche parole: lottare perché ognuno sviluppi un atteggiamento filosofico, la prima, vera, unica conditio sine qua non della filosofia… e secondo me della vita dell’uomo in generale.

    Comprendere sempre

    Rispondi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *