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Inchiostro a volontà VIII edizione – 2° POSTO: UNA SCONFITTA APOTROPAICA

di Ilaria Frascarolo

– Quindi pensa di aver trovato in una indipendenza introversa e autoreferenziale la soluzione ai suoi problemi?

– Perché non dovrei pensarlo? Fuori da quella porta c’è un mondo fatto di  decerebrati che scambiano i giudizi degli altri per verità assolute… E lo sa perché? Perché non hanno niente di niente dentro di loro, l’opinione degli altri riempie loro la testa, è tutto ciò che possiedono. Pensano che dalla formulazione della frase dell’altro scaturisca una prova inconfutabile del fatto che qualcosa nel loro ragionamento non torni, che la loro ponderata interpretazione degli avvenimenti abbia delle falle, delle sfaccettature che non avevano notato, magari dei lati oscuri che non volevano vedere.

– E pensa che non ci sia niente di vero in tutto questo? Non crede che ci debba essere un minimo di tensione interpersonale perché si crei una dinamica di qualsiasi tipo, un’evoluzione? E non parlo solo dell’evolversi dei fatti, ma anche di noi stessi, dell’ampiezza delle nostre vedute.

– E perché mai dovrei creare delle dinamiche? Io posso esistere indipendentemente da tutto questo, nel mio ostinato individualismo, nella mia sana ristrettezza di vedute. Chi lo ha detto che ci debba essere della “verità” nel pensiero degli altri? Non potrebbero semplicemente avere torto? E dove mettiamo le calunnie, le opinioni “buttate lì”, le frasi dette solo per irritarsi vicendevolmente? Come dovrei distinguere quello che è detto per aiutarmi da quello che è detto per annientarmi?

– Dovrebbe avere degli amici, persone di cui fidarsi.

– Io mi fido solo di me stessa. È la mia opinione quella che importa, perché è a me che deve importare. Non costringerei mai una donna grassa a sentire i miei giudizi, malvagi in quanto veri, sul fatto che il vestito dovrebbe essere un po’ più lungo, o magari non fasciarle i fianchi. Lei non vuole sentire queste cose! Chiede, non volendo sentire la verità! I rapporti umani sono divorati da un’ipocrisia idiota che non so capire. Escono di casa impostando il cervello in modalità “perbenista”, quella in cui le donne grasse stanno bene in minigonna e in cui la carne di agnello, che ti ha sempre disgustato, è squisita, perché sei ospite di qualche altro idiota che non ti conosce abbastanza per sapere che non mangi agnello.

– Parlare senza offendere si chiama educazione.

– Non si chiama in nessun modo. Indica solo l’aver perso la bussola su tutto, il vagare errabondi con un sorriso stampato sul volto, a scambiarci baci di circostanza sulle guance quando ci si incontra, a fingere entusiasmo per i novelli sposi, i novelli genitori, e per chi spegne le candeline perché oggi ha un anno in più. Nessuno pensa che ci possa essere un’alternativa a tutto questo.

– Non le sembra di essere un po’ troppo riduttiva e semplicistica? Dove mette le tradizioni? Dove i rapporti sociali?

– Dove sono devi dirlo tu a me! Non sono io a millantarne l’esistenza. Forse è sopravvissuto qualche scambio interpersonale che abbia una diversa natura rispetto al meccanismo del do ut des? Siamo utilitaristi, opportunisti e senza scrupoli, ci serviamo degli altri per ottenere vantaggi, agevolazioni, anche solo per costringerli a ricoprirci di affetto, attenzioni, amore…

– Lei confonde i rapporti umani sinceri con l’utilitarismo! Cosa pensa che abbiano in comune?

– Non ci può essere niente di autentico, niente di sincero. Ognuno è completo in se stesso, ognuno deve, tra sé e sé, rimuginare sulle cose, formulare tesi e antitesi, e alla fine autoconvincersi che il ragionamento fili da ogni lato. È così che funziona…

– E se avesse torto? Se il suo ragionamento la portasse dalla parte sbagliata?

– È impossibile.

– E se io le dicessi che trovo la sua solitudine patologica e insensata, priva di radici logiche concrete che prova comunque, con scarso successo, a dimostrarmi, se le dicessi che penso che lei abbia semplicemente paura di interagire con il mondo esterno, e che abbia creato un ragionamento artificioso per giustificare un comportamento assolutamente irrazionale e demofobico?

– Ti aspetteresti rabbia? Pianti? Ammissioni hollywoodiane e commosse delle mie debolezze? Ti risponderei soltanto che ti sarei grata se non mi rendessi partecipe della tua opinione. D’altronde, non è di questo che stiamo parlando? Non si tratta di quel ragionamento artificioso che io sto provando con scarso successo a dimostrarti?

– Non siamo tutti ipocriti ed egoisti.

– Lo siete. E volete convincervi che nei rapporti umani ci sia qualcosa di più etereo e impalpabile della mera utilità. Siete dei sognatori.

– Forse, ma una convinzione comune crea una mezza verità.

– Mezza verità cui io oppongo fieramente la mia. Sarà piccola, ma perlomeno è intera.

– Non ha contatto con il mondo esterno, come sa che quella è la verità? Come può un’opera d’arte essere considerata tale se nessuno la può contemplare e giudicare, anche se si tratti inconfutabilmente di un capolavoro?

– La verità vivrà, come l’opera d’arte, della sua essenza, non avrà bisogno di autocelebrarsi, né tantomeno della celebrazione da parte di terzi estranei che non vedranno mai nemmeno la metà della sua bellezza.
Ascoltami: pensa alla donna più bella che tu abbia mai visto. Scommetto che non le hai mai detto neanche una parola, vero?
E ora dimmi, questo rende quella donna meno bella ai tuoi occhi?

– Non saprà mai se quello che dice è vero, se non lo mette alla prova.

– Allora rimarrò nel dubbio. Anzi, aspetterò che qualche nuovo dato offuschi la mia certezza e le dia nuova forma e nuovo contenuto. Ogni pensiero è in divenire, cambia a seconda di ciò che si apprende. Deve però subire un’evoluzione, non essere fuorviato.

– Ascoltare gli altri non la obbliga a cambiare idea riguardo alle sue convinzioni. Forse non è così certa delle conclusioni cui è arrivata.

– Ho paura di sbagliare e confondermi, e di dovermela prendere con qualcun altro per questo. Può essere vero. Mi tolgo dall’impaccio evitando di sentire ciò che gli altri hanno da dire.

Per qualche minuto regnò il silenzio nella piccola stanza. Si riusciva a sentire qualche goccia di pioggia trasversale che batteva sui vetri sottili, e mentre il buio soffocava ogni cosa, quella stanzetta rimaneva un microcosmo illuminato. Fuori, corsa e frenesia di uomini e donne con gli ombrelli e le scarpe zuppe d’acqua angosciavano le strade; dentro, quei pochi metri quadri asciutti sembravano aver eletto la calma a loro regina.
Lei si era girata a guardare quel caos, e stava percependo quell’ossimoro di luci e ombre che in qualche modo la faceva sentire protetta.
Lui osservava il suo viso di scorcio, e l’orecchio nascosto da qualche capello in disordine, e, infine, le rispondeva.

-È lei la donna più bella che io abbia mai visto.

Lei rise.

-E questo cosa sarebbe? Un nuovo metodo psichiatrico per la cura della demofobia? Indurre un effetto transfert inesistente sulla paziente per costringerla a creare rapporti umani di qualche tipo? Ingegnoso! O forse, dopotutto, non così tanto…

Lo psichiatra subiva le sue parole in un atteggiamento ibrido tra un’analisi scientifica e un’ipnotica contemplazione.
La scrutava nei più minimi movimenti, la vedeva fomentarsi con la sua stessa convinzione, così consapevole della sua arguzia, e ormai, non la ascoltava più.
La osservava, e si innamorava di quell’oscurità.
Si alzò di scatto, la prese per le spalle e la tirò in piedi.
Poi la baciò a lungo, stringendola a sé.
Di nuovo, ci fu un lungo momento di silenzio.

Ilaria Frascarolo

– Ecco la prova che esistono impulsi, emozioni inspiegabili, ma che provengono dall’esterno, che sono reali. Ecco la prova che posso importi di ascoltare quello che penso. Saresti bella anche senza di me, ma è grazie ai miei occhi se sei la più bella che io abbia mai visto.

Lei pianse, forse aveva visto, di fronte a sé, uno spiraglio di vita vera.
Sentì dentro di lei la paura, l’incertezza, il rischio.
Rincorreva quella chimera assolutamente irrazionale.

– Mi ha dato del tu…

I suoi schemi erano crollati.

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