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Il rilancio dell’Onda

di Alice Gioia

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Sono passati quasi cinque mesi dall’ottobre caldo dell’Università italiana. All’epoca le notizie di proteste, scioperi e occupazioni si erano inseguite sulle pagine dei quotidiani nazionali, tornando a far parlare di un movimento sociale che qualcuno ha definito magmatico, altri nostalgico. Ma, al di là delle classificazioni stereotipate e delle previsioni sfavorevoli, l’Onda sembra non essersi arenata sulle spiagge dell’abitudine.
Sicuramente è sparita dai media, ad eccezione di “Facoltà creative”, il box che Antonio Larizza cura sulle pagine di Nòva24, e della risonanza data all’ultima boutade di Brunetta. Ma l’Onda, ultimamente, sta lavorando in sordina: a Pavia, per esempio, gli ultimi cinque mesi sono serviti ai vari gruppi impegnati nella protesta per riorganizzarsi operativamente sul territorio. Con seminari e lezioni autogestitite hanno prodotto materiale “critico”, finalizzato a scattare un’istantanea della nostra società. E, adesso, i Giovani del Surf rilanciano la sfida con una proposta costruttiva, già messa in atto da molti Atenei (ma appena agli inizi nel nostro). La ricetta contro la crisi del “sistema” consisterebbe nell’organizzazione di laboratori di studio autonomi, ma istituzionalmente riconosciuti tramite i famigerati crediti formativi, in cui il programma è scelto e approfondito proprio dagli studenti. L’idea non è originale, ma potrebbe funzionare: chi ha avuto la fortuna di incontrare professori di larghe vedute, che almeno una volta sono scesi dalla cattedra e hanno ceduto il posto ai loro studenti, magari esortandoli ad affrontare a mani nude un determinato problema, conoscono il valore formativo del “mettersi in gioco”.
Per presentare il loro modello di “Patto sociale”, i ragazzi dell’Onda hanno organizzato una Controinaugurazione dell’anno accademico. Ospiti speciali: due autori protagonisti della mobilitazione sociale più significativa degli ultimi anni (soprattutto se si considerano le conseguenze). Si tratta di Wu Ming 1 e 2, esponenti del gruppo letterario che, grazie al libro “Q”, ha rappresentato uno dei principali agenti motivazionali delle proteste no global al G8 di Genova.
“Tutto è nato per caso”, afferma Wu Ming 1 “forse perché Q era un’allegoria della situazione che si stava formando attorno al G8, anche se in realtà è stato scritto molto prima. Ma il nostro errore è stato quello di utilizzare una metafora sbagliata: richiamando lo schema millenaristico delle moltitudini che assediano gli imperi, abbiamo evocato un esercito di fantasmi che avrebbe dovuto sostenere la nostra parata contro il potere. Non ci siamo resi conto che, innanzitutto, era impossibile assediare in questo modo il potere, di cui il G8 altro non era se non una manifestazione esteriore. Abbiamo mobilitato il passato, strumentalizzandolo per scopi politici. E poi abbiamo concentrato tutte le nostre energie in quei tre giorni, senza capire veramente che il modo di cambiare le cose non è quello.”
Una profonda, sincera e ragionata autocritica, resa ancor più forte dal loro essere stati in qualche modo leader intellettuali del movimento no global. Un discorso che ha spiazzato anche i Surfisti, indecisi se applaudire oppure no, “criticamente” turbati dalla consapevolezza dei loro stessi errori. Primo fra tutti, l’analogia forzata con il Sessantotto, richiamato più o meno inconsciamente dal linguaggio stantio e veterocomunista rispolverato per l’occasione, in cui abbondano i “sistema”, le “sintesi” e i “compagni”, l’ essere “contro”.
Chissà che le parole dei Wu Ming non portino consiglio. Perché, per usare una metafora efficace proposta da Wu Ming 2, nella lotta per resistere al canto delle sirene la strategia più efficace non è il sabotaggio in stile Ulisse, che ha tappato le orecchie ai suoi marinai e si è fatto incatenare all’albero maestro. Ma è l’approccio degli argonauti, che hanno ignorato il canto delle ammaliatrici facendosi incantare dai racconti di Orfeo; che hanno resistito, perché avevano altre storie da ascoltare. È vero, se non sono persi per strada uno, che si è distratto e si è buttato in mare. Ma, forse, è stato a causa di un deficit di partecipazione: se tutto l’equipaggio si fosse messo a raccontare, ci sarebbero state molte più storie, e molto più interessanti.

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