Attualità

Il primo giorno di scuola

di Giovanni Cervi Ciboldi

Oltre il folklore dei voti fotografati e delle matite umettate, oltre l’eccitazione da bambino al primo giorno di scuola, oltre l’inutile rincorsa allo studio dell’antropologia del voto di protesta, il pugno di certezze ostentate da Grillo non bastano ad archiviare con altrettanta decisione il risultato, enorme, del Movimento Cinque Stelle. Perché, a conti fatti, il primo risultato evidente è che nessuno – né destra né sinistra – ha i numeri per governare.
Così la prima domanda è che cosa rimanga, alla luce dei risultati di queste elezioni, di quel voto utile che è sì servito a lasciar fuori dal Parlamento partitini e partitelli, ma che ai fini di governo appare ora inutile. L’organizzazione bipolare giova ancora a chi non ha rinunciato a mettere una croce a destra o a sinistra: ma quale bipolarismo può dirsi vivo quando un quinto della popolazione porta in parlamento chi del suo terzismo – ed oltranzismo – distruttivo ha fatto il suo punto di forza? Quale bipolarismo fonda così fortemente la propria scelta elettorale sul carisma dei leader, premiando i grandi capi, con buona pace della tanto decantata fine dei partiti personali o personalistici?
La seconda domanda è quale ruolo giocherà il primo partito italiano, nel caso non decida di sancire la sua morte prematura alleandosi con qualcuno. Una forza parlamentare che non ha una base se non nella protesta e nella sfiducia non funge da ago della bilancia, ma da terzo incomodo, da minaccia alla continuità con un passato non certo nobile: minaccia che prima urlava da fuori dal Parlamento, e che ora ci si ritrova dentro.
E allora la terza domanda è a che cosa servirà questo mugghio, e se tale rimarrà: perché dove le prove di governo sono in atto, come a Parma, le urla che si sentivano fuori dalle mura si sono sopite in sibili all’interno del palazzo comunale, indebolendo le possibilità di bissare quel successo elettorale.
Il voto ordinario, consueto alla destra o alla sinistra è uscito dalle urne tutto ammaccato, così come quello ritenuto “responsabile” o “costruttivo”: nel Monti contro Grillo, tra la testa e la pancia, la board contro la piazza, il vincitore è chiaro. Il Movimento Cinque Stelle ha concentrato in sé molti temi del “no”, patrimonio degli estremi che furono. È Grillo che ha cancellato Ingroia e Di Pietro molto più di quanto non siano stati capaci di cancellarsi da soli, così come ha sostituito Vendola nel voto antisistema e agguantato metà dei voti leghisti. Ma non solo, perché la debacle del Partito Democratico e della sua inconsistente campagna elettorale è stata soppesata dal trionfo a cinque stelle.
Grillo ha detto che tornerà nei teatri, che la sua creatura camminerà da sola. Intanto sarà lui ad andare da Napolitano: «per prendersi una soddisfazione». Così come rimane lui il punto di riferimento, il proprietario dei simboli: perché il Movimento Cinque Stelle è il lavoro e la rendita di Beppe Grillo. Ma forse ha paura. Nemmeno lui, nemmeno il capo della setta si aspettava un risultato del genere. Lo diceva, lo urlava e lo voleva. Ma non si aspettava di ritrovare la sua creatura così ingigantita, con tutti gli occhi puntati addosso e le mani pronte a premere il grilletto al primo passo falso. Né può certo credere o pretendere che tutti coloro che lo hanno scelto vogliano partecipare alle scelte del partito: un italiano su cinque ha votato Movimento Cinque Stelle, ma uno su due nemmeno accede alla rete.
Tra la distruzione e la costruzione c’è un divario forse incolmabile. E il rischio più grande per il movimento ora è l’apatia, più grande di quello di ritrovare opportunisti, incompetenti e voltagabbana anche tra le sue fila. Il dimostrarsi non capaci di continuare a rispondere e alimentare la pancia di chi ha messo una croce su quelle cinque stelle significherebbe il fallimento di tutta la macchina messa in moto sette anni fa e degli ingranaggi scelti per il suo funzionamento, con la conseguente impossibilità di raggiungere di nuovo questo risultato.
Per ora i grillini sono e rimangono un simbolo di malcontento. Al capo serve una idea per trasformarli da chiassosi spettatori in attori compatti. Per dargli continuità non basteranno i “no” generalizzati e i diktat di una posticcia struttura a due, pronta a silurare il dissidente che la fa fuori dal vaso. Altrimenti gli spettatori rimarranno tali anche nel Parlamento, e se gli attori rimangono immortali, il pubblico cambia: e verranno sostituiti, pian piano, dopo che il film sarà finito, quando questo malcontento cesserà, dopo che al posto della pancia sarà ascoltata la testa.

3 pensieri riguardo “Il primo giorno di scuola

  • “Questa è la convalescenza. Dovevamo liberarci dalle vecchie abitudini” mi ha detto mio padre, parlando della situazione politica attuale. Speriamo che abbia ragione.

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  • Stefano Sfondrini

    Posto che fascismi ce ne saranno sempre, intesi come oppressione della libertà (e la Storia ce ne mostra, di esempi, “di destra” e “di sinistra”), abbiamo ancora nel 2013 giovani che si danno dei “compagni” pervasi da una sorta di “nostalgia rossa”. Quando capiranno che le ideologie sono morte e sepolte FORSE si potrà pensare di costruire qualcosa di nuovo.

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  • Aisenauer, non Eiaenhower nè Adenauer

    Non sanno nemmeno cosa sia il “rosso” nel quale credono. Egualitarismo forzato con gambe nel ghiaccio in Siberia e bastonate al padrone in Padania.

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