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Il filo della satira

Intervista ad Alberto Patrucco, comico e artista

 

Alberto Patrucco, comico italiano noto per aver partecipato a Zelig e Colorado Café, qualche settimana fa si è esibito a Pavia a SpazioMusica. Ha accompagnato un monologo corrosivo sulla società odierna (quale direzione sta prendendo?) con alcune canzoni, da lui stesso tradotte in italiano, del cantautore francese Georges Brassens. Patrucco si definisce un “pessimista comico”.

 

 

La satira ha dimostrato di essere centrale nel dibattito politico e sociale italiano. Chi meglio di un comico – soprattutto in questi giorni, e visti i recenti boom – può spiegarne il ruolo e l’importanza?

Nonostante problemi tecnici del suo pc, Alberto ha accettato di rispondere ad alcune nostre domande proprio su questi argomenti.

Pessimismo Comico: parafrasando Leopardi, insomma… Può spiegare questa espressione?
Nel mio piccolo, ho fondato una corrente satirica, una piccola branca della satira moderna, detta del “Pessimismo Comico”. Di questa corrente faccio parte soltanto io, nessun altro. Più che una corrente è uno spiffero, ma ci sono affezionato. In poche parole, per “Pessimismo Comico”, intendo il disincantato espediente di ridere sul “serio”. La voglia di disinnescare la pesantezza degli argomenti più impegnativi con l’arma dell’ironia. È un’operazione estremamente liberatoria.

Cosa pensa della satira e della comicità italiana? È utile alla società? Cosa dovrebbe cambiare?
Di primo acchito verrebbe da pensare che la satira conti poco. Vedendo però l’ostracismo televisivo di alcuni mattatori della scena italiana, si comprende come la satira qualche “piccolo” fastidio al potere lo procuri. Forse perché la funzione della satira è anche quella di ricordare, riportare alla memoria, rendere nuovamente attuale ciò che altrimenti andrebbe disperso. In questo percorso, qualche rischio non manca. Primo: prendersi troppo sul serio. Un comico che si prende sul serio è tragico. Secondo: abbracciare posizioni politiche, trascurando i meccanismi comici. Se la satira perde il suo contenuto umoristico, diventa comizio, fervorino, pistolotto moraleggiante, ed è un modo scorretto di prendere in ostaggio il pubblico. Questo non significa che non si debba avere un punto di vista. Tutt’altro: piazzare stoccate anche smaccatamente di parte è lecito e opportuno. Ma se c’è ben piantato e funzionante il meccanismo comico, tutti sono chiamati a stare al gioco. Al contrario, se manca comicità, il pubblico è chiamato a condividere. C’è una bella differenza.

Le è stato molto caro, durante il suo discorso, il tema del disorientamento. Cosa manca alla collettività oggi? Cosa potrebbe orientarla?
Il mio nuovo lavoro teatrale, Molestia @ parte, è proprio incentrato sul tema della direzione. Seguendo il filo rosso della direzione di marcia, lo spettacolo muove intorno a una domanda: l’uomo sa dove sta andando? Già, perché se Cristoforo Colombo scoprì l’America convinto di essere in India, cercare forme di vita su Marte quando già ci sta sullo stomaco l’inquilino del piano di sotto non sembra molto più sensato. Forse, più che smarrita, la retta via, probabilmente, non l’abbiamo mai presa.
Su come orizzontarsi, su che tragitto seguire, non spetta a me suggerire risposte. La satira non deve essere propositiva. Il comico non propone, il comico abbatte. La satira non deve costruire, deve distruggere. Il satiro va di badile e rade al suolo; usa la mazza e picchia come un fabbro. Conviene diffidare del comico che propone qualcosa.

Cosa pensa del rapporto, oggi all’ordine del giorno, tra comicità e politica?
Mi avvalgo della facoltà di non rispondere.

Parlando invece dell’autore che lei ha tradotto, Georges Brassens, quali sono i temi di attualità forte che propone? E perché l’uomo del 2013 dovrebbe ascoltarle?
Considero Georges Brassens il più grande autore di canzoni. Un artigiano che utilizzava parole e musica povere di sentimentalismo e ricchissime di sentimento, acume e ironia. Sull’attualità dei testi di Brassens, faccio solo notare che ascoltando le sue canzoni è rarissimo incappare in qualcosa che identifichi con precisione l’epoca in cui la vicenda si svolge. Non ci sono punti di riferimento temporali, non si parla, per dire, di automobili, aerei, lampadine, radio, televisione… Le canzoni di Brassens sono mondi atemporali e forse proprio per questo resistono all’usura del tempo e rimangono, per le loro tematiche, di un’attualità sconcertante.

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