Attualità

I 600 milioni del ponte fantasma

di Simone Marchesi

Il governo Monti, vista la difficile situazione economica che attraversa il nostro paese, aveva rinunciato alla costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, dichiarando che “l’Italia non può permettersi questa infrastruttura”. Tale decisione è stata poi rivista in seno all’ultimo Consiglio dei Ministri, dove si è deciso di prorogare di due anni l’approvazione del progetto definitivo del Ponte. Ventiquattro mesi ancora di lavoro per i dipendenti della società “Stretto di Messina”, che dal 1981 ha collocato il suo progetto solo sulla carta ed è costata fino a oggi 300 milioni di euro, a cui si devono aggiungere i 300 milioni da versare per le penali, maturate tra opere realizzate e mancati guadagni per il consorzio di imprese, guidate dalla Impregilo Spa (La Repubblica).

Di quest’opera si era incominciato a parlare nel lontano 1866, con il governo Ricasoli, che aveva ideato la costruzione di un ponte per collegare la Sicilia alla terra ferma. Ma è solo nel 1981 che lo Stato ha iniziato questo sperpero di denaro pubblico, quando durante l’esecutivo Spadolini, Forlani ha dato avvio alla costruzione di questa opera faraonica. Dal 1981 a oggi si sono spesi 300 milioni di euro, tra consulenze, mantenimento sedi distaccate e stipendi dei vari amministratori.

Consulenze. Sono stati spesi nel solo 2005 5,7 milioni di euro per “prestazioni professionali di terzi”, in altre parole spese per le ricerche dei consulenti. Queste prestazioni stimavano, tra le altre cose, l’impatto emotivo del ponte sulla popolazione locale e le relazioni coi flussi migratori dei cetacei. In un periodo di crisi economica, dove una famiglia italiana su tre non arriva alla fine del mese, spendere quasi 6 milioni di euro sull’emotività della popolazione locale mi sembra alquanto eccessivo, per non parlare delle emigrazioni dei cetacei.

Sedi distaccate. Aggettivo più appropriato sarebbe stratosferico, dall’affitto di un appartamento il cui canone di locazione ammontava a 900 mila euro l’anno, si è passati a una sede più grande, dove il locatore riceve dei milioni e 200 mila euro annui. Appare logico che lo Stato paghi con i soldi dei contribuenti l’affitto a sei zeri di un appartamento a Roma a una società il cui progetto, assegnatoli trent’anni fa, si è realizzato solo sulla carta? La ragione risponderebbe di no, ma come citava Shakespeare: “Ci son più cose in cielo e in terra, Orazio, che non sogni la tua filosofia”.

 Spesa per il personale. In otto anni per il personale lo Stato ha speso 28,8 milioni di euro, con un incremento della pubblicità del 500 %.

Dobbiamo precisare che quest’opera, che era considerata nel 1988 come di “interesse comunitario”, non gode più di tale privilegio, perché nel luglio 2011 l’UE ha cancellato il ponte tra i suoi piani strategici, privando il nostro paese dei fondi comunitari. La scelta di prorogare di due anni il progetto definitivo dell’opera, ci pare, alla luce di quanto detto inconcepibile. Un vero e proprio schiaffo all’Italia onesta, che vede ripagati i propri sforzi per finanziare sagre di spreco e inutilità.

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