Heartbreak Hotel – Stanza 207
Sono passati tre anni da quando il collettivo Snaporaz portò l’Heartbreak Hotel in scena, all’interno del progetto Apache, in Heartbreak Hotel – Primo Soggiorno. In linea con la poetica citazionista del collettivo fondato da Gilda Deianira Ciao, Matteo Salimbeni e Fulvio Vanacore, il titolo dell’opera, Heartbreak Hotel, è un lampante ammiccamento pop: un tributo ad un singolo di successo di Elvis Presley. Heartbreak Hotel è un soggetto che ha calcato il palco con diverse storie e in diverse forme; sperimentazioni linguistiche che denotano la cifra stilistica di Snaporaz: prosa, ma anche performance, installazioni e un radiodramma raccontano le vicende che attraversano l’hotel. Arricchito dalle ultime metamorfosi, l’Heartbreak Hotel torna con un nuovo episodio: Heartbreak Hotel – Stanza 207, ospitato nella programmazione del Teatro i dal 21 al 26 febbraio.

Ciò che viene rappresentato rientra nell’ordinario: il declino di una storia d’amore, con i suoi slanci iniziali, le incrinature e i silenzi che cercano di celare l’evidenza del fallimento, la paura di scontrarsi con la fine. Brad (Vincenzo Giordano) e Veronica (Alice Spisa), nel tentativo di salvare il rapporto, si rifugiano nello spazio protetto dell’Heartbreak Hotel, la sera del 31 dicembre. I due andranno verso la deflagrazione definitiva, uno scoppio violento che culmina con uno scorcio di rasserenamento sul finale. La distanza ravvicinata fra attore e spettatore, motivata dall’assenza di palco nella sala, sembra dare a quest’ultimo la funzione di testimone della vicenda.

L’estraneità corrosiva dei due viene evocata da efficaci scelte registiche nella composizione dell’immagine: il contrasto tra il primo piano disperato di Veronica a bordo scena e Brad sullo sfondo a cantare musica leggera si salda nell’immaginario per la sua immediatezza icastica. L’uso delle luci rafforza la scena con atmosfere di cupezza, evidenziando la tensione latente con dissolvenze e sfumature d’arancione. Alla suggestione visiva si accompagna il suono che, attraverso la chitarra di Alberto Sansone, enfatizza l’insofferenza trattenuta e l’imminente scoppio. La dimensione quotidiana dell’ambiente viene restituita da un nutrito numero di oggetti sulla scena, che non debordano nel decorativo, ma rispondono esclusivamente ad un’esigenza narrativa.
Investito di un compito epifanico, l’Heartbreak Hotel si rivela per essere qualcosa in più di una mera cornice narrativa: è una presenza che influisce sulle vite degli ospiti, costringendoli al confronto. Considerarlo un’ambientazione è riduttivo. Per poterne afferrare pienamente il significato drammaturgico, va pensato come effettivo protagonista.

All’interno della pièce non si consuma alcuna tragedia, ma si assiste ad un decorso quasi fisiologico, in cui è tristemente facile potersi ritrovare. Ed è in questo che sta la spietatezza della vicenda: nella naturalezza con cui un rapporto si frantuma, nell’incapacità di trovare una spiegazione e ricondurla ad una causa precisa. Brad e Veronica ci parlano del dolore che la fine di una storia porta con sé: un dramma ordinario senza colpevoli.