Scienza

Fleming o (l’inaspettata virtù della muffa).

La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita. Terrorizza pensare che sia così fuori controllo.

Terrorizza in realtà pensare che questo incipit, tratto dal film Match Point, possa applicarsi anche alla Scienza. Eppure, ad un’analisi attenta, il Caso e il “momento giusto” (così importante per gli uomini da essere saggiamente divinizzato dagli antichi greci col nome Kairos) sembrano essere una presenza tanto decisa quanto ingombrante di molte significative scoperte scientifiche. Tra queste spicca in particolare, anche grazie alla sua popolarità, la scoperta della penicillina, il primo antibiotico di efficacia tale da rappresentare una rivoluzione medica paragonabile per importanza alla vaccinazione.

Alexander Fleming nacque il 6 agosto 1881 in una fattoria vicino Darvel, uno sperduto paesino della Scozia rurale. A quattordici anni, dopo aver trascorso un’infanzia immerso nella natura, si trasferisce a Londra, dove frequenta la Royal Polytechnic Institution (oggi University of Westminster). Il giovane tuttavia non apprezzava né gli studi compiuti né il lavoro che ne derivava; lo scoppio della seconda guerra boera nel 1899 gli consentì di sfuggire arruolandosi con due dei suoi fratelli in un reggimento scozzese. I tre fratelli Fleming non andarono mai nel Transvaal a combattere, esercitandosi invece in svariati sport, tra i quali il tiro a segno e il nuoto.

Conclusa quest’esperienza Alexander decise di cambiare strada e studiare Medicina, sfruttando l’eredità di uno zio e spinto anche dall’attività fiorente del fratello maggiore Tom, già medico. Il giovane scozzese studiò alla St Mary’s Hospital Medical School, una facoltà oggi parte dell’Imperial College. Il motivo di questa scelta fu in realtà lo sport: indeciso tra varie scuole, Alexander compì una decisione memore di una sua partita di pallanuoto contro la squadra della St Mary. Una volta completati gli studi, il neolaureato fu convinto a rimanere alla stessa istituzione non tanto per le sue doti intellettuali (che comunque iniziavano già a venire a galla), ma sempre per motivi sportivi. La sua bravura nel tiro a segno spinse infatti il capitano della squadra, studioso dell’Inoculation Department (Dipartimento Vaccini), a chiedergli di continuare gli studi alla St Mary. Alexander, acconsentendo, seguì il capitano passando dalla chirurgia alla batteriologia ed entrando sotto l’ala protettrice del dottor Almroth Wright, pioniere della vaccinazione.

Durante la prima guerra mondiale, Fleming fu chiamato alle armi come capitano della Royal Army Medical Corps; allestendo un ospedale-laboratorio da campo, osservò che non erano tanto le ferite a uccidere i soldati, ma le loro infezioni, che erano in grado di rendere mortali anche ferite poco significanti. Ciò che però lasciava lo studioso perplesso era il fatto che i farmaci utilizzati per trattare le infezioni, i cosiddetti antisettici, portavano nella pratica ad un numero spropositato di morti. Il batteriologo fu infine in grado di dimostrare con un esperimento che gli antisettici non facevano altro che sterilizzare lo parte esterna delle ferite, lasciando che i batteri anaerobi (in grado di sopravvivere senza ossigeno) infettassero gli strati più interni. Questa scoperta, seppur significativa, fu prontamente ignorata dalla comunità scientifica che non disponeva comunque di altri mezzi pratici per affrontare le infezioni.

Nel 1922, ponendo in coltura un campione di muco nasale su capsula di Petri (o, secondo le fonti più maligne, starnutendoci sopra), Fleming notò che la crescita batterica risultava inibita per alcuni giorni. Lo scienziato concluse che ciò fosse dovuto a una sostanza, da lui battezzata lisozima (portmanteau di lysein, sciogliere, ed enzima). Nonostante gli esseri umani se ne siano accorti solo recentemente, altri animali conoscono inconsciamente il potenziale effetto antibatterico delle proprie secrezioni (basti pensare all’azione istintiva dei cani che leccano le ferite con la saliva). Nonostante i risvolti interessanti, l’effetto del lisozima non era di grande portata: serviva qualcos’altro per tenere a bada i batteri.

Il 28 settembre 1928, ritornato in laboratorio dopo un periodo di ferie, Fleming notò che una coltura di batteri stafilococchi (ospiti ingombranti della nostra pelle) lasciata in un angolo del laboratorio era stata contaminata da un fungo del genere Penicillium. In maniera però sorprendente, i microrganismi vicini al nuovo arrivato erano stati distrutti mentre gli altri, inquietati dalla sua presenza, formavano colonie più lontane del previsto. Fleming esclamò stupito: “That’s funny” (Questo è strano).

penicillin colonia

Fotografia di una capsula di coltura che dimostra la distruzione degli stafilococchi dovuta al Penicillium (macchia bianca in alto)

Mentre in tempi più moderni una condotta igienica del genere avrebbe portato alla fustigazione da parte dei tecnici di laboratorio, la colonia lasciata letteralmente ad ammuffire portò Fleming ad un’intuizione fondamentale: il fungo produce qualcosa che uccide i batteri. Dopo aver coltivato il Penicillium, la sostanza in questione passò dal chiamarsi informalmente succo di muffa a penicillina. Lo scienziato scozzese, presentata la scoperta nel 1929, non riuscì però a isolare l’agente specifico, la molecola che desse al succo di fungo la sua proprietà antibatterica. Ci vollero circa dieci anni di continui ed esasperanti studi prima che due biochimici di Oxford, Howard Florey ed Ernst Boris Chain, iniziassero a interessarsi alla questione, finanziati anche dai governi degli Alleati impegnati nella Seconda Guerra Mondiale. Il lavoro dei due scienziati, supportato da altri studiosi come Edward Abraham e Norman Heatley, portò finalmente all’isolamento della molecola della penicillina e alla sua produzione in massa.

Fleming acquisì grande fama per il resto della sua vita, come testimoniato da una serie di leggende metropolitane che lo volevano stranamente legato al destino del Primo Ministro Winston Churchill. La più celebre di queste storie vorrebbe infatti che il padre Hugh avesse salvato un giovane Winston da un pantano in giovane età e che Lord Randolph Churchill, come ringraziamento, avesse pagato gli studi di Alexander. Un’altra leggenda racconta invece che il Primo Ministro si fosse ammalato gravemente in Tunisia, e che Fleming in persona l’avesse salvato, come deus ex machina romanzesco, con la penicillina. Ciò è falso perché in quel periodo la penicillina era ancora sconosciuta ai più e infatti il Mastino inglese fu curato con i sulfamidici, la prima vera classe di farmaci antibiotici, presto oscurata dall’antibiotico per antonomasia.

Dopo il Nobel nel 1945 insieme a Florey e Chain, Fleming continuò la sua attività di ricerca fino al 1955, morendo a Londra per un infarto. Il medicinale figlio dello scienziato fu in seguito sconfitto (sicuramente per ripicca) dagli odiosi stafilococchi, che hanno sviluppato una spiccata e pericolosa resistenza; i membri della famiglia delle penicilline riescono comunque oggigiorno a tenere testa a una serie di batteri, tra i quali spicca significativamente il Treponema pallidum, responsabile della sifilide.

La Scienza può spesso sembrare un procedere fluido e cristallino da un’osservazione a un’ipotesi che venga confermata o meno da esperimenti, come dettato dal metodo scientifico. Questa visione, anche se esatta alla base, non tiene conto però di chi compia l’osservazione iniziale e in quali circostanze. La storia scientifica è costellata infatti di individui che, nonostante innumerevoli sforzi, non siano riusciti a “sfondare” per il semplice motivo di non aver pensato la cosa esatta al momento esatto. Di converso, le grandi menti scientifiche come Fleming riescono a coniugare con abilità le loro intuizioni con ciò che viene posto loro davanti dal motore immobile delle vicende umane: la regione glutea.

È vero quindi che il caos ci domina inesorabilmente ma va anche detto, citando Louis Pasteur, che Il caso aiuta le menti preparate.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *