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Filologia e Campari: “Romeo e Giulietta” di Tournée da bar

Applausi, urla (tante), lanci di fiori, inascoltate richieste di bis e qualche svenimento ieri sera, all’Osteria Sottovento ben nota ai pavesi meglio svezzati, in occasione di Romeo e Giulietta di Shakespeare; messo in scena con strepitoso successo da un duo di attori e dal loro accompagnatore musicale.

No, non ho di nuovo sniffato la colla vinilica.

Si chiama Tournée da bar il progetto di Davide Lorenzo Palla. «Un nome, un programma»: quello di fare teatro shakespeariano in un locale adibito alla ristorazione e (soprattutto) al consumo alcolico, eleggendo a pubblico coloro che presso detto locale si siano riuniti per ristorarsi e (soprattutto) consumare alcol. Il tutto nell’ottica di rievocare la culla dei testi di Shakespeare, quel Globe Theatre ligneo che dominava una Londra elisabettiana fangosa, rumorosa e dal contegno decisamente poco British.

Plebe varia raccolta a semicerchio attorno al palcoscenico, alcolismo imperante, estrema disponibilità del pubblico ad abbattere la quarta parete un lancio di schifezze alla volta: è qui che vedono la prima luce le opere che poi sono diventate emblema del teatro tutto, terreno prediletto degli studiosi, contenitore privo di fondo a forma di omino stempiato – ma munito di distintive barbetta e gorgiera [1] – in cui riversare tutto lo scibile teatrale dei secoli successivi.

Filologia del contesto, praticamente. [2]

Il più melenso tra i capolavori di Shakespeare, fonte inesauribile di ogni stereotipo amoroso e di ogni pretesa superiorità dei veronesi sui vicini vicentini golosi di felini, messo in scena in un bar; modulato sulle note di urla, ordini al bancone, richieste del pubblico e gli occasionali versi. [3]

Nel caso quanto scritto finora avesse fatto pensare altrimenti: ragazzi, funziona.

Funziona a meraviglia.

Enrico Pittaluga e Graziano Sirressi recitano con passione, a metà tra irriverenti Comici dell’Arte e disillusi commentatori da candid camera, un’opera unica, archetipo degli archetipi di ogni vicenda amorosa, facendone vera sensation da bar, godimento di sobri e no, festa per gli habituée del teatro come per i bevitori colti alla sprovvista. [4]

Giocano col dettato originale, lo stravolgono quando necessario per mostrare l’assoluta attualità del suo contesto, per poi riprenderlo con il 100% di fedeltà durante gli snodi focali: esplorano la tragicità della vicenda con impareggiabile trasporto, la rievocano nella sua autentica forma senza cedere nulla al melenso. Su un fondale di un’essenzialità disarmante (parodia di un sipario che costituisce anche la rudimentale scenografia di una città rinascimentale) [5] dipingono una vicenda estrema, accendono passioni, animano la fantasia degli spettatori.

E sono complici attivi, questi ultimi: chiamati a recitare il ruolo di facinorosi Montecchi e Capuleti (quale migliore parte per la fauna da bar?), a definire le sembianze del signore di Verona che li richiama all’ordine [6] o a ipotizzarsi un Romeo collettivo che trattiene a stento l’ilarità di fronte al sigaro spento di un confessore barese. [7] Come nel Globe originale, la quarta parete non esiste. Dal palcoscenico alla “platea” rimbalzano scherzi, si fanno richieste, passano di mano (e di bocca) vino e birra. Una convivialità totale e una partecipazione viscerale, sancita dalla frequente chiamata in causa dei singoli [8] e tutta giocata sulle sapienti note del musicista Roberto Antonio Dibitonto: polistrumentista, maestro di cover dei Led Zeppelin e fine imitatore di allodole.

Un altro giro per Tournée da bar: offriamo noi. [9]

Un solo, piccolo appunto in coda. Il Sottovento, lo sappiamo, è accogliente; e ci piace così.

Le mie gambe, però, non avrebbero disdegnato un po’ di spazio aggiuntivo.

[1] Gorgiera: definiscasi così quella roba vaporosa che gli uomini del Rinascimento portavano attorno al collo nei momenti destinati a farsi ritrarre a olio sulla tela del caso. Probabile corrispettivo antico della «faccia a culo di gallina» (vedesi la relativa voce) caratteristica dei contemporanei selfies. Quella del nostro autore in buona parte delle sue rappresentazioni, dobbiamo dargliene atto, è notevolmente meno vaporosa della media: si sarebbe forse potuta confondere con un odierno e tamarro colletto di polo rialzato.

[2] Da studente “di spettacolo”, non nascondo la gioia sadica nel distorcere la terminologia specifica dei colleghi “del filologico”. Sono magistrali di Lettere moderne, per chiunque fosse estraneo all’ambiente (ma in questo caso, stareste davvero leggendo Birdmen?).

[3] Le ultime due voci, va detto, sono sostanzialmente intercambiabili.

[4] Qui come prima, le categorie possono cambiare d’ordine e mischiarsi: habituée del teatro non sobrio, sobrio colto alla sprovvista, non sobrio tornato sobrio e fattosi habituée del teatro etc.

[5] Con uno splendido campanile, c’è da dire; perfettamente ombreggiato e reso in ottima prospettiva. Just saying

[6] “Iracondo, spocchioso, gobbo da una spalla e con la sindrome di Tourette”: rappresentazione tipo del potere secondo un pubblico teatrale italiano. Che la cosa possa avere delle ricadute alle prossime elezioni?

[7] True story, bros.

[8] L’autore di questo articolo, suo malgrado, si è trovato a dover improvvisare un Romeo irriverente quanto taciturno ed è stato invitato a lasciare la sala. E poi a risedersi. E poi a lasciare la sala, ma stavolta sul serio. E a risedersi.

[9] Metaforicamente parlando, mi invitano a specificare dalla Redazione.

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