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BoJack Horseman: il cavallo che ci fa la lezione

Con tre stagioni all’attivo – disponibili in streaming su Netflix – e una quarta in arrivo entro l’anno, BoJack Horseman (creata da Raphael Bob-Waksberg, classe 1984) è uno dei titoli di punta tra le serie, non solo d’animazione, prodotte negli ultimi anni. Probabilmente coloro che non vi si sono mai approcciati si interrogheranno su come sia possibile il successo così ampio di una serie animata, ma è proprio questo l’aspetto che trae in inganno: BoJack Horseman non è un cartone animato per bambini, e l’aspetto estetico è solo una veste formale per raccontare, nel profondo, l’animo umano senza edulcoranti canonici per il genere. Riflettiamo insieme sulle ragioni del suo successo.

1. Un antefatto (apparentemente) stereotipato

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L’antefatto non è nuovo nel mondo del cinema o della serialità, ma ben si adatta al filo conduttore della narrazione e, a suo modo, incuriosisce lo spettatore a saperne di più. In un mondo popolato da animali antropomorfi ed esseri umani, BoJack (doppiato in v.o dal comico Will Arnett, in italiano da Fabrizio Pucci) – cavallo di mezza età – è un attore decaduto dopo essere stato la star di Horsin’ around, sit com in voga negli anni Novanta in cui interpretava un padre di famiglia. Nonostante il successo di pubblico, viene stroncato dalla critica, ragione per cui BoJack si ritrova dopo anni a dividere il suo lussuoso loft a Los Angeles con Todd Chavez (doppiato in v.o da Aaron Paul) – giovane spiantato che sul suo divano ha messo le radici – e, tra depressione, alcool, sesso occasionale, rewatch ossessivo dei suoi tempi d’oro in Horsin’around e qualche proposta lavorativa di poco conto procacciata da Princess Caroline, una gattina rosa – la sua manager (ed ex fidanzata) – la sua vita scorre per inerzia.

2. La comicità esilarante

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Le vicende seguono uno sviluppo orizzontale e, oltre all’evoluzione dei personaggi, si assiste ad un progressivo cambio di registro nella narrazione. I primi episodi infatti risultano funzionali alla presentazione del microcosmo di Hollywoo(d), e procedono con ritmo incalzante inframmezzato da freddure sagaci e talvolta smaliziate o no-sense che non possono non contagiare lo spettatore e strappare la sua risata, complice il fatto che i protagonisti, seppur umanizzati nell’animo,  conservano le loro caratteristiche e i loro naturali istinti animaleschi, che calati nel mondo umano, diventano paradossali.

L’elemento pop è un altro dei fattori vincenti della serie, che viene arricchita da cameo di star come Beyoncé, Andrew Garfield, Naomi Watts e controcanti a programmi di punta come Good Morning America, andando a delineare in modo parodistico e satirico la superficialità dello star system.

3. Tra comedy e drama

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L’accezione comedy è solo una delle sfaccettature della serie, che ben presto rivela la sua natura di drama con l’obiettivo di prendere in esame il valore delle proprie scelte rapportato con concretezza al contesto in cui si vive. Proprio per questo motivo BoJack risulta il ritratto dell’antieroe per eccellenza: solo e dall’infanzia segnata da genitori apatici, esistenzialista in bilico tra misantropia e richiesta di approvazione, è alla ricerca della sua felicità, illudendosi narcisisticamente che coincida con successo e fama, ma è quando il castello di carte cade svelando la realtà su una popolarità effimera fatta di interviste tutte uguali, che la riflessione prende una piega malinconica segnata dal rimpianto per le occasioni perdute (il 9º episodio della 2ª stagione ne è l’emblema) implodendo, tra inganni, errori ed imprese – giustamente surreali, vista la libertà che concede la forma – in una presa di coscienza della vita in chiave nichilistica.

4. I temi trattati

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BoJack Horseman caratterizza al meglio anche gli altri personaggi, mai mero contorno e sempre rappresentati a tutto tondo nel loro spessore psicologico, occasione che porta a trattare temi altrettanto importanti come la dipendenza da stupefacenti e alcol, la malattia, la consapevolezza del proprio orientamento sessuale, l’interruzione di una gravidanza e l’incomunicabilità (il 3º episodio della 3ª stagione, interamente senza dialoghi, rappresenta una vetta): il tutto mai trattato in modo convenzionale o accomodante, riflettendo il mondo reale.

L’aspra coerenza nell’evitare situazioni facilmente concilianti e l’approccio veristico delle dinamiche relazionali non possono che far empatizzare lo spettatore con i protagonisti, che tracciano un quadro più umano ed emozionale di quanto riescano a fare altri titoli in live action. Una serie non per tutti, ma a cui si deve una possibilità.

Chiara Turco

Chiara Turco nasce a Pavia il 23 agosto 1993. Frequenta il liceo scientifico "C. Golgi" di Broni (PV), diplomandosi nel 2012. Nel febbraio 2018 consegue la laurea magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Pavia. Appassionata di Cinema, diventa redattrice di Birdmen nel dicembre 2016, per poi successivamente occuparsi anche dell'ambito social network.

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