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“F. Scott Fitzgerald e l’Italia” di Antonio Merola

Ladolfi editore ha recentemente pubblicato F. Scott Fitzgerald e l’Italia, di Antonio Merola, classe 1994, laureato in Lettere Moderne alla Sapienza di Roma. Merola scrive, il 4 agosto su Nuova Ciminiera:

Amore folle: la scandalosa storia di Zelda e F. Scott Fitzgerald (Mondadori, 2013): credo sia bene partire da qui. […] negli ultimi anni si è assistito a una massiccia ripubblicazione dello scrittore americano in Italia. Alle prime proposte coraggiose di Caro Scott, carissima Zelda. Lettere d’amore di F. Scott Fitzgerald e Zelda Fitzgerald (La Tartaruga, 2003) e Lettere a Scottie, con lettere inedite di F. Scott Fitzgerald (Archinto, 2003), sono seguite Il crollo (a cura di Ottavio Fatica, Adelphi, 2009), la raccolta di racconti finora inediti Per te morirei e altri racconti perduti (Rizzoli, 2017) e la raccolta Sarà un capolavoro. Lettere all’agente, all’editor e agli amici americani (Minimum Fax, 2017), giusto per fare qualche esempio. Ciò che colpisce è che questo fenomeno non riguarda soltanto la produzione letteraria dello scrittore, ma anche, e soprattutto, lettere, articoli e carte private dell’uomo […].

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E la convalida della rinnovata popolarità per lo scrittore F. Scott Fitzgerald viene, come precisa lo stesso Merola in premessa, anche dalla fortuna cinematografica. Ad ogni modo, in questa veloce rassegna di titoli emerge l’istanza principale del saggio: la biografia. E, vedremo poi, il suo ruolo di importanza fondamentale alla critica letteraria dell’autore americano.

Prima, un passo indietro: il libro insiste nei primi capitoli, bene, sulla ricezione critica di Fitzgerald in Italia, suggerendo lo scontro titanico poi epigonico tra il Vittorini dell’Americana, antologia pubblicata nel 1942 (in ritardo a causa della censura fascista, con premessa sostitutiva di Emilio Cecchi), e il “partito” opposto Pavese-Pivano. Per Vittorini, in merito alla definizione critica di una letteratura americana: «Si doveva a ogni costo riprendere Hemingway […] bisognava cioè perpetuare la leggenda di una poesia universale e sovraletteraria». In breve: al siciliano importava ideologicamente individuare nell’America una patria letteraria potenzialmente ecumenica, con in nuce tutti gli sviluppi possibili di tutte le letterature nazionali e soprattutto individuando il vantaggio di una voce unica, di una lingua sola. Ma è senza dubbio una posizione ideologica, che cade sulle proprie premesse con la caduta del fascismo. Di più: Fitzgerald nella Piccola storia a premessa (poi sostituita) è soltanto un eccentrico, con meriti storici sì ma che non si allontana dall’«impressionismo». La condizione di marginalità è punto antitetico di partenza per Fernanda Pivano, che non solo sarà firma delle successive traduzioni (a partire da Tenera è la notte nel ’49), ma che contribuirà in modo decisivo all’impostazione direzionale della critica attorno all’autore americano. Per la studiosa, «ogni opera di Fitzgerald non può essere compresa a pieno se non si tiene conto della vicenda biografica». E su questa linea si innesta l’intervento di Merola, che non solo con gli strumenti dello storico della critica ricostruisce l’evoluzione del pensiero della Pivano, ma coerentemente individua il ruolo della Fiera letteraria nella palinodia critica, fino agli interventi di Perosa e ai più recenti, anche esteri.

Il passo avanti: Il suo saggio fornisce i mezzi necessari e ne suggerisce gli ancillari per affrontare una critica prevalentemente biografica dell’opera dell’americano.

1ER14Questa critica è sicuramente già avanzata, o quasi anticipata, nel libro. Gli elementi principali sono: la rilevazione di insufficienza della lettura di Vittorini ed epigoni; la sconfessione della prima vulgata critica di Fitzgerald scrittore dell’età del Jazz; la dovuta considerazione del “tema” della ricchezza, e del suo valore simbolico, (come in The Great Gatsby) ma con progressiva acquisita subalternità rispetto al tema realmente scheletrico, portante, e cioè, infine, l’estensione della funzionalità e della assoluta coincidenza del rapporto tra lo scrittore e Zelda (sua moglie) con la sua narrativa, a partire da Di qua dal paradiso, principalmente la storia del loro innamoramento. In altre parole l’elezione del rapporto con la moglie Zelda, e cioè dell’amore, a tema fondamentale (anche considerato antiteticamente, reso simbolico etc, cioè fatto funzione) di tutta la sua produzione poetica (si dice poetica perché D’agostino ha parlato di «lirismo magico»). È indispensabile, senza dubbio, ribadire la distanza che intercorre fra la persona storica dell’autore e l’io del testo, grammaticalmente una condanna secondo un aristocratico di Pico [1]. Piuttosto la biografia è indispensabile, sottolinea Merola, a una lettura critica, perché ogni discorso narrativo di F. Scott Fitzgerald sembra cominciare da una trattazione ipotetica della biografia, da una narrazione delle esperienze possibili, da dimostrazioni per assurdo, o simboliche.

Un libro scorrevolissimo, puntuale, breve e denso. Che mette ordine, come già detto, tra i modi della ricezione dell’autore in Italia al fine di fornire delle solide basi per avanzare l’ipotesi critica di una predominanza della biografia e del tema biografico nella poetica dello scrittore americano. E ancora, concludendo, la coincidenza fra materiale biografico e narrativo è propriamente problematizzata, premessa solida per l’auspicazione (ed ha il sapore dell’anticipazione), qui la maturità, di uno «studio puntuale a partire dal testo».

[1] T. Landolfi, La biere du pecheur, p. 15: «son condannato, forse per sempre, a questa prima [persona]».

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