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#EuroInchiostro, gli ottavi: noia, cuore, goleade

Lo so, sembra la riedizione di Tre Parole di Valeria Rossi, ma sono le tre parole che meglio rappresentano le partite degli ottavi di finale di Euro 2016: si passa dalla soporifera Croazia – Portogallo alla storica impresa islandese, senza certo dimenticare Italia – Spagna, probabilmente la partita più bella di questi Europei finora. Ma non perdiamo altro tempo, si comincia!

Il calcio è uno spettacolo e, in quanto tale, è giudicabile anche secondo parametri puramente estetici. Ad esempio il tiki-taka, lo stile di calcio spagnolo che si basa su un lunghissimo possesso palla, è stato negli ultimi anni ciò che più di tutto ha polarizzato i tifosi del calcio, tra chi gridava alla genialità e chi lo trovava di una noia rara (presente!).

«Vabbè, mi son rotto pure io di sta partita, vediamo di chiuderla...»
«Vabbè, mi son rotto pure io di sta partita, vediamo di chiuderla…»

Ad ogni modo, per annoiare uno che ha seguito pure Giappone – Costa d’Avorio in notturna ai Mondiali 2014 ce ne vuole, eppure Croazia – Portogallo ci è riuscita in pieno. Doveva essere un match molto spettacolare, visti i valori in campo e le difese non certo impenetrabili (specialmente quella portoghese), ma no. Centosedici minuti (perché sì, si è arrivati fino ai supplementari) di nulla più totale e poi, nel giro di un paio di minuti, le due uniche occasionissime della gara: prima il palo preso da Perišić, poi il colpo di testa di Quaresma che chiude questa lunghissima agonia. Non solo noia assoluta quindi, ma anche beffa, visto che il Portogallo elimina a sorpresa una delle squadre più interessanti di questo Euro 2016 (#mainagioia).

Al limite tra la noia e il cuore c’è anche Galles – Irlanda del Nord: noia perché, di fatto, anche qui succede ben poco fino all’autogoal propiziato dall’onnipresente Bale. Ma c’è anche il cuore, perché è un derby, perché il Galles sta vivendo una favola magnifica, seconda solo a quella dell’Islanda, e perché finalmente, dopo 58 anni, torna a rivivere dei quarti di finale in un torneo internazionale.

 

De Rossi che fa il tunnel a Iniesta sarà per sempre uno dei miei ricordi calcistici preferiti
De Rossi che fa il tunnel a Iniesta sarà per sempre uno dei miei ricordi calcistici preferiti (apri la .gif per godertelo ancora e ancora)

Alla fine è proprio il cuore che ci spinge a guardare qualsiasi sport, il calcio in particolare. È ciò che ha spinto mezza Europa a tifare Leicester City, pure se fino all’anno scorso non sapevano manco che esistesse. Perché è sempre più bello vedere la squadra che vince lottando e, perché no, anche soffrendo sotto i colpi degli avversari. Soprattutto se quell’avversario si chiama Spagna e tu ti chiami Italia e sai che non può essere una partita qualunque, perché sei stata umiliata da quell’avversario quattro anni prima in finale, e quattro prima ancora quella Nazionale dalla divisa rossa eliminava te, Campione del Mondo in carica, ai rigori. Perché se è nato un ciclo spagnolo, un’era del tiki-taka, che per così tanto tempo hai provato ad imitare con scarsissimo successo, un po’ è colpa tua, perché durante quei rigori non riuscisti a fermare quelle Furie Rosse, come si fanno chiamare.
E allora tutto il mondo sta guardando te, che hai di nuovo davanti l’incubo spagnolo; sta guardando i tuoi tre difensori, che per un’intera nazione sono i più forti del mondo, ma che per il resto d’Europa sono solo “brutti, sporchi e cattivi”; sta guardando un portiere, chiamato “pensionato” dal signor Beckenbauer; sta guardando tutto ciò, e nessuno ti dà una lira. Siete solo carne da macello. Poi però l’arbitro fischia, il pallone inizia a rotolare e capisci tante cose: capisci che il loro tiki-taka non è più quello di una volta, è lento, sterile, prevedibile; capisci che un allenatore che in panchina urla e sbraita e calcia palloni non appena escono dal campo è meglio di uno zitto in panchina, che osserva impotente la fine della sua era; capisci che davvero hai una difesa rocciosa e, quando fallisce, il “pensionato” là dietro ha ancora un paio di cosette da insegnare a tutti i suoi presunti eredi; capisci che il catenaccio forse è davvero l’unica cosa che sai fare, ma sai che c’è? Te ne freghi e lo fai lo stesso, perché è il tuo gioco e perché ti fa vincere anche contro i presunti geni del calcio. Con te è nato il ciclo spagnolo e con te si è chiuso, e capisci infine che è così che doveva essere.

Il "Geyser Sound", l'esultanza eseguita in unisono tra giocatori e tifosi islandesi
Il “Geyser Sound”, l’esultanza eseguita in unisono tra giocatori e tifosi islandesi

Ma il cuore è anche quello di una piccola isola dell’Oceano Atlantico, abitata da appena 300 mila anime (Milano supera il milione di abitanti, per farvi un’idea); un’isola che una decina di anni fa iniziò un programma di costruzione degli stadi coperti con il principale obiettivo di diminuire la piaga dell’alcolismo e del tabagismo tra i giovani; un’isola che ha fatto delle proprie numerose sconfitte uno spot pubblicitario per caricare il tifo. Già questo basterebbe per rendere quella dell’Islanda una bellissima favola: ma gli islandesi non vogliono leggere il finale. E così, nonostante Rooney provi subito a chiudere i conti con il rigore ad inizio gara, questo non basta a fermare i Vichinghi, supportati anche da un Hart in declino sempre più verticale (piantato sul primo goal, semplicemente imbarazzante sul secondo). Una squadra col cuore che elimina una senz’anima, nonostante i molti nomi di livello: Roy Hodgson non è riuscito a tirare fuori un gruppo da quell’insieme di individualità, capaci di giocare solo per se stessi e non per gli altri, e così è maturata quella che è probabilmente la peggior umiliazione di sempre di una Nazionale già non così tanto vincente. Perché un conto è aver inventato il calcio, un altro è saperci giocare.

Tuttavia, non sempre il cuore basta: lo sa bene la Svizzera, eliminata ingiustamente ai rigori dalla Polonia che, dopo aver aperto le marcature, ha semplicemente deciso di smettere di giocare. Gli elvetici ne hanno approfittato, trovando con Shaqiri uno dei goal più belli di questo Europeo, ma non riuscendo ad infliggere il colpo di grazia a Lewandowski (ancora una volta deludente) e compagni: il cuore conta, ma la fortuna non è da meno.
È una lezione imparata a carissimo prezzo anche dall’Irlanda e dai suoi fantastici tifosi: dopo un rigore regalato dal nuovamente disastroso Pogba subito in apertura di partita, i Boys in Green hanno semplicemente dominato per tutto il primo tempo, spaventando oltremisura i padroni di casa, apparsi ancora non perfetti. Purtroppo anche gli irlandesi non sono riusciti a sferrare il colpo del K.O. e così, nel secondo tempo, Griezmann è salito in cattedra, facendo vincere il talento sul cuore. Una lezione dura, ma nessuno ha mai detto che il calcio è giusto.

E ci risiamo...
E ci risiamo…

Ed è sempre il talento la discrimine che ha fatto terminare in goleada le due partite rimaste: Germania – Slovacchia, nonostante la presenza di buonissimi calciatori come Hamšík, è stata semplicemente una lotta impari, anche perché Löw, tra un’annusata e l’altra, ha finalmente capito che questa Germania non può giocare col falso nueve, inserendo finalmente una punta vera come Mario Gómez. È comunque Draxler a rubare la scena tra i tedeschi, con giocate e un goal spettacolare che potranno facilmente scucire il ruolo di titolare a Götze. I prossimi avversari dei teutonici siamo proprio noi e, com’è consuetudine, è già iniziata la campagna di sfottò sui loro principali tabloid: questa volta siamo stati chiamati “vecchietti”, vista l’età media della nostra Nazionale (la più alta mai registrata ad un Europeo). Noi, popolo molto più scaramantico, incassiamo in silenzio e preghiamo il karma…

In goleada è finita quella che per molti era un’altra partita dal risultato certo, ma che avrebbe potuto regalare più emozioni di quanto è invece successo: parliamo di Ungheria – Belgio, finita con un nettissimo 0 – 4. La Golden Generation belga continua a non incantare particolarmente sul piano del gioco, ancora molto slegato e poco di squadra, ma se Hazard ha benzina è impossibile fermarlo e riesce finalmente a trovare il suo primo goal in un grande torneo tra Nazionali. A farne le spese è stato il povero Gábor Király, il “portiere in pigiama” che, come se non bastasse l’umiliante risultato, si è visto appioppare quattro anni in più dai cronisti RAI, che per tutta la durata della gara l’hanno definito un “quarantaquattrenne ancora in perfetta forma”.

Da domani sera cominceranno i quarti di finale. In campo, le migliori otto Nazionali d’Europa, quelle che sono riuscite a superare ogni ostacolo, più o meno difficile.

Ora non si gioca più.

Ora si vuole solo vincere.

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