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Cècile Kyenge e la guerra (troppo) silenziosa del Congo

In una serata anonima, in un posto altrettanto anonimo situato in quel paesino nella provincia di Pavia che è Borgarello, un po’ per caso ho partecipato ad un incontro con Cècile Kyenge. E’ una donna di cui si sa poco e niente tranne per il fatto che è stata Ministro dell’integrazione durante il governo Letta tra il 2013 e il 2014 e che è stata vittima di un triste commento da parte dell’europarlamentare della Lega Borghezio nel 2013, condannato solo l’anno scorso per diffamazione aggravata dalla finalità di odio razziale.

cec

Il suo nome è Kashetu Kyenge nasce a Kambowe nella provincia congolese del Katanga da una famiglia benestante. Studiò medicina e chirurgia e nel 1983 ottenne la borsa di studio per frequentare medicina all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Questa, però, non arrivò mai e in Italia ci entrò con un visto di studio. Si stabilì a Modena in un collegio di missionarie laiche, e per mantenersi agli studi, lavorò come badante. Riuscì a laurearsi alla Cattolica specializzandosi in oculistica. Ottenne la cittadinanza solo dopo aver sposato un uomo italiano. Nel corso degli anni, Cecile ha contribuito molto alla realtà sociale istituendo e lavorando per associazioni no profit e fondazioni riconosciute, difendendo e facendosi portavoce dei diritti civili degli immigrati.

All’incontro erano presenti pochissime persone; compreso il sindaco e qualche assessore del comune di Borgarello si raggiungeva a mala pena una ventina di presenze.

Peccato!

L’attuale europarlamentare Cecile ci ha mostrato diversi aspetti interessanti riguardo i nostri diritti da cittadini italiani, stranieri e no. Inoltre ha parlato dei vari progetti promossi dall’Europa nei paesi sottosviluppati dell’Africa per lo sviluppo e l’equo scambio di beni. Nella fattispecie della “commissione di controllo”, di cui lei fa parte. In pratica l’UE stanzia dei fondi per progetti di vario genere che possono essere di bonifica, ricostruzione, cultura o altro; la commissione ha il compito di recarsi nel paese interessato e controllare, appunto che quei soldi vengano utilizzati solo ed esclusivamente per il progetto promosso e per nient’altro. Ha riportato l’esempio del Congo, suo paese natale e luogo di un’attuale crisi implacabile causata dalle grandi lobby e soprattutto dalla Cina. In particolare la regione sud che, per sua sfortuna, registra la più alta presenza di cobalto, un minerale diventato fondamentale per noi tutti, trattandosi di un elemento ferromagnetico che viene impiegato per la costruzione delle batterie dei nostri preziosissimi smartphone. Ma non solo, oggi la sua importanza è ancora più spiccata se si guarda all’industria 4.0, la quale si prefigge l’obbiettivo, non molto remoto, di portare le auto elettriche ad un utilizzo di massa, abolendo una volta per tutte la dipendenza dell’occidente dal petrolio. La riduzione dell’inquinamento per noi è quindi l’ennesimo costo che l’Africa sarà costretta a pagare? Se le cose andranno avanti così, l’unica risposta plausibile è sì!

L’impatto umano è più che evidente: minatori che scavano senza nessun dispositivo di sicurezza, qualche decina di migliaia sono regolarizzati, centinaia di migliaia sono lavoratori “in nero”, spesso operano per compagnie cinesi, vendendo loro il cobalto raccolto durante la giornata e bisogna tenere presente che in alcune giornate questi minatori improvvisati, nonché padri di famiglie, non trovano neanche un grammo di cobalto: in quei giorni non hanno diritto alla paga. Insomma, questo è quello che una volta veniva definito lavoratore a cottimo. Lo scenario si fa ancor più raccapricciante quando a lavorare per otto/dieci ore al giorno sono bambini. L’Unicef ha calcolato che quaranta mila bambini congolesi lavorano nelle miniere di cobalto. E pare siano preferiti poiché la loro retribuzione giornaliera è più bassa. In confronto ai due dollari che spettano agli adulti, loro percepiscono appena 90 centesimi. L’età dei piccoli minatori spazia dagli 8 ai 14 anni.

In questo dramma che porta con sé altri problemi come le migrazioni di massa in cerca del nuovo tesoro degli occidentali e dei cinesi, particolarmente significante è il danno a livello geologico, dovuto agli scavi che hanno reso il terreno un enorme groviera. C’è un ulteriore forma di degrado che riguarda le numerose tribù native che vengono allontanate, con le buone e no. La crisi del cobalto è iniziata ormai da qualche anno e le dinamiche sembrano peggiorare considerando che il nostro bisogno raddoppierà entro il 2020. Nel frattempo sono già aumentate le royalties sulle estrazioni minerarie, quindi le tasse che le compagnie dovranno pagare, per volere del Presidente della Repubblica Democratica del Congo, Joseph Kabila, il quale sembra voler ignorare totalmente le condizioni di sfruttamento in cui versa il suo popolo.

La commissione europea propone una risoluzione al problema con certificati di tracciabilità. Ma, per adesso, si tratta solo di proposte, nulla di concreto. Intanto Amnesty ha indagato su quali dei grandi colossi dell’industria tecnologica si approvvigionano da aziende che rispettano i diritti umani. Le informazioni pervenute mostrano che solo due fra le decine hanno intrapreso strategie di mercato etiche e sono Apple e Samsung. Altre invece come la General Motors, la Volskswagen, Microsoft, Lenovo, Renault, Huawei hanno svolto poco e niente per arginare il problema, dediti ai loro interessi. La più grande fetta di questa torta tanto ghiotta quanto indispensabile è di proprietà della Cina che si prefigge di ricoprire il ruolo di nuovo paese colonizzatore del continente nero.

Cècile, insieme ad altri deputati del parlamento europeo, sta lavorando affinché si giunga ad un accordo in cui nessun paese sarà costretto a pagare un prezzo così alto. Il percorso è lungo, difficile e sappiamo bene che gli ingranaggi che muovono le grandi compagnie sono quasi impossibili da fermare. Tuttavia rimane una questione importante che proprio non si può ignorare quella dei diritti dell’uomo, che devono essere rispettati in ogni angolo nel mondo, anche il più remoto e che nulla deve sovrastarli.

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