La libertà al di là del muro

Nel 2016 è stato raggiunto il record mondiale del numero di barriere erette ai confini nazionali. Un record che non entrerà nel Guinness dei primati, ma probabilmente segnerà una delle pagine più controverse della storia mondiale. Quando si parla di muri, mi vengono spesso in mente alcuni versi di una nota poesia di Montale, nella quale il muro è inteso come simbolo del limite invalicabile che impedisce all’uomo di mettersi in contatto con gli altri e lo condanna all’isolamento.

“E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia” 

I versi di Eugenio Montale, nella poesia “Meriggiare pallido e assorto”, descrivono lo scenario di cui, in senso lato, siamo attualmente spettatori. Oggi sono ben 42 i muri, di mattoni o filo spinato, spesso anche solo ideali, che sono stati eretti a causa dell’incomprensione tra popoli, culture e politiche diverse, ai confini di diversi stati nel mondo. Dalla barriera ungherese, al filo spinato indiano al confine col Bangladesh, al muro eretto lungo il confine tra USA e Messico o a quello della vergogna israeliano, fino alla muraglia di separazione tra Corea del Nord e Corea del Sud. Si tratta dello strumento che fin dall’antichità è stato utilizzato per separare noi dagli altri, il territorio nazionale da “temuti invasori”. In molti dei casi, tra i quali quelli sopracitati, vengono divise due “umanità”, l’una influenzata da politiche nazionalistiche, diffuse a macchia d’olio in Occidente, l’altra in fuga da una quotidianità strappata via dalla guerra, dalla povertà, dalla persecuzione. Due umanità diverse che non riescono a comprendersi.

Il 9 novembre del 1989, cadeva il muro di Berlino, emblema della separazione tra Est e Ovest e simbolo fisico del conflitto culturale, politico e di valori che aveva spaccato fino a quel momento l’Europa in due. Si concludeva un’era che aveva visto contrapposti i governi filosovietici dal resto del mondo. Da allora l’Europa e gli organismi internazionali hanno intrapreso un percorso di unificazione, fatto di parole quali libertà, democrazia e pace. Parole, concetti e belle utopie che non si sono mai tramutate in fatti tant’è che oggi sono molti i muri che per ragioni politiche o di sicurezza continuano a dividere popolazioni e culture diverse. Questa scelta, presa a detta dei vari governi sulla base di una linea difensiva, non risolve il problema, anzi alimenta tensioni e conflitti, a dimostrazione che per quanto la storia ci abbia lasciato in eredità la possibilità d’imparare dagli errori, essi invece si ripetono in contesti e condizioni differenti. In Europa sono stati gli anni novanta a invertire la tendenza che si aveva nel decennio precedente ad abbattere muri e ricostruirli, come ci ricorda l’artista italiano Blu che ha dipinto una bandiera dell’Unione Europea con filo spinato al posto delle 12 stelle. Ma da chi ci difendiamo? Quali sono gli invasori che temiamo violino la tranquillità del nostro mondo?

Visto che il protagonista della risposta a questa domanda, secondo i leader politici dei paesi che ospitano le barriere, si può delineare nella figura del migrante, riprendendo un documento dell’UN, l’immigrato può essere così definito: “Una persona che si è spostata in un paese diverso da quello di residenza abituale e che vive in quel paese da più di un anno“.

Tuttavia questa definizione viene distorta notevolmente dall’opinione pubblica e soprattutto dai politici. Non si chiamano immigrati i cittadini provenienti, ad esempio, dagli Stati Uniti, nemmeno i francesi e gli australiani. Il termine immigrato, nell’uso comune, è riservato agli stranieri che noi consideriamo provenienti da un paese più povero del nostro, inferiore.  Ma anche tra di essi operiamo un’ulteriore distinzione: non consideriamo mai immigrati i calciatori famosi, i cantanti e gli uomini d’affari, che hanno un trattamento giuridico differente. Il concetto di “immigrato” comporta una valenza peggiorativa: individua i cittadini poveri residenti in un paese diverso dal proprio.

L’ultimo rapporto dell‘UNCHR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), riporta dati allarmanti sull’aumento del numero di persone che in rapporto alla popolazione globale, partono alla ricerca di una nuova vita. Si tratta di chi viene perseguitato non per ciò che ha fatto, ma per ciò che è, per religione, lingua, appartenenza etnica: “colpevoli” di essere nati nel posto sbagliato, migliaia di uomini sono oggi senza patria nel mondo. Attualmente è in crescita il numero di rifugiati, per la maggior parte proveniente dalla Siria, circa 3,88 milioni, ma molti provengono anche da Afghanistan, Iraq e paesi africani, a volte più conosciuti, a volte dimenticati; erano 51,2 milioni nel 2013 e 37,5 milioni dieci anni fa. L’incremento del fenomeno dell’immigrazione, coincide con l’aumento dei conflitti nel mondo; negli ultimi 5 anni sono esplosi quindici conflitti di cui otto in Africa. Un altro dato significativo mostra che i paesi in via di sviluppo (ma anche la stessa Unione Europea molto spesso) non adempiono come dovrebbero agli obblighi umanitari che pure dichiarano di onorare. L’86% delle persone sotto protezione umanitaria trova rifugio nei paesi del terzo mondo, soltanto il 14% arriva nei paesi più sviluppati, oltre quindici punti percentuali in meno rispetto una dozzina di anni prima; l’UE ne accoglie solo il 10%.

Nel trattato di Lisbona si legge che: ” L’UE garantisce che non vi siano controlli sulle persone alle frontiere interne (…) Sviluppa una politica comune in materia d’asilo (…) volta a offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il rispetto del principio di non respingimento“. Queste direttive non sono state rispettate da tutti gli stati membri. Coloro che cercavano di raggiungere l’Europa attraverso la rotta Balcanica hanno trovato delle barriere tra Turchia e Grecia, tra Serbia e Macedonia, tra Serbia e Ungheria, tra Croazia e Slovenia, tra Croazia e Ungheria, tra Slovenia e Austria. Nel marzo del 2016 l’UE ha firmato un accordo con la Turchia in seguito al quale è stato eretto un muro al confine con la Siria per impedire ai migranti provenienti dal Medio Oriente di raggiungere l’Europa attraverso la rotta Egea, passando per le isole Greche.  Fino a non molto tempo fa era possibile vedere immagini di container ricolmi di biciclette al confine tra la Russia e la Norvegia. Le autorità russe, infatti non permettono a nessuno di attraversare il confine a piedi, allo stesso tempo secondo la legge norvegese non è consentito dare passaggi a coloro che non possiedono i documenti a norma. Ciò nonostante i migranti hanno sempre trovato una soluzione, oltrepassando il confine in bicicletta, spesso si trattava di biciclette da bambini, che venivano subito abbandonate dopo aver varcato la frontiera, essendo impossibile pedalare in quelle condizioni climatiche. La Norvegia ha quindi costruito un muro lungo il confine russo, per bloccare definitivamente il flusso migratorio dalla rotta Artica. Ai migranti non rimane che una scelta per raggiungere l’Europa, ovvero salpare dalle coste del Nord Africa e raggiungere a bordo di fatiscenti imbarcazioni le coste italiane, attraversando il Mediterraneo.

L’innalzamento delle barriere ha diminuito i flussi migratori, ma ha aumentato la mortalità; solo il numero di dispersi morti nel Mediterraneo è cresciuto del 30% rispetto al 2015. Sono molti i caduti nella “guerra mondiale” dei migranti e i sopravvissuti che riescono a raggiungere la meta vengono visti come una minaccia dalla popolazione. La paura viene fomentata da partiti populisti che basano il successo delle proprie campagne elettorali trattando l’emergenza migranti come se fosse un problema che si può risolvere semplicemente tenendolo fuori dalle mura di casa. Basti guardare all’Italia: l’opinione pubblica ha accusato gli scafisti delle innumerevoli morti in mare, senza tenere conto che non esistono canali di accesso legali per coloro che scelgono la vita alla guerra. I rifugiati sono al centro di un conflitto tra obblighi internazionali e governi che dovrebbero attuarli, scaricandosi a vicenda la responsabilità.  In un mondo dominato da stati nazione, essi hanno perso la protezione del proprio stato di appartenenza, ma non godono di diritti di cittadinanza nel paese in cui cercano di entrare. Durante il periodo in cui vengono valutate le domande d’asilo, i rifugiati vivono a carico del welfare pubblico. Per loro questo ha comportato una condanna, all’inazione e al deterioramento di capitale umano. Per gli stati d’accoglienza, la dipendenza dalle risorse pubbliche, si è tradotta in un motivo in più per considerarli un fardello, oppure una torma di profittatori.

Un’immagine, scattata il 2 settembre 2015 nella quale è ritratto un bambino siriano di nome Aylan, disteso senza vita in riva al mare, all’età di soli 3 anni, è stata sufficiente a far vacillare l’opinione pubblica riguardo la questione dei migranti. Quell’immagine è stata una crepa nel muro, quello di cui scrive Montale, che non ci permette di cogliere pienamente il senso della vita, eppure grazie a quella foto è come si fosse riusciti a fare breccia in centinaia di barriere sparse in tutto il mondo. Henri Cartier-Bresson, noto fotoreporter francese, una volta ha detto: “Perché una cosa acquisti un valore duraturo, bisogna che passi attraverso il processo di tutte le emozioni umane“, ed è proprio quello che è accaduto con questa foto, che ha valicato ogni confine temporale trasformandosi nel simbolo della tragedia senza fine dei migranti.  I leader del Vecchio Continente, sulla scia emotiva delle immagini diffuse dai media, hanno colto il momento favorevole per prendere decisioni maturate nel tempo e diventate ormai inevitabili, approfittando di un raro istante in cui la pietà per le vittime di una triste vicenda e la solidarietà umana, hanno preso il sopravvento su ansie xenofobe e sulle chiusure egoistiche.

Se viene costruito un muro è possibile oltrepassarlo scavalcandolo, aggirandolo, scavando un tunnel. Più muri verranno costruiti, più saranno pericolosi i “piani” escogitati da chi tenterà di superarli. Anche se significa finire dispersi in mare, colpiti dalle pallottole di un fucile mentre si attraversa il deserto, o un filo spinato, chi ha dietro di sé solo la morte partirà ugualmente per rotte fatali. Per quanto riguarda la situazione più vicina a noi, quella nel Mediterraneo, nonostante nell’agenda Junker l’immigrazione e le politiche d’asilo rappresentino delle linee fondamentali, il cammino verso un’ Europa più accogliente si prospetta ancora lungo.

 

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