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Cantare la modernità – Raccolte poetiche di Luca Ariano

«Dopo secche stagioni / che spaccano il selciato / e svuotano pagliai, / s’è fatto alto il granturco / nei campi: / vorrei saggiare adesso / il sapore d’oro e non attendere / il prossimo ottobre / per spigolare accanto a quel vecchio / col grande cappello di paglia / o a quella nonna in bicicletta / col nipotino alla sella. / Volare sulle cime d’una valle / e poi precipitare tra le rovine / di una rocca: tra le sue pietre / e sterpi accendere un fuoco / per scorgere nuove orme; / poi lanciarsi in un mare di pensieri / lasciando veleggiare i capelli / nei momenti, / prima che la buriàna di un nuovo / temporale, spazzi gli arbusti.»

Dopo secche stagioni (contenuta in Bitume d’intorno) è uno degli esempi più adatti a presentare ad un ignaro lettore il fare lirico di Luca Ariano: contiene temi, toni e una strutturazione retorica, cari al suo autore, espressione perfetta del suo tono medio.

Nato a Mortara (PV) nel 1979, Luca Ariano vive ora a Parma. Ha esordito con la raccolta di poesie Bagliori crepuscolari nel buio (1999), continuando poi con Bitume d’intorno (2005), Contratto a termine (2010), Ero altrove (2015). É autore di antologie, la più recente delle quali è Testimonianze di voci poetiche: 22 poeti a Parma (2018), edita da Puntoacapo, pubblicata con la collaborazione di Giancarlo Baroni. Sue poesie sono tradotte in francese, spagnolo e rumeno.

Dopo secche stagioni non è solo espressione del tipico verso lirico di Ariano; è anche un possibile compendio degli elementi chiave della raccolta Bitume d’intorno, racchiudendo in sé i punti nodali dell’opera di cui fa parte. Vi compaiono anziani o, più genericamente, individui di un’altra epoca («il vecchio» e «la nonna in bicicletta» ai vv. 9 e 11) emblemi del tempo che passa, collocati in uno scenario di campi di granturco che il confronto con gli altri testi rende evidente essere il paesaggio della Lomellina; vi è un protagonista (cfr. il verbo «vorrei» al v. 6) che si muove nelle sue intenzioni verso quel mondo di cui sono testimoni i due anziani, un mondo che ha il sapore di un ricordo concreto, perché evocato attraverso azioni quotidiane (lo spigolare e l’andare i bicicletta nei vv. 9 e 11). Insomma, c’è un recupero della memoria, di un mondo lontano, tutto iscritto nell’orizzonte della Lomellina. Non è un caso che a questo testo segua Passeggiare per le strade di Lomellina in cui, con toni più cupi, si afferma esplicitamente questo recupero, poiché si dice che si «scava nelle stanze della memoria / per ritrovare fattori e braccianti / con zigomi spezzati dalle bestemmie» (vv. 6-9). In una visione più generale, va notato che i due testi sono entrambi parte della sezione Frammenti oltre il tempo, titolo eloquente, che permette di inquadrare ancor più chiaramente il sentimento dietro i due testi.

Bitume d’intorno è più di una semplice rievocazione del passato: è una ricerca del passato visto con gli occhi del presente di fronte al quale si percepisce un senso di spaesamento, un senso di vertigine che potremmo inquadrare, prendendo a prestito un verso di Montale, (scelta non casuale, come si avrà modo di vedere più avanti), dicendo dunque che anche in Ariano «il calcolo dei dadi più non torna» (La casa dei doganieri, v. 9).

La raccolta è divisa in tre sezioni, titolate Frammenti oltre il tempo, Bitume, L’intorno. La tematica della memoria è propria della prima sezione ed è facile percepire già nel titolo L’intorno quel senso di spaesamento cui si accennava. Bitume, invece, evoca pesantezza e piattezza, elementi tipici del paesaggio lomellino, come ha notato già Enea Roversi, la cui prosa incipitaria segna un ingresso nella raccolta accanto all’introduzione di Gian Ruggero Manzoni. Il termine bitume compare anche in un poesia, dal titolo (Bitume) omonimo ai vv. 13 e 14 («[…] dalla strada di nuovo / si sente il gusto del bitume fresco»); esso è un termine chiave, che in un dato punto della raccolta si trova nella quadruplice natura di titolo della raccolta, titolo della sezione, titolo e oggetto della lirica. É forse l’appiattimento di cui sopra che genera la volontà di recupero memoriale, recupero che non ha un verso chiaro, una direzione, ma si muove in un orizzonte dai contorni sfumati, resi più incerti anche dalla presenza di numerose voci (graficamente segante in corsivo) che si affastellano tra i versi delle poesie: siano esse slogan, voci della collettività, o di una persona dall’incerta fisionomia, queste rimbombano nel nostro orecchio, talvolta confondendoci. Va notato che nella sezione L’intorno compaiono delle figure, troppo evanescenti per dirsi appieno “personaggi”: si tratta di Rosina, Nando, di Elisa e Pamela e di altri; sono queste prime prove, primi soggetti di un universo in espansione che andrà definendosi e consolidandosi in Contratto a termine (2010, ed. Farepoesia).

Sono passati cinque anni tra Bitume d’Intorno e Contratto a termine, che ha visto una recente riedizione nel 2018 (ed. Qudu), riedizione che ha fornito il testo su cui si fondano le seguenti considerazioni. Partita in cinque sezioni (Transazione, Calendario giuliano, Contratto a termine, Nuovi contratti, Genti dolorose), questa raccolta segna sotto alcuni punti di vista un’evoluzione, sotto altri un ritorno a tematiche care al suo autore. Il paesaggio della Lomellina si dilata, ma resta centrale il tema del ricordo (espresso attraverso una fittissima trama lessicale ricca di corrispondenze) e già la prima lirica (Sulla Via Emilia) è sintomatica di ciò. La novità più sensibile è che ora abbiamo una narrazione (Luca Mazzachiodi, nella suo commento generale alla raccolta, parla di «primo capito di una trilogia di romanzi in versi») con personaggi tra loro comprimari (Emilio, Teresa, Andrea, Enrico), alcune comparse e un protagonista (Fiulìn, dietro il quale si percepisce parte della personalità dell’autore), ciascuno intento a “recitare” la propria parte. A tal proposito, significativa risulta la trama lessicale che rinvia al mondo della recitazione in versi quali «Il copione di quella sceneggiatura» (Appena ti incontro, dopo mesi, anni, v. 6), «la scontata storia di un copione / di periferia […]» (Eccoli lì quei capelli di nebbia, vv. 12 e 13); e ancora in versi come «copione mai scritto di miserie di provincia» (Chiudi in fretta gli scuri, v. 25), «la parte di psicologa» (C’è da mangiare per un reggimento, v. 8), «lui gioca la sua parte» (È dura riempire ogni giorni pagine locali, v. 3). In questo gioco attoriale, i personaggi di Ariano, eroi della modernità in virtù della loro antieroicità, vorrebbero essere di più, trovare sé stessi, poiché si sentono persi (torna il senso di indeterminatezza, l’intorno) di fronte a un passato che li precede e che ha perduto il suo statuto eroico. E per questo motivo che una profonda tenerezza invade il lettore quando senta la storia dell’ex partigiano Vito che «ha combattuto / nei GAP ma ora vive col respiratore: / non ci sta più con la testa e ti racconta che […]».

Il passato e il presente sono in vivo dialogo in Contratto a termine così come in Ero altrove, la più recente delle raccolte. In quest’ultima accadere che all’apparizione di un soggetto di carattere storico in senso “nazionale”, d’interesse collettivo, (es. la Renault di Aldo Moro in Poverètt professór Emilio, lirica della sezione titolata La Renault di Aldo Moro), la sua presenza sia filtrata dalla visione che del medesimo ha l’uomo semplice, il soggetto marginale della storia (nella fattispecie, in Poverètt professór Emilio, il padre di Emilio). Così avviene anche nella lirica In un giorno di alberi… (vv. 5-6) in cui si accenna alla «statua / di Lenin sbriciolata». In questa visione della storia inquadrata con lo sguardo dei suoi protagonisti secondari rispetto ai grandi nomi da manuale, Ariano non si fa portatore di una visione ideologizzata dei fatti, ma guarda (lo ha notato Salvatore Rizzo nella sua Nota di lettura in Ero altrove) in maniera effettuale alle vicende dell’Italia. Ariano ha, però, abituato il suo lettore a simili inquadrature: già in Bitume d’intorno la prospettiva era più frequentemente quella dell’uomo semplice, come accade in una lirica quale Moloch, il cui testo è riportato tra le poesie in coda all’articolo.

‘Storia’ e ‘ricordo’ sono solo due termini che possono descrivere l’universo poetico di Ariano espresso in queste tre raccolte, universo che, stilisticamente parlando, si articola in svariate soluzioni artistiche, fra le quali è possibile isolarne alcune dominati. Va notato che, d’innanzi ad una realtà vasta, amplificata perdipiù dal movimento che spesso si ha del presente nel passato e viceversa, il verso del poeta percorrere prevalentemente due vie: o l’accumulo di elementi (più in Bitume d’intorno) o l’espansione contenuta di una vicenda attraverso quadri non sempre legati tra loro o, ed è il caso più frequente, la somma di queste due possibilità. Prevale la figura retorica della sinestesia, che meglio si presta ad evocare la complessità del mondo circostante, all’interno di un verso che si avvicina all’endecasillabo e che non rinuncia ad una armonia dettata spesso da figure retoriche di suono, per esempio «Rogge secche non più ruggenti / per la rugiada dell’ultimo temporale», vv. 1 e 2 di Epilogo in Bitume d’introno.

Interessante è il rapporto con i modelli ispiratori di Ariano. Egli stesso più volte antepone al suo componimento la citazione di un poeta, ma anche di un prosatore e di un cantautore (forse, ritenuto da Ariano poeta pari a chi è “poeta di professione”). Del resto già Luca Mazzachiodi averte che Fiulìn ha, nel suo statuto poetico, l’amore che Ariano nutre per Volponi, Pasolini (che compare nella lirica Trent’anni dopo della raccolta Contratto a termine), Sereni, Bacchini. E, talvolta, si avverte anche l’eco di Montale (ecco il perché della citazione di prima) nei «dadi» al v. 6 di Miraggio (in Contratto a termine), nella «ruota che gira all’impazzata» al v. 4 di È già il secondo matrimonio (in Contratto a termine), e nella modulazione ritmica di alcuni gruppi di versi (vv. 11-16 di La strada per Abbiategrasso in Contratto a termine).

Tanto ancora si potrebbe dire intorno alla poesia di Ariano. Sarebbe interessante approfondire il rapporto che lega Teresa e Fiulìn, oppure discutere del ruolo di Teresa, la quale si ritaglia il suo spazio di protagonista femminile rispetto alle molteplici donne apparse nelle raccolte. E rilevante sarebbe dar conto dell’occorrenza del termine ‘poeta’ nelle tre raccolte, sia per designare l’immagine che di lui evoca Ariano sia per vedere in controluce una possibile definizione di Ariano poeta-persona e non poeta-autore. Tuttavia, come afferma Annamaria Testa, «chiedere all’analisi testuale di dar conto della magia di una narrazione è come chiedere a un anatomopatologo di dar conto del sex appeal di Marilyn Monroe». Pertanto forse, abbiamo parlato anche troppo.

Di seguito tre poesie di Luca Ariano citate nell’articolo.

Moloch
(lettera in versi)

“Che porca rabbia. Che porchi italiani.”
(C. E. Gadda)

Caro padre
vi scrivo – forse per l’ultima volta –
da questa trincea e da questo fronte
dove l’orizzonte è un deposito di cenere:

“La guerra è finita. Abbiamo vinto!”

Domani salirò su di un treno verso la valle
brulicante tra fumo e macerie;
non dovrò più addormentarmi cullato
da colpi di mitraglia e risvegliato da granate
ma sentirò ancora il canto notturno
delle cicale davanti al caldo di una stalla
e il grido d’un gallo a gettarmi giù dalla paglia
e in bocca non avrò più il sapore
di gavetta ma il profumo delle nostre parche cene
e le gambe mi bruceranno sotto il sole
dei campi e non per lunghe marce sui crinali.
Ieri, nell’ultima battaglia, tra fango e sangue
come gesto di perseveranza e di pace
ho strappato dal nero delle foglie secche
un nemico, un fratello d’un altro reggimento:
non parlo il suo dialetto e chissà se anche lui
ora sta scrivendo ai suoi cari;
è un caporale,
ricordo solo il suo nome: Adolf Hitler.
Vi abbraccio forte al pensiero
del ritorno a casa.
Vostro per sempre…

Sulla Via Emilia

Di cancelli serrati, di ciminiere
spente – ma senza viaggiare
troppo lontano: per sentire
il sapore delle zanzare sulla pelle
e il calore umido del riso.
Tra parrucconi aristocratici con
quelle erre che frustano le orecchie
e graffiano le corde, mentre lo sguardo
delle rughe si scalda nel bicchiere

Oggi festeggi. Ancora nelle vene
e sulle labbra ti accompagna ancora
il ricordo dei biscotti allo zenzero
e al cardamomo, che volevi danzare…

Non si sono incrociate le finestre
e ti porti sulla via Emilia una lunga
discussione da film, col nome uscito da un cartone,
in un’aria di neve che domani
impasterà le strade.

Vito ex partigiano – già allora lo chiamavano

Vito ex partigiano – già allora lo chiamavano
il terùn – ha combattuto
nei GAP ma ora vive col respiratore:
– non ci sta più con la testa e ti racconta
che lui lì era di casa… quelli sì sono bravi ragazzi
non sa di baci e strette di mano cose loro -.
Suo figlio si è bruciato i polmoni di Eternit
in trent’anni di cantiere e suo nipote Nino
ti porta in qualche bettola a cenare;
cibi discount – studente fuori sede –
ma poi dal bancomat preleva un’altra serata etilica.
Teresa e Fiulin in un caffè un po’ chic
paiono usciti da un romanzo francese:
tra le pareti si respira sapore di moka
e fumo di castagne cotte in padella
– quella coi buchi che ti ricorda focolari –
e il tramonto su tangenziale tra pali e fili
brilla anche su cupole e campanili.
Arriva il freddo porco a soffiarti la bocca
di tosse e starnuti e il volo d’uccello
è solo l’arrivederci d’un abbraccio.

Tommaso Romano

Redattore per «Inchiostro». Studente di «Antichità Classiche e Orientali» presso l’Università di Pavia, è appassionato di troppa roba. Cento ne pensa, cento ne fa, cento ne scrive (o vorrebbe).

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