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C’è la necessità di uno Stato curdo?

Questo articolo si propone come una breve presentazione dei curdi, con una descrizione della loro situazione sociale nei diversi paesi nel corso del tempo, e con lo scopo di capire chi ora, visti i recenti sviluppi della questione, sta decidendo per i curdi siriani.

I curdi sono un gruppo etnico che si trova nelle regioni a cavallo tra la Turchia, la Siria, l’Iraq, l’Iran e l’Armenia. A volte si usa il termine “Kurdistan” associato per unificarli in modo linguistico. Una volontà storica curda è esistita con lo scopo di avere uno “Stato curdo” di nome Kurdistan, ma tante circostanze storiche hanno evitato un processo del genere, in particolare alla luce del disegno geografico delle frontiere di ciascun Stato nella regione stessa, nella fase post I Guerra mondiale, e con il crollo dell’impero ottomano, quando i vincitori della guerra previdero la creazione di uno stato curdo con il Trattato di Sèvres del 1920, dentro la Turchia attuale per poi, però, non dargli esistenza. In quell’epoca era noto l’utilizzo delle “questione delle minoranze/autodeterminazione” nei confronti dell’impero ottomano, fu capita così la volontà coloniale di dare vita a uno Stato satellite in quella zona. Ma il crollo dell’impero ottomano ha reso nulla la necessità di uno Stato del genere, a causa della permanenza personale degli Stati coloniali interessati a questa regione, con il colonialismo diretto e indiretto, come i francesi in Siria, e gli inglesi in Iraq e in Palestina. Il destino di quest’ultima fu elaborato con la dichiarazione di Belfort nel 1917 nella stessa maniera gradualmente applicativa, cioè avere uno Stato satellite in una zona circondata da Stati contrari alla volontà coloniale.

I curdi sono in totale tra 30 e 45 milioni di individui; in Turchia si trova il 20% della popolazione curda totale. In Siria, i curdi rappresentano tra il 7% e il 10% della popolazione totale siriana. Mentre i curdi iracheni rappresentano tra il 15% e il 20% della popolazione. Costituiscono il quarto gruppo etnico nel cosiddetto Medio Oriente.

La situazione siriana dopo nove anni di guerra.
In Rosso: il controllo del governo siriano.
In Verde: la presenza delle forze curde e altri, dove ci sono anche le basi americane.
In Blu a sinistra della mappa: la base militare americana di Al Tanaf, un passaggio che collega tre paesi.
In Blu scuro, in alto: truppe appoggiate da diversi parti, con tanto di jihadisti.

Una lingua curda unica non c’è, lo stesso vale per la religione. Ci sono le lingue ‘curde’ e ‘zazaki’ che appartengono al ramo delle lingue iraniane occidentali. Per quanto riguarda la religione i curdi sono presenti nelle principali sette musulmane, sunniti, sciiti (Alewiti). In Iraq e in Iran numerose comunità praticanti lo Yarsanesimo (Ahl-e Ḥaqq) e lo Yazidismo (Yazidi) sono curde.

La situazione sociale curda nei diversi paesi nel corso del tempo

La popolazione curda non è stata esente da persecuzioni e massacri. Le rivolte in Turchia iniziarono già negli anni venti del Novecento e col tempo, con Abdullah Ocalan nell’ambito del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK Partîya Karkerén Kurdîstan) si aprì la lotta armata contro la Turchia. Il 27 novembre 1978 il movimento si costituì in partito politico sotto la guida di Ocalan, ma il risultato fu un disastro con migliaia di morti e di profughi.

In seguito da Mosca Ocalan giunse a Roma il 12 novembre 1998 e chiese asilo politico, provocando un dibattito sull’opportunità (politica e giuridica) di accettare tale richiesta. Nel 1999, quando era ormai chiaro che non avrebbe avuto asilo politico in Italia, Ocalan “venne accompagnato” in Kenya, e poco dopo fu tuttavia intercettato da agenti della CIA e dai servizi segreti turchi ed estradato in Turchia.

Il PKK è ‘attualmente’ considerato un’organizzazione terroristica dalla Turchia, dall’UE, dall’Iran e dalla NATO, ma non dalla Russia, dall’India, dalla Cina, dal Brasile, dalla Svizzera, dall’Egitto e dalle Nazioni Unite. Ad esempio è stata citata nella Relazione del Senato della Repubblica Italiana sullo stato dell’ordine e della sicurezza pubblica, presentata dal Ministro dell’interno (MINNITI 2016) comunicata alla Presidenza il 15 gennaio 2018: “Per quanto attiene al terrorismo di matrice indipendentista/separatista, destano preoccupazione, per le ripercussioni che potrebbero riverberarsi sulla sicurezza interna, le tensioni sorte in seno al gruppo terroristico curdo P.K.K. tra le fazioni favorevoli ad una soluzione politica della questione curda (che fanno capo al leader storico dell’organizzazione Abdullah Ocalan) e quelle attestate su posizioni oltranziste, propense cioè a non rinunciare alla lotta armata contro il Governo turco. Nell’ottica di prevenzione, è stato implementato il monitoraggio delle diverse componenti e di elementi della dissidenza curda presente in Italia, al fine di cogliere eventuali segnali di attriti che potrebbero sfociare tanto in regolamenti di conti tra gli stessi attivisti, quanto in azioni violente contro obiettivi turchi in Italia.

Sebbene diversi gruppi di protesta, nel corso degli anni, abbiano provato a convincere l’UE a rimuoverlo dalla lista di paesi ed organizzazioni terroristiche e considerarlo una legittima forza politica di resistenza, nel 2008 il Tribunale dell’Unione europea ha persino deliberato in sfavore della scelta fatta in materia dall’Unione.

Ciò che importante è che i curdi in Turchia non sono stati inquadrati dal PKK, ma da altri gruppi politici, come il Partito della Pace e della Democrazia che è succeduto al Partito della Società democratica, e il Partito Democratico dei Popoli che è nato da una scissione del primo citato (quest’ultimo ha ottenuto nelle ultime elezioni parlamentari del 2018 fatte in Turchia, 67/600 dei seggi, con l’11,70% dei voti).

La zona cuscinetto voluta dalla Turchia
In Afrin e Idlib si trovino le forze jihadiste e non, appoggiate dalla Turchia.

In Siria, i curdi fanno parte della composizione multietnica dello Stato, e la maggior parte di loro vive nelle due più grandi città, Damasco e Aleppo, e nelle aree settentrionali, a Ain al Arab.

Quando si prova a fare una piccola ricerca per comprendere quale sia la situazione dei “curdi siriani”, dalle varie fonti mediatiche emerge spesso la notizia che le terre curde (anche se la maggior parte delle terre sono miste, con diverse etnie), sono state storicamente confiscate e redistribuite alle popolazioni arabe, in un tentativo di “arabizzazione” delle regioni curde ad opera della famiglia degli Assad.

Ma non si tratta altro che di una bufala mediatica voluta per creare motivazioni e convenzioni “moderno-attuali” così da uscire fuori dalla geografia attuale della Repubblica Araba Siriana. E dall’altro lato per convincere i curdi attraverso aiuti provenienti da attori esterni (in primis USA). Ad esempio semplicemente perche’, la Turchia pre 2010, accusava sempre il governo siriano di sostenere le forze curde, e il PKK e di offrirlo un’appoggio in Siria.

In Iraq, invece, i curdi ebbero diritti più chiari anche se subirono poi una violenta repressione. Nel 1946 venne formato il KDP, Partito Democratico del Kurdistan, sotto la guida di Mustafa Barzani, che iniziò la lotta armata nel 1946 per ottenere maggiore autonomia.

Il Kurdistan iracheno oggi è di fatto una regione autonoma, ma al tempo di Saddam Hussein non lo era così; si ricordi la vendita del petrolio all’Iran durante la guerra Iran-Iraq (1980-1988), di cui la regione è molto ricca, senza il concesso di Saddam che, infatti, si vendicò con brutalità sulla popolazione curda.

A metà anni Settanta, le divisioni all’interno del KDP portarono il partito a una divisione che vide nascere il PUK, l’Unione Patriottica del Kurdistan guidata da Jalal Talabani, presidente iracheno dal 2005 al 2014. Oggi vi è un governo regionale del Kurdistan iracheno, che amministra le tre province di Dohuk, Irbil e Sulaimaniya. Da ricordare che la Turchia ha accettato la costituzione del “Kurdistan iracheno”, e gli investimenti turchi, sono al 56%, superiori a quelli di qualsiasi altro Paese.

Chi sta provando a decidere per i curdi?

Tutta questa presentazione è necessaria a descrivere e affermare che i curdi come individui collocati in qualunque Stato della regione, fanno parte della composizione sociale, politica ed economica dello Stato in cui si trovano, con tutti i loro diritti. E ad affermare se si tratti di diritti pienamente ugualitari o meno devono essere i curdi del posto stesso, senza nessuna influenza esterna sulla loro decisione, e con i metodi legittimi. Tutto ciò mira a contrastare una qualsiasi ragione che insiste sulla necessità di creare uno nuovo Stato che andrà a fare una spartizione massiccia attraversando più di quattro Stati indipendenti, e sovrani, senza che vi sia una volontà vera, e non artificiale e mediatica, dell’individuo curdo.

Questa accelerazione clamorosa della questione ‘curda’ in questo momento particolare, nasce certamente dopo essere stata elaborata in un processo di preparazione logistico, politico e sociale, nel Nord siriano come campo di addestramento a partire dell’occupazione americana del posto con la scusa di combattere l’Isis, e nel resto del mondo attraverso i media facendo una campagna di sostenimento agli alleati addestrati all’americana. Una volontà coloniale di uscire dallo scenario e lasciare dietro di sé un rappresentante ‘Stato Satellite’, esiste, e per crearlo bisogna avere il casus belli che sta nell’invasione turca nel Nord del territorio siriano. E si spera di non finire con un altro olocausto moderno, se il presidente turco Erdogan si fiderà troppo della “luce gialla” americana. Senza rendersi conto che si tratta di una qualche trappola americana com’è accaduto con Saddam Hussein durante l’invasione al Kuwait nel 1991.

L’avanzata dell’esercito siriano alle zone del controllo curdo dopo essere stato chiamato

Si vede chiaramente nella preparazione Trumpiana per le elezioni presidenziali del 2020 negli Stati Uniti, con una delle promesse che Trump aveva fatto al suo elettorato: il ritiro delle truppe statunitensi dallo scenario mediorientale. E da quel momento Washington ha avviato una serie di scambi bilaterali con la Turchia per la creazione di una zona cuscinetto nel nord della Siria, richiesta dal governo turco, e per il riassetto delle aree a maggioranza curda. E all’inizio di agosto è partito l’accordo per la creazione di un centro per il coordinamento e la gestione congiunta della zona cuscinetto. La nuova mossa si è avuta quando la Casa Bianca ha rivelato il contenuto della chiamata tra Trump e il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, in cui il presidente USA ha garantito il ritiro dal nord-est siriano del personale militare statunitense.

Dopo quella che è inizialmente sembrata una “luce verde” alle operazioni turche nel Nord della Siria, Trump come al solito ha fatto marcia indietro a causa della presenza di diverse voci nell’amministrazione americana. Per poi diventare una luce gialla per la Turchia concretizzatasi con la minacciare alla Turchia di distruggere la sua economia come ha riferito Trump stesso in un tweet successivo a quello in cui ha dato la via all’operazione turca.

Anche se nello stesso giorno il Dipartimento per la Difesa americano ha smentito il supporto americano a qualsiasi operazione turca contro i curdi, e fonti del Pentagono hanno precisato che non c’è alcun ritiro in corso. Si tratterebbe di una semplice redistribuzione di appena 50-100 soldati, spostati in altre basi militari all’interno della Siria. Per non dare l’impressione che gli Stati Uniti usciranno veramente dallo scenario mediorientale, Trump ha confermato il contrario, quando ha deciso di mandare 3mila soldati in più nei paesi del Golfo già giorni prima dell’invasione turca, dichiarando: “l’Arabia Saudita ha deciso di pagarci per la protezione”.

Qui si pone una domanda essenziale, ma gli USA hanno la volontà di uscire dalle guerre nel cosiddetto Medio Oriente o l’esercito americano è diventato un esercito di mercenari, pronto a schierarsi con chi lo paga di più? Probabilmente i curdi siriani l’hanno capito, se si analizza la nuova mossa del 13/14 ottobre quando le autorità’ dei curdi siriani che erano sotto l’influenza americana, hanno chiesto all’esercito siriano del governo di Damasco, cioè quello legittimo secondo il diritto internazionale, di presentarsi alle frontiere con la Turchia. In questo modo i curdi siriani hanno cambiato asse completamente. Ora la perdita sara’ nei confronti di Trump, che dovrà ritirare le sue truppe se non otterrà al più presto una nuova scusa per giustificare il suo “essere in Siria”, può darsi forse con quella famosa rinascita voluta dall’Isis…

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