ArteRiflessioni

Banksy al Mudec: quando il sovversivo diventa istituzionale

Da Novembre 2018 ad aprile 2019, il Museo della culture (Mudec) di Milano ha organizzato una mostra sulle opere di Banksy, controverso artista britannico dall’identità ignota che si occupa prevalentemente di street art. I suoi graffiti, sparsi in diverse parti del mondo, da Londra alla Cisgiordania, passando per l’Italia e tanti altri paesi, sono motivo di dibattiti interminabili. Le sue opere, realizzate con la tecnica dello stencil compaiono a ritmi imprevedibili e cadono come bombe per distruggere il comune concetto di arte. La sua è un’arte che presuppone l’impegno politico e civile e grazie all’incredibile capacità comunicativa delle sue opere, alla sua ironia sagace e amara allo stesso tempo, Banksy sta riuscendo sempre di più in quell’intento di decostruzione del sentire comune occidentale, di una giustizia che non è giustizia, di un’umanità che procede solo economicamente e si sfalda ripiegando il sistema su sé stesso.


Banksy, Trolley Hunters

Le sue sono operazioni “chirurgiche” atte a una rivolta pacifica, nelle quali adopera la pittura spray ad esempio sui muri grigi delle città che lo ospitano. Lo spazio pubblico, per l’artista, è il solo santuario dove l’arte può esistere e dove chiunque può riceverne e coglierne il messaggio, lanciato con tanta forza dirompente. La strada è il luogo in cui l’arte deve essere presente in tutta la sua efficacia e vista da chiunque, portando lo spettatore a riflettere e cogliendolo di sorpresa. I soggetti di Banksy sono simbolici nella loro ironia dell’improbabile, in grado a volte di fare innervosire, di smuovere la coscienza dell’osservatore. Difficile rimanere impassibili davanti a opere le quali ci svelano una verità che abbiamo ogni giorno sotto gli occhi ma a cui forse siamo troppo indifferenti. Sono opere provocatorie a cominciare dallo stile ovvero immagini che risvegliano la coscienza e che richiamano al nostro senso di responsabilità di partecipare a un sistema spesso incoerente che non è in grado di stabilire priorità che non siano puramente economiche.

Banksy, Sale Ends Today

Diverse mostre su Banksy sono state organizzate da musei in tutto il mondo, ma nessuna di esse è mai stata autorizzata dall’artista, il quale continua a mantenersi coerente con sé stesso nella misura pubblica mantenuta nel contesto dell’arte a cielo aperto. Anche la mostra organizzata al Mudec è una mostra non autorizzata. Dopo ore di attesa in coda, salendo le scale si aprono le poche sale, ricolme di individui di tutte le età, dai bambini agli anziani. Ai muri sono appese riproduzioni di graffiti e serigrafie in edizione limitata prodotte dall’artista in maniera del tutto eccezionale, prestate al museo da diversi collezionisti e si aprono altre sale con un documentario e un video proiettato su tutte le pareti della stanza dedicata per un’esperienza ancora più immersiva. Un’intero pannello è dedicato ai topi, soggetto molto caro a Banksy, animali in cui, forse, anche l’artista si rivede per il loro modo di sgattaiolare silenziosamente per le città, proprio come ogni writer che si rispetti. Sembra quasi che Banksy proponga agli uomini di diventare topi, animali che lavorano ed esistono in una logica di branco, di comunità, mentre l’umanità si gestisce sempre di più come un mucchio di individui che non sono in grado di comunicare o di agire in funzione di un reale bene comune.

Banksy, Love Rat

Le opere esposte sono stupefacenti e le sale ben organizzate, ma è davvero questo il modo di guardare l’opera di Banksy? La risposta dovrebbe essere no. Organizzare una mostra su uno street artist in un museo, lasciare le persone in code d’attesa per ore e far pagare un biglietto del cui ricavato, per ovvie ragioni, niente andrà all’artista, è una proposta incoerente con il lavoro di Banksy e con l’idea di arte per cui l’artista tanto si prodiga. Ingabbiare un artista dalla forza così anti-istituzionale nella comune fruizione dell’arte non significa onorarlo e riconoscergli un’importanza artistica superiore ad altri writers, ma forse più distruggerne la poetica e dimostrare di non essere in grado di rispettarne le scelte. Per tutta la mostra è ribadito da qualsiasi didascalia il fatto che Banksy operi del tutto fuori dal circuito del commercio dell’arte. Si sta parlando di un artista che vuole liberare l’immagine da ogni tipo di briglia istituzionale, dai pareri dei critici; di un artista che lavora facendo il passo (o la corsa) verso il pubblico, piuttosto che invitandolo in uno spazio in cui è il pubblico a doversi muovere verso di lui. Il concetto della mostra è così palesemente in totale contraddizione con la poetica dell’artista, che con la sua arte sfonda la parete invece di costruire muri in cui rinchiudere la propria opera.
A sostegno di questa tesi sono in molti, artisti e ammiratori dell’anonimo britannico e sui muri esterni del museo sono comparsi graffiti che denunciano questo approccio della mostra come inadatto alle opere di Banksy.

 

Opera affissa su mura esterne del museo Mudec

Un altro dettaglio di spaesamento è il fatto di uscire dall’esposizione attraverso il solito gift shop che si presenta al termine di tutte le mostre, in cui dalle spille, alle cartoline ai libri e alle magliette si fa ancora più evidente la speculazione economica sulle opere stesse mentre sull’ultimo scaffale si trova addirittura il DVD del film diretto da Banksy nel 2010 intitolato Exit Through The Gift Shop. Che dire? Che questa mostra sia volutamente costruita con ironia su questo contrasto potrebbe anche essere un’ipotesi valida e comprensibile. Sicuramente resta una buona idea cercare di rendere visibili a molti in maniera fisica certe opere che altrimenti non vedremmo facilmente se non in fotografie sgranate trovate sul web; la mostra è ricca, ben fatta e molto frequentata (indice del fatto che sia davvero riuscita e che Banksy sia già riconosciuto da tutti come un artista di alto livello), ma resta il fatto che si sta facendo qualcosa che distrugge la poetica di un autore percependone un cospicuo ricavo e siamo tutti sicuri che Banksy non lo vorrebbe.

Federica Defendenti

Studio Lettere Moderne con indirizzo di Discipline dello Spettacolo all'Università di Pavia. Sono caporedattrice della rivista "Inchiostro"; redattrice per "Birdmen Magazine"; appassionata di poesia, musica, cinema e arti visive.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *