Cultura

ANTEPRIMA: “Lincoln”

di Silvia Piccone

Si parla di epica fatica quando si allude all’ultimo film di Spielberg, “Lincoln”, stato in pre-produzione per diversi anni e finalmente in uscita nelle sale italiane il 24 gennaio 2013.
Vincitore di un solo Golden Globe a fronte delle sette nominations, è il film favorito degli Oscar 2013 grazie alle 12 candidature ottenute grazie alle quali concorre a testa più che alta insieme ad altre perle autentiche del cinema contemporaneo tra cui “Django Unchained”, “Les Misérables” o “Life of Pi”.
Protagonisti gli ultimi mesi di vita, in piena guerra civile, del sedicesimo presidente degli Stati Uniti d’America Abraham Lincoln, interpretato da colui che per 150 minuti è stato il solo ad aver reso magnetica una pellicola altrimenti considerabile eccessivamente lunga e assai verbosa: Daniel Day-Lewis.
Ritenuto, non a torto, uno dei migliori intepreti viventi, le cui virtù si sono conosciute già grazie al genio di Scorsese o all’immenso “Il Petroliere”, penultima opera di P.T. Anderson attualmente in sala con “The Master”, l’attore protagonista grazie a Spielberg assume le sembianze di uno degli eroi d’infanzia del regista stesso, quelle di un uomo avveduto, intelligentemente silenzioso, tormentato, solennemente dolorante, combattuto e combattente.
Guerra e distruzione aleggiano nell’aria senza vedersi: concentrandosi sulle abilità politiche di Lincoln, il regista ha composto con maestrìa un bel ritratto d’uomo, brillantemente cosciente, con una visione d’insieme mai distorta, capace di ottenere con ogni mezzo, tra repubblicani e democratici, i voti necessari alla vittoria, talmente consapevole dell’immenso potere nelle proprie mani da disporne con cautela, senza la pericolosa avventatezza di chi ne viene accecato e facendo della ponderatezza una delle sue armi migliori.
Day-Lewis interpreta un marito apparentemente freddo e padre affettuoso di un secondario Joseph Gordon-Levitt in lotta con i genitori apprensivi contrari, dopo la grave perdita di un altro filgio, al suo arruolamento, e che si trova a dover far fronte allo spirito leggero, ironicamente divertente del  padre descritto, dunque, ancor prima come uomo che come presidente fermamente determinato nel veder accettato il tanto sofferto XIII emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d’America a favore dell’abolizione della schiavitù.
Ma se è l’uguaglianza la vera protagonista del film, non c’è che dire, la commovente sequenza finale ce lo ricorda inesorabilmente poiché, ahinoi, al mondo solo una cosa ancora oggi ci rende veramente uguali davanti a Dio e davanti agli uomini, e di certo non è la libertà.

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