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Referendum taglio parlamentari: il punto su sostenitori, risparmio, rappresentanza

Articolo di Francesca Porcheddu e Davide Alfonso Capezza.

Il 20 e 21 settembre siamo tutti chiamati a votare per il referendum sul “taglio dei parlamentari”. Se ne è parlato, ma non abbastanza, facciamo quindi un po’ di chiarezza.

Cosa prevede la legge di revisione costituzionale?

La legge “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, è stata fortemente voluta dal M5S e prevede una riduzione da 630 a 400 seggi alla Camera, da 315 a 200 seggi al Senato. I deputati eletti dagli italiani all’ estero passerebbero da 12 a 8 e i senatori da 6 a 4. Il numero minimo di senatori assegnato ad ogni regione si abbassa da 7 a 3. Molise e Valle d’Aosta ne avranno sempre rispettivamente due e uno. Le province di Trento e Bolzano sono equiparate alle regioni. Inoltre il numero massimo di senatori a vita di nomina del Presidente della Repubblica non potrà più in alcun caso essere superiore a 5.

Come e quando è stata approvata la legge?

Quando si intende modificare la Costituzione si deve seguire il procedimento previsto dall’art. 138, il quale prevede una doppia deliberazione in Camera e Senato. Per la prima deliberazione è necessaria l’approvazione di entrambe le camere a maggioranza relativa, in seconda deliberazione, se viene raggiunta una maggioranza di ⅔ in entrambe le camere la legge viene promulgata dal Presidente della Repubblica e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. Se invece non si raggiunge la maggioranza dei ⅔ ma la maggioranza assoluta (50%+1) il disegno di legge viene pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale ed entro tre mesi può essere richiesto un referendum popolare da ⅕ del membri della Camera, o da 500.000 elettori o da 5 consigli regionali. L’8 ottobre 2019 in seconda deliberazione alla Camera la legge sul taglio dei parlamentari è stata approvata maggioranza dei ⅔ alla Camera. Non essendoci stato il raggiungimento dei ⅔ anche in Senato, 71 senatori  hanno depositato la richiesta di referendum presso la Corte di Cassazione il 10 gennaio 2020.

Il referendum non richiede il raggiungimento di un quorum per avere efficacia (essendo confermativo e non abrogativo), sarà quindi irrilevante il numero di cittadini che andrà a votare e si terrà conto solo del risultato.

Perché i senatori sono 315 e i deputati sono 630?

Nel 1948, la Costituzione non fissava un numero massimo di parlamentari da eleggere, ma erano eletti e assegnati in proporzione al numero di abitanti. Nel 1963 fu approvata una legge costituzionale  che fissò a 630 i deputati e a 315 i senatori. La riforma garantì un miglior equilibrio del sistema bicamerale: il rapporto fisso di 2 a 1 dei parlamentari favorisce infatti una migliore rappresentanza di entrambe le camere in occasione delle sedute comuni del Parlamento.

Cosa comporterebbe la riduzione dei parlamentari?

Si passerebbe dai circa 96mila abitanti per deputato a circa 151mila. Al Senato, dove i seggi sono attributi su base regionale, dato che il numero minimo sarebbe di 3 senatori e non più 7, sarebbero eletti i partiti più votati con un sacrificio delle minoranze.

Come spiega il Sole24ore (http://amp.ilsole24ore.com/pagina/ACMz73f), per evitare questa distorsione è in discussione una nuova legge elettorale per modificare il sistema elettorale in senso totalmente proporzionale. Attualmente il nostro sistema è una combinazione di maggioritario e proporzionale. Se il sistema tornasse interamente proporzionale sarebbero eliminati i collegi uninominali che favoriscono i raggruppamenti più forti, la tenuta della governabilità e rafforzano i legami territoriali tra elettori e rappresentanti.  Un sistema solo proporzionale garantisce meglio la rappresentanza ma condurrebbe anche ad un parlamento più frastagliato, con accordi di governo più fluidi.

L’Italia ha un numero di parlamentari per numero di abitanti simile a quello dei grandi Paesi europei; dopo la riforma diventerebbe invece uno dei paesi con il più basso livello di rappresentanza politica in rapporto alla popolazione dell’intera Unione Europea.

(https://www.internazionale.it/opinione/alessandro-calvi/2020/08/19/referendum-taglio-parlamentari)

Chi sostiene il referendum?

I partiti politici che sostengono i referenda, ed in particolare la riduzione dei parlamentari sono, essenzialmente, tutti i maggiori partiti italiani. Per essere precisi: non ci sono grandi schieramenti politici esplicitamente per il No.  Il Movimento 5 stelle, la Lega Nord/Salvini Premier e Fratelli d’Italia si sono detti favorevoli alla riduzione dei parlamentari. Il Partito Democratico, Forza Italia ed Italia Viva non hanno una posizione ufficiale. Il PD ha espresso voto contrario per tre volte, accettando però di sostenere il “sì” in cambio della promessa dei grillini di limare leggermente gli aspetti più critici della proposta; all’interno del centro-sinistra non sono mancate le critiche e le opposizioni. Non sono pochi gli esponenti democratici che si oppongono al taglio, fra i quali Gianni Cuperlo, Matteo Ordini (ex presidente del partito) ed il sindaco di Bergamo Giorgio Gori. Forza Italia similmente non ha una posizione univoca: Mariastella Gelmini sul Foglio fa propaganda per il “sì”, mentre il senatore forzista Lucio Malan su Twitter paragona la riduzione dei parlamentari alle riforme totalitarie di Mussolini. I partiti minori sono naturalmente più propensi al “no” ( per ovvi motivi), ed infatti +Europa, Sinistra Italiana, Azione ed Europa Verde si sono schierati contro le riforme proposte. Non si dimentichino però le parole dei giuristi: in 183 costituzionalisti hanno pubblicamente dichiarato che voteranno contro le modifiche.

I veri costi della politica

L’argomento che nella pratica ha toccato di più gli elettori è la riduzione degli sprechi e soprattutto il taglio di uno degli uffici più malvisti del Paese: il parlamentare. Sono frequentissimi gli scandali legati a qualche deputato o qualche senatore che assume moglie, figlio, cugino, amante, zio a fior fiori di quattrini, oppure che viene pizzicato ad intascarsi i fondi per i portaborse. Per non parlare del vitalizio. Del resto l’intera riforma proposta si basa su due punti: risparmio e maggiore efficienza.

In realtà il risparmio annuale sarebbe di 52,9 milioni di euro ogni anno per la Camera dei deputati, mentre il taglio del Senato avrebbe un risparmio potenziale di  28,7 milioni di euro. Il totale è di 81, 6 milioni di euro annuali. Per avere un’idea, il referendum da solo costa 300 milioni (fonte: https://quifinanza.it/soldi/taglio-parlamentari-quanto-risparmiamo-davvero/346032/). Questo vuol dire che per ripagare la votazione sarà necessaria quasi una legislatura intera (nell’improbabile caso che in Italia una legislatura duri per intero).

Inoltre si potrebbe fare una piccola considerazione: se ci sono meno parlamentari a svolgere le stesse funzioni che prima erano prerogativa di un numero più ampio di loro, saranno inevitabilmente più oberati di lavoro, con una non indifferente contrazione della produttività. Se si volesse veramente risparmiare qualche milione (eliminando privilegi ritenuti assurdi) sarebbe sufficiente selezionare in modo più accurato i propri rappresentanti.

Non convince quindi lo stendardo del risparmio, anzi appare un punto fragile, considerato che in 14 mesi di governo giallo-verde solo per i giochi di pubbliche relazioni del governo si sono persi 20 miliardi di spread. Secondo La Stampa solo fra marzo ed aprile sono stati spesi 6 miliardi di euro tra speculazioni ed appalti gonfiati, situazioni nelle quali la politica spesso è coinvolta. Si potrebbe continuare all’infinito ad elencare le spese pazze di amministrazioni locali e clientelismi (è sempre attuale La Casta di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella), ma sarebbe una lista da ragioniere, considerando le dimensioni del fenomeno. In un Paese dove l’economia sommersa secondo l’Istat supera i 200 miliardi all’anno, viene il sospetto che questo sia l’ennesimo provvedimento demagogico per incanalare la rabbia popolare verso bersagli inutili per mantenere lo status quo, evitando di cambiare davvero le cose rischiando di perdere i voti di qualche fascia della popolazione che si scontenta con dei veri mutamenti.

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