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Chi sono le Donne in bianco della Bielorussia

Dopo le controverse elezioni presidenziali del 9 agosto che hanno confermato il sesto mandato del presidente Alexander Lukashenko, la città di Minsk è diventata nuovamente teatro di accese proteste. L’accusa è quella di falsificazione dei risultati elettorali da parte di Lukashenko e dei suoi funzionari, respinta dal governo con dure repressioni che hanno comportato incarcerazioni di massa e abuso di violenza contro i manifestanti.
In risposta alla brutalità della polizia, migliaia di cittadine bielorusse si sono organizzate nel movimento autoproclamato Donne in bianco, diffuso poi a macchia d’olio in tutto il Paese e che ha coinvolto migliaia di persone.

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Donne in bianco manifestano a Minsk (foto via EPA)

Già a maggio i cittadini bielorussi si erano riversati nelle strade della capitale per denunciare i metodi autoritari di Lukashenko, che da tempo reprimeva i mezzi di informazione indipendenti, arrivando addirittura a bloccare la connessione Internet del Paese per diversi giorni per manipolare l’opinione pubblica tramite la propaganda istituzionale. Questo modus operandi non è una novità per Lukashenko: dalla sua prima candidatura, nel 1994, l’ex militare bielorusso non ha esitato a spianare la strada alla propria affermazione politica attraverso riforme costituzionali definite dall’OCSE come antidemocratiche, brogli elettorali e silenziamento del dissenso. Il suo operato gli è valso il titolo di “ultimo dittatore d’Europa”.
Nelle scorse elezioni, qualcosa sembrava essere cambiato: l’opposizione aveva finalmente trovato il coraggio di schierarsi, correndo un grande rischio per l’incolumità dei candidati. Qualche mese prima del voto, infatti, tre dei principali avversari politici del presidente uscente Lukashenko sono stati arrestati o estromessi dal Paese, impossibilitando la loro partecipazione alla corsa elettorale. Quando una vittoria a tavolino sembrava inevitabile, però, tre donne hanno svoltato il corso degli eventi.
Uno dei leader estromessi dalle elezioni, Sergei Tikhanovsky, ha raccolto le firme necessarie per candidare sua moglie, Svetlana Tikhanovskaya. Nel giro di qualche settimana si sono poi unite alla sua coalizione anche Veronika Tsepkalo e Maria Kolesnikova, rispettivamente la moglie di un altro dei candidati estromessi e una direttrice di campagna elettorale. Hanno sin da subito attirato l’attenzione mediatica internazionale, e hanno saputo coinvolgere la popolazione al punto di registrare un’affluenza senza precedenti ai loro comizi, diventando il simbolo di liberazione di un’intera nazione soffocata dal regime autoritario di Lukashenko.

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Svetlana Tikhanovskaya durante un comizio prima delle elezioni in cui ha sfidato Lukashenko (foto via Getty)

Il movimento delle Donne in bianco ha subito mostrato supporto alla loro coalizione e ai loro obiettivi di cambiamento. Hanno creato “catene di solidarietà” decentrate in tutta la Bielorussia, ovvero catene umane di persone vestite di bianco che alle violenze della polizia rispondono con simboli semplici e pacifici, come fiori e lacci dei colori della bandiera nazionale. Poco dopo questi gesti, il numero di persone che ha avuto il coraggio di manifestare il proprio dissenso è cresciuto esponenzialmente, al punto da poter contare decine di migliaia di donne e uomini.
I segni della voglia di cambiamento sono dilagati ovunque. Nella fabbrica Minsk Tractor Works gli operai, classe storicamente fedele a Lukashenko,  hanno intonato cori in favore di Svetlana in una protesta; negli uffici della televisione di Stato, considerata una parte fondamentale della macchina di propaganda del governo, hanno scioperato centinaia di dipendenti; sul web è stata creata la campagna #she4belarus, condivisa da milioni di utenti; per strada, ancora centinaia di persone vengono aggredite dalla polizia con botte e gas, nonostante le modalità di protesta siano assolutamente non violente. 

Una tale determinazione da parte dei cittadini altro non è che il risultato dell’esplosione di una bomba ad orologeria, da tempo presente nella società bielorussa. La (sostanziale) dittatura è stata enormemente ostile nei confronti delle donne e delle minoranze per interi decenni. Lukashenko è addirittura arrivato a sentenziare a fine maggio 2020 che la Costituzione non fosse “materia per donne”, e che la società non fosse ancora abbastanza matura per votare una donna.
Questi pregiudizi risalgono al regime dell’ex Unione Sovietica, dove alle donne non era permesso nemmeno di alzare la voce o dimostrare troppa intelligenza e intraprendenza, perché tali atteggiamenti sarebbero stati mal visti. Le attuali donne della Bielorussia hanno però ampiamente dimostrato che è arrivato il momento di superare certe mentalità, smettendo di fare finta che situazioni scomode non esistano (come ha fatto Lukashenko per il Coronavirus) e iniziando finalmente un’integrazione sociale per il benessere e il progresso del Paese.
Intanto, un’altra enorme manifestazione si è tenuta a Minsk la scorsa settimana – con decine di migliaia di persone – per protestare contro i risultati delle elezioni. Dal New York Times è stata definita come la più partecipata della storia della Bielorussia e ha dato prova che, contrariamente a quanto sostenuto da Lukashenko, i tempi sono decisamente maturi perché una donna possa ricoprire un’alta carica politica.

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