Attualità

La Terza Repubblica

 

di Giovanni Cervi Ciboldi

 

Poche ore possono fare la differenza tra l’essere ricordati come uomini di stato o come sfiduciati e sconfitti in malo modo. E poche volte è meglio arretrare prima di essere sconfitti sul campo lottando fino alla fine. Berlusconi ha scelto una via di mezzo.
Caduto sotto il fuoco incrociato dell’opposizione, della stampa internazionale, dei malpancisti, dei parlamentari alla prima legislatura intenti a mettere in salvo il proprio vitalizio, dei mercati di cui i differenziali – in questi ultimi giorni – hanno toccato picchi inediti. Ammutinato dai suoi, anche dai più fedeli, gli ultimi a cedere all’evidenza di un leader non più credibile. Un clima da estrema unzione.
Inutile additare chi l’aveva capito prima, chi chiedeva “cambi di prospettive” – ovvero teste da tagliare – facendo cantare carta da lettera, o chi in un fragoroso silenzio si faceva da parte o si muoveva verso nuovi orizzonti. Inutile cercare i mandanti se si tratta di un suicidio.
Da mesi ci si era atteggiati come immuni dalla crisi, si sono minimizzate le problematiche italiane inquadrandole in una recessione mondiale e negandone le profonde radici interne, pensando di poter essere i soli a pagarne il prezzo senza metterci la faccia. Si sono promessi adeguati riconoscimenti per ripagare una fede ormai persa, di chi non vuole più farsi comprare. Fino all’ultimo si è cercato il compromesso ma, come in un rapporto amoroso, quando viene meno la fiducia non è più possibile proseguire.
È venuta a mancare, prima di quella degli uomini più vicini al leader, la fiducia di un popolo che ha temuto di subire i fallimenti di un corpo tanto agonizzante che non può più arrivare alla meta, di una maggioranza che ha fallito, riuscendo a spaccarsi nonostante i numeri con cui ha iniziato la legislatura.
Poi è venuta meno quella di un mercato che dopo aver lasciato il tempo per un risveglio, l’ha forzato, palesando la propria diffidenza con un continuo incremento dei differenziali, fino a imporre un monitoraggio che ha il sapore di un commissariamento.
Infine si è esaurita quella in un premier che ne ha combinate tante, troppe anche per la pancia di coloro disposti a concedergli l’“ultima possibilità” di prendersi sulle spalle questa serie di fallimenti. Una abdicazione che, dopo ogni tentativo possibile di recupero della maggioranza, arriva prima di portare a fondo anche il partito.
Ma fallacia sta soprattutto nel non aver governato, nel non aver obbedito alle resposabilità che si erano assunte. E in tale situazione, annunci e parole per giorni e mesi hanno avuto il solo effetto di nascondere una realtà immobile e immobilista, di tenere a galla qualcosa che pesava troppo per poterci stare.
E’ stata una questione di fiducia, durata 17 anni, molto al di là del solo conteggio dei voti parlamentari.

 

 

 

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