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Manchester by the sea – Il dramma onesto di un uomo

– “Se dovessi portare con te su un’isola una sola persona, un uomo in gamba, che ti fa sentire protetto e felice, tra me e tuo padre chi sceglieresti?”
– “Mio padre!”
– “Non capisco…”

Queste parole sibilline che ci urlano che qualcosa romperà il “quadretto familiare” sono pronunciate in una battuta di pesca a bordo della “Claudia Marie” e aprono “Manchester By The Sea“, scritto e diretto da Kenneth Lonergan (al terzo film da regista) e co-prodotto da Amazon Studio e Matt Damon. Presentato al Sundance Film Festival 2016 e poi alla Festa del Cinema di Roma, ha ottenuto svariati riconoscimenti prestigiosi tra cui BAFTA e Oscar per la miglior sceneggiatura originale (Lonergan del resto sotto questo aspetto si è fatto in passato con Terapia e Pallottole e Gangs of New York tra gli altri lavori) e Golden Globe, BAFTA e da ultimo l’Oscar come migliore attore protagonista per la performance di Casey Affleck, quest’ultimo voluto nel cast fortemente proprio da Matt Damon che inizialmente avrebbe dovuto dirigere e interpretare il film.

Tuttavia la scena iniziale è solo un ricordo, quello di Lee Chandler (Casey Affleck), scontroso e apatico tutto fare di Boston che vive in una piccola stanza di un seminterrato, costretto a trasferirsi nella plumbea e malinconica Manchester By The Sea (vera cittadina del Massachusetts) per prendersi cura di suo nipote Patrick (Lucas Hedges) rimasto solo dopo la morte del padre, suo fratello, Joe avvenuta a causa di uno scompenso cardiaco. Le premesse ci porterebbero a pensare a molti film dei quali nessuno ha lasciato particolare segno, ma “Manchester By The Sea” si allontana dal modello già visto e rivisto per raccontarci un’altra storia, più dura ma più realistica: non c’è un rapporto difficile con il nipote da risolvere e Lee non era quello che è oggi, a Manchester By The Sea aveva una bella famiglia, una moglie, molti amici; il suo carattere arcigno e la sua quasi indifferenza alla notizia della morte del fratello risultano inizialmente stranianti per lo spettatore, che sarà onnisciente solo verso la metà del film grazie all’impiego del flashback, ma sono il risultato di un errore fatale che ha distrutto la sua famiglia per sempre, una distrazione che non può perdonarsi e che lo porta a sopravvivere piuttosto che a vivere. La metabolizzazione del dolore e il diverso modo di conviverci, tanto del protagonista, quanto della sua ex moglie (Michelle Williams) e ancora quella diversa di suo nipote per la perdita del padre sono al centro del film ma, nonostante il tema sia molto intimo e personale, il regista sceglie abilmente di discostarsi dal patetismo sostituendo i cliché a portata di “lacrima facile” con esplosioni di rabbia, immagini crude e grandi silenzi che riescono a dire tutto senza troppe parole, accompagnati da un musica classica che irrompe nei momenti cruciali, quasi appositamente distonica.
Non siamo poi certamente di fronte ad una commedia ma a dare un valore aggiunto alla pellicola possiamo notare l’abilità di Lonergan, che riesce a spezzare il dramma dosando con armonia e senza essere inappropriato momenti e situazioni che fanno sorridere, affidandoli perlopiù al personaggio del nipote Patrick, adolescente alle prese con i primi amori e madri (compresa la sua) decisamente strane.
Lee potrebbe avere una seconda possibilità ma il finale non cerca di essere accomodante a tutti i costi rischiando di scivolare nel banale e rimane coerente con ciò che si è mostrato fino a quel momento, lasciando piuttosto un piccolo segnale di un passo in avanti che non oggi, ma un giorno forse qualcosa cambierà. La scelta infatti è quella di puntare sull’onestà: c’è chi è andato avanti o si convince di averlo fatto, c’è chi come il giovane Patrick ha una vita intera davanti ma non dimenticherà mai le sue radici (la barca Claudia Marie ne diventa simbolo) e poi c’è Lee che non è nè stoico nè un eroe, è semplicemente un uomo tutt’altro che risoluto che sa di aver fallito e che ha troppa paura di commettere di nuovo gli stessi sbagli, intrappolato nel senso di colpa di vivere una vita per la quale non crede di essere all’altezza, almeno non ora.
“Manchester By The Sea” è un buon film nel suo genere drammatico, anche se non va esente da qualche critica: per certi versi si può dire di poterlo apprezzare meglio a visione terminata. Nella prima parte i tempi infatti risultano piuttosto dilatati e il fatto che lo spettatore non conosca le vicende può risultare motivo di minor coinvolgimento, anche se in un secondo momento se ne capisce l’intento e si apprezza il lavoro su tutti proprio del protagonista Casey Affleck, molto intimista, calato perfettamente nella parte al punto di non interpretare ma diventare per un paio d’ore Lee Chandler, meritandosi il successo ottenuto aldilà delle polemiche sul passato dell’attore (processato mediaticamente per accuse – ritirate- per molestie) e del significato spesso commerciale che accompagnano premi come gli Academy Awards , con buona pace di Denzel Washington.

Chiara Turco

Chiara Turco nasce a Pavia il 23 agosto 1993. Frequenta il liceo scientifico "C. Golgi" di Broni (PV), diplomandosi nel 2012. Nel febbraio 2018 consegue la laurea magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Pavia. Appassionata di Cinema, diventa redattrice di Birdmen nel dicembre 2016, per poi successivamente occuparsi anche dell'ambito social network.

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