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Intervista a Maria Borio.

L’intervista è stata condotta da Greta Gerthoux, ex redattrice di Inchiostro.

Dopo Pelliti, Policastro Benigni, Inchiostro intervista Maria Borio, giovane poetessa contemporanea. Maria Borio è nata nel 1985, si è laureata in Lettere ed è dottore di ricerca in Letteratura italiana. Ha scritto su Vittorio Sereni, Eugenio Montale e diversi poeti contemporanei, ha pubblicato i saggi “Satura. Da Montale alla lirica contemporanea” (Serra 2013) e “Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000” (Marsilio 2018). Cura la sezione poesia di «Nuovi Argomenti». Sue poesie si leggono nel «XII Quaderno di poesia italiana contemporanea» (Marcos y Marcos 2015). Ha pubblicato la plaquette L’altro limite (pordenonelegge-LietoColle 2017) e una raccolta in uscita nella collana «Lyra giovani» di Franco Buffoni (Interlinea 2018).

images1. Dal momento che siamo in contatto con un ausilio tecnologico, proprio da qui mi piacerebbe iniziare. In una poesia si parla di “averno del telefono”. Ho notato che l’aspetto della tecnologia compare frequentemente nei suoi lavori, alternato o addirittura intrecciato con quello della natura. In una realtà che sembra dare spazio a tutto ma in cui apparentemente la poesia non trova spazio, quale dimensione crede che essa possa creare?

Per attraversare l’esperienza si possono scegliere gli aspetti che ci sembra portino con più evidenza il contemporaneo e concentrasi su di essi scartando tutto il resto. Oppure si può cercare la relazione tra le parti, la tecnologia e la natura, qualcosa di strettamente innovativo e qualcosa di arcano, lo schermo di un computer e la iscrizioni rupestri, il tempo digitale e quello naturale, il contatto tra la prosa e una verticalità. Mi è naturale la seconda strada. Forse il mio sguardo è più fluido che chirugico, cerca la relazione più che la scissione. La poesia per me resta una forma di conoscenza, non un veicolo di espressività. Da cinquant’anni a questa parte, dagli anni Settanta in poi, i nostri sistemi culturali sono andati incontro a una serie di cambiamenti che hanno trasformato anche la caratterizzazione moderna, o romantica, della poesia. Se la poesia oggi non trova spazio, come dici, anche le ideologie non hanno più la forza che avevano. È cambiato l’impatto della poesia, ma pensiamo a come sia cambiato quello della politica… La soggettività romantica, quella della poesia come forma epifanica di assoluto, appare ingenua, cozza con la realtà contemporanea. Ma la soggettività resta comunque uno dei bacini più potenti di rappresentazione letteraria. Se non è più plausibile la centralità di un individuo in rapporto a un sistema universale di valori, se appare vuota la fiducia nella centralità di un’espressione che non si pone il problema di un orizzonte di valori, a cui si reagisce con il nichilismo o il narcisismo, diventa importante per me trasformare l’ideale umanistico o, meglio, farlo entrare nella complessità dell’esperienza. L’ideale umanistico non è più un esempio che ci sovrasta, che ispira dall’alto la vita civile e artistica, ma un esempio che viene dalla precarietà dell’esperienza.

2. “Le cose – è stato detto – parola imperfetta/ male educata perfino quando dice/ né questo né quello/ né alto né basso – e il mondo che è/ questo quello alto basso./ Le cose e il mondo dovrebbero dare/ lo stesso – perché una poesia identifica/ e unisce, quando deve parlare/ delle cose e del mondo/ se deve parlare.”. Questi versi, tratti dalla poesia Mi sembra strano in questo giorno…,mettono in rilievo due concetti, le cose e il mondo, a loro volta unite dalla poesia, della quale in filigrana sembra quasi comparire l’essenza. A tal proposito, qual è la sua idea di poesia e come riesce a metterla su pagina? Esiste un’immagine che racchiuda in sé tutte le proprietà a suo avviso fondamentali della poesia?

Mi sembra strano in questo giorno… è una poesia un po’ metafisica. Come possiamo capire il rapporto tra un intero – il mondo che porta una verità generale, ma racchiusa nella complessità, sedimentata, non esplicita – e le sue parti – le cose, che sono magari evidenti, ma circoscritte, parziali, imperfette? La poesia getta un amo intuitivo e poi, nel finale, si scioglie con tenerezza in una relazione d’amore, nell’incapacità disarmata di sciogliere razionalmente certe accensioni. Chi scrive si dà ad esse. Che cos’è l’affetto? Come può portarci a ‘pensare’, oltre che a ‘sentire’? Credo che anche la poesia sia legata a una forma di affetto. Afficĕre vuol dire impressionare, ma indica anche un’inclinazione. Penso a questa inclinazione come alla possibilità di indagare le relazioni, umane e non. Una parola che mi piace molto è armonia, ma non nella sua accezione comune. In un passo dell’Odissea c’è Ulisse in mezzo a una tempesta, su una zattera di cui cerca di tenere uniti i tronchi (V, 361-362). Il verbo usato per questa azione è άρμόζω, che significa tenere insieme, collegare, accordare, unire. Di certo questa armonia non esprime nulla di pacificato. La relazione, oltre ad essere una forma di collegamento, resistenza, è una forma di ‘composizione’. Così, in musica, gli accordi. Così, in poesia, il ritmo.

maria-borio3. Riallacciandomi alla poesia che unisce, al giorno d’oggi si parla molto di incomunicabilità e di schermi che si frappongono tra gli individui pretendendo di colmare le distanze ma in realtà alimentando il vuoto interiore. Sto pensando ad alcuni suoi versi in particolare, “di scatto/ alcuni riconoscono che/ è possibile anche il vuoto,/ altri si riprendono/ dopo averlo colmato.”. Come si pone riguardo al tema della connessione? L’isolamento è davvero così totale come talvolta viene prospettato?

La dimensione digitale può aver ridotto, scarnificato dal punto di vista umano, i modi di connetterci, ma può anche averli potenziati. Ogni partito sostiene la sua teoria. Mi interessa osservare come anche di fronte a uno schermo, usando i social network, possiamo essere l’uno ‘altro limite’ dell’altro, come la parte virtuale e proiettiva si intreccia con quella umana e biologica. La prima può perfezionarsi o deteriorarsi, la seconda non può essere annullata.

4. Quali sono gli autori che hanno segnato maggiormente la sua crescita emotiva e letteraria e in quale misura Le piace farli rivivere all’interno della sua produzione?

Vittorio Sereni è stato il primo autore che mi ha aperto l’idea della rappresentazione dell’esperienza in poesia, come in Un posto di vacanza, oppure nel modo in cui parla di W. C. Williams e di Seferis. Poi Wallace Stevens e Iosif Brodskij, certa tradizione dell’Est Europa e anglosassone. Tre autori di cui mi sono rimasti dentro, nella loro forza di immagini e di ritmo, alcune espressioni, alcune parole chiave sono Antonella Anedda, Milo De Angelis, Mario Benedetti

5. Leggendo le sue poesie, mi imbatto spesso in immagini che si proiettano nella mente chiare, alte, limpide, di un biancore da un lato leggero e dall’altro colmo di profonda riflessione. C’è una spiegazione a questi cieli e a tutta questa trasparenza? 

Queste immagini di limpidezza sono legate forse a una ricerca di verticalità, a come il puro e l’impuro (la verticalità e il suo contrario) possono coesistere. Nell’idea di trasparenza credo di aver trovato una via. Per descriverla uso Il grande vetro di Duchamp. Lo chiamo oggetto, dal punto di vista artistico non ne vado entusiasta. Questo oggetto possiede, secondo me, una grande affinità simbolica con la realtà delle connessioni digitali. Il grande vetro è una lastra pulita, pura, che contiene tanti elementi spuri, alcuni meccanici, alcuni onirici, incomprensibili, alcuni riconoscibili, altri deformi. Vediamo chiaramente attraverso Il grande vetro, ma restiamo impressionati o turbati degli elementi che contiene. Esso è, certo, trasparente, ma senza pacificazioni: combina puro e impuro. Per analogia ho pensato spesso all’affinità con uno schermo digitale, alla piattaforma di un social network, alla contemporaneità liquida senza ideologie, senza le ‘vecchie’ gerarchie. L’oggetto di Duchamp ha molti legami, mi pare, con diverse istallazioni o video dell’arte contemporanea, che vanno oltre il ready-made. La trasparenza per me è anche il linguaggio di un immaginario, così come la possibilità di relazioni tra puro e impuro che può contenere. Passando dall’arte visiva alla scrittura: la trasparenza si può tradurre nei contatti tra il ritmo e la lingua, nelle relazioni di campi e profondità, in testi a più piani, l’uno fluisce nell’altro. La trasparenza è una forma dialettica.

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