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Louise Glück – Un Nobel che è soffio di speranza

La poesia, abituale visitatrice delle regioni più intime dell’animo umano, mal tollera classificazioni eccessivamente rigide. Assecondando la sensibilità di ognuno si lascia plasmare e accetta pacifica di sottoporsi al giudizio variegato di quanti si avventurino nel tentativo di definirla. Uno di quelli più riusciti è sicuramente quello formulato da Salvatore Quasimodo, che si espresse così: «La poesia è la rivelazione di un sentimento che il poeta crede che sia personale e interiore, che il lettore riconosce come proprio».

Molto vicina a questa accezione suona la motivazione addotta dall’Accademia Svedese al momento della proclamazione del vincitore del Premio Nobel per la letteratura 2020. «Per la sua inconfondibile voce poetica che con austera bellezza rende l’esistenza individuale universale» è stata insignita di tale riconoscimento Louise Glück, poetessa americana e docente presso l’università di Yale (Connecticut).

Già ornata nel 1993 del Premio Pulitzer con la raccolta L’iris selvatico e ritenuta meritevole della nomina a “Poeta laureato” dieci anni dopo dalla Biblioteca del Congresso degli USA, la scrittrice statunitense ha tuttavia destato un generale stupore con la sua vittoria. Il traduttore italiano delle sue raccolte, Massimo Bacigalupo spiega che la Glück, totalmente estranea ai contenuti politici e alle logiche di una poesia corale, non figurava nemmeno tra i canditati potenzialmente fruitori della nomina. Tanto maggiore poi la meraviglia in Italia, Paese in cui la scrittrice risulta un volto scarsamente conosciuto: su dodici raccolte poetiche da lei pubblicate sino ad oggi, solamente la sopra citata L’iris selvatico e Averno godono attualmente di traduzione in lingua italiana, pubblicate, rispettivamente, da due piccole case editrici quali Giano e Dante&Descartes.

Louise Gluck nobel letteratura

La costante nelle liriche di Louise Glück è uno spiccato autobiografismo, che si traduce in rimandi alla propria infanzia e a quella dei propri figli, da cui scaturisce un frequente confronto tra la passata età giovanile e la successiva maturità. Un percorso attraverso la propria crescita personale, di cui spesso si fa metafora il riferimento al mito. Il mondo della classicità rappresenta per la Glück un serbatoio ricchissimo da cui attingere personaggi e temi, che vengono così trasportati nel teatro della modernità, in qualità di attuali, umani attori: Patroclo e Achille, Euridice e Orfeo, Eros, il tema del viaggio affrontato con l’omerica denominazione di nostos. «Euridice ritornò agli inferi. / Quello che era difficile / era il viaggio, che, / all’arrivo, è dimenticato. / La transizione / è difficile. / E muoversi tra due mondi / in modo particolare; / la tensione è molto grande» (Euridice, da Averno; trad. it. di Massimo Bacialupo) recitano alcuni suoi versi. Tutto ciò è visibile emblematicamente nella raccolta che già nel titolo reca traccia di classicità: il nome che gli antichi adoperavano per l’aldilà, Averno. Si tratta infatti della partenza, riletta in chiave contemporanea, di una figlia-Persefone per il regno dell’Ade e la conseguente ricerca di una madre-Demetra. Così i personaggi del mito divengono verosimili abitanti del XXI secolo, a loro volta personificazioni di grandi interrogativi universali quali l’opposizione Bene/Male o Vita/Morte.

Da dove viene la voce
che dice supponiamo che la guerra
sia male, che dice
supponiamo che il corpo ci abbia fatto questo,
ci abbia resi paurosi di amare –

(Lago-Cratere, da Averno; trad. it. di Massimo Bacialupo)

È proprio questo aspetto che la commissione svedese ha scelto di premiare: la capacità dell’autrice di conferire a referenti autobiografici un respiro collettivo, valorizzando così quello che è da sempre considerato il potere della scrittura poetica. Il saper offrire, tramite il medium del proprio vissuto individuale, la possibilità all’altro di (ri)conoscersi, di intravedere il proprio riflesso nel racconto di un poeta, la forma delle proprie impressioni nelle parole di un altro, la propria esperienza materializzarsi nella sua voce.

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Ulteriori ruoli attoriali che prendono vita sullo scenario delle poesie di Louise Glück sono quelli interpretati dagli elementi naturali: il gelo, la neve, i campi, la luna ecc. costituiscono i termini di paragone degli stati d’animo dell’autrice. Così la collera svanisce, sostituita dal cielo sereno del buon umore, come l’incedere dell’inverno che lentamente si fa da parte per lasciare il posto, nuovamente, alla bella stagione. Ed è proprio il tempo ciclico delle stagioni e dei mesi a scandire il ritmo delle diverse tappe del ciclo vitale, in una perfetta coincidenza tra natura e vita: l’estate con i suoi frutti e la forza dei suoi venti esprime giovinezza, energia vitale a cui si contrappone l’autunno, con il freddo e le foglie che ingialliscono, come metafora del tempo che scorre e della vita che lentamente si spegne.

Il risultato conduce a una poesia intima, affilata eppure dolce al tempo stesso, connotata da grande compostezza e limpidezza, attributi, questi due ultimi, che le hanno valso spesso l’accostamento a Emily Dickinson.

Mettendo in risalto la figura di una donna, rivalutando il valore della poesia in un’epoca di volgarità linguistica (nel senso in cui la intende Dacia Maraini nel suo commento alla Glück), dando la possibilità a una voce meno rinomata di emergere tra tante conosciute, trasmettendo l’idea di un’umanità che può ancora sentirsi unita riconoscendosi in un codice di valori condivisibili, il Nobel a Louise Glück si dimostra un riconoscimento che si spinge oltre al mero premio letterario: è un soffio di speranza.

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