Cultura

La condizione urbana

 La conferenza dell’architetto Stefano Boeri nell’ambito delle Conversazioni Pavesi: una passeggiata per le nostre città, tra verde e cemento.

Stefano Boeri è, per usare un termine caro al giornalismo degli slogan anglofili, un archistar. Professore di progettazione urbanistica al Politecnico di Milano, impegnato in politica, l’architetto milanese ci fa da guida per una passeggiata immaginaria tra le nostre città e le ferite aperte che le ammorbano.

Una limpida notte di mezza estate, agosto 2015. articolo Boeri 3.Così inizia la conferenza. Una fotografia catturata da un anonimo satellite ritrae un’Europa addormentata nel buio etereo, eppure riconoscibilissima: una galassia di luci elettriche forma grumi e sottili filamenti, congiunge metropoli e cittadine, campagne e porti, senza soluzione di continuità. Come tante piccole stelle, le luci delle città ridisegnano una mappa del vecchio continente, che dimentica confini e contraddizioni, gerarchie e conflitti. È l’Europa-città, come la definisce Boeri, una immensa distesa di metropoli e centri più piccoli che si rincorrono senza sosta da Lisbona a Helsinki, coprendo minuziosamente ogni angolo di quella mappa: «una città fatta di città». In continua estensione, a scapito del territorio naturale ed agricolo.

Boeri passa così ad una più attenta dissezione di quello che la città è stata ed è diventata: terminata l’epoca delle grandi pianificazioni urbane, che fino agli anni ’70 avevano ridisegnato le periferie per accogliere la manodopera di un paese industriale; dagli anni ’80 lo sviluppo urbano procede piuttosto per piccole trasformazioni disomogenee e spesso sconnesse dal contesto circostante. La città cresce quindi per «sussulti individuali» fatti di villette, palazzine e centri commerciali, il tutto senza coerenza con il territorio. Una «grammatica priva di sintassi», emanazione della vis individualistica che, emblematicamente (e forse troppo semplicisticamente), ha finito per caratterizzare l’immagine degli anni ottanta. Ma la crisi era inevitabile per queste «anti-città composte da monadi individuali»: l’assenza di servizi sociali, di luoghi per la cultura, di infrastrutture hanno determinato il fallimento di questo modello di non programmazione urbana, la città diffusa.

Se quindi l’Europa è essenzialmente una grande città, essa è una grande città in crisi. Il cittadino europeo, che vive in prima persona la sua vicenda umana sul proscenio cittadino, sperimenta appieno la sua nuova condizione ontologica: «la condizione urbana». Essa ci appare subito ricca di contraddizioni e di squilibri, il suo fantasma più inquietante e radicato «strutturalmente» la povertà assoluta. Boeri a tal proposito ricorda il saggio di Bernardo Secchi La città dei ricchi e la città dei poveri, che individua le responsabilità dell’urbanistica nel mantenersi ed aggravarsi delle disuguaglianze entro il confine metropolitano.

La città, nonostante appaia segnata da una profonda crisi interna, continua a crescere tenacemente: il tema dell’estensione metropolitana si intreccia profondamente con le tematiche ecologiche e agricole, e impone di riconsiderare il ruolo dell’espansione urbana in relazione con la natura. A supporto di tali preoccupazioni giunge l’enciclica Laudato sì di papa Bergoglio, che invoca una nuova presa di coscienza ambientale e che molto ha colpito l’ateo Boeri. Tra gli ispiratori delle riflessioni dell’architetto troviamo anche il pensatore americano Jeremy Rifkin e l’artista tedesco Joseph Beuys. Quest’ultimo si rese protagonista, nel 1982, di una singolare esperienza artistica: chiamato a partecipare ad una mostra di arte contemporanea nella cittadina tedesca di Kassel, l’artista decise di non presentare una scultura nel senso tradizionale del termine. Al contrario, egli dispose un imponente triangolo formato da 7.000 pietre di basalto davanti al museo locale: propose quindi ai cittadini di versare una somma di denaro per “adottare” una di quelle pietre; il denaro ottenuto sarebbe servito a piantare una quercia in città, ai cui piedi veniva posta la rispettiva pietra di basalto. A mano a mano che il deposito di pietra andava assottigliandosi, la città veniva piantumata e riceveva, si può dire, nuova linfa. Si era così giunti alla «metamorfosi dal mondo minerale a quello naturale», in piena controtendenza con l’incedere cementifero della crescita urbana.

Fatte queste premesse, seguono le proposte più o meno concrete dell’architetto milanese. Come richiamo ad architetti, urbanisti e politici per una maggiore attenzione nei confronti di un modello di urbanizzazione sostenibile, che tenga conto dell’intreccio tra ecologia, uguaglianza e sviluppo.

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Il Bosco Verticale

Ma la vera sfida proposta da Boeri è un’altra. L’architetto milanese sogna di portare la natura in città, in maniera più radicale ed incisiva di quanto non avvenga già ora. Paradigmatica di questa visione della pianificazione urbanistica è la vicenda del Bosco Verticale, complesso di due palazzi residenziali, progettato dallo studio di Boeri ed inaugurato nell’ottobre 2014 nel quartiere Isola di Milano: si tratta di due torri di 112 e 80 metri completamente immerse nella selva che prospera nei terrazzi delle abitazioni. Progetto ispirato, ammette Boeri, dal rifugio arboreo del Barone Rampante di Italo Calvino, e dalla canzone di Adriano Celentano Un albero di trenta piani, quest’ultimo autentico cantore in musica del mutamento urbano – e, da lì, antropologico – delle periferie milanesi negli anni del boom economico. A qualcosa del genere, a dire il vero, aveva già pensato la famiglia Guinigi, che nel Trecento fece erigere l’omonima torre nel centro di Lucca, collocandovi sul tetto una mezza dozzina di lecci. Un autentico bosco verticale ante litteram.

Tornando alle due torri milanesi, troviamo 850 alberi per edificio, 2 per ciascun inquilino, scelti in base ai diversi microclimi che si incontrano a seconda del piano e dell’esposizione della facciata (ad esempio i coinquilini rivolti verso nord si troveranno a convivere con specie caducifoglie, per garantire una buona illuminazione naturale durante la stagione invernale). L’opera ha richiesto una stretta collaborazione tra diverse competenze scientifiche e tecniche, segnatamente ingegneri, botanici, entomologi, esperti delle gallerie del vento. E non ha mancato di riservare qualche sorpresa: al fine di contrastare insetti pericolosi per gli alberi, sono state introdotte 9.000 coccinelle che, una volta assolto il proprio compito, hanno pensato bene di moltiplicarsi in gran misura e invadere pacificamente le terrazze dei condomini.

La sfida per Boeri è quella di estendere l’idea del bosco in città – sia esso verticale o orizzontale – , di costruire città pianificate per mantenere un legame stretto tra uomo, edifici e natura. In tal senso la città di Milano offre altri spunti per la riqualificazioni di aree ed infrastrutture, retaggio del desueto carattere industriale del capoluogo lombardo: in particolare gli scali merci ferroviari in disuso, sette in totale a Milano, rappresentano una grande opportunità di riprogettazione urbanistica. Scali merci come futuri parchi, orti e giardini, collegati tra loro dai vecchi binari ferroviari tramutati in piste ciclabili alberate.

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La Torre di Guinigi

Proprio questa riqualificazione verde costituisce, per Boeri, la questione urbana del prossimo decennio. Molto più che la costruzione ex nihilo, la sfida sarà quella di dare nuova vita a costruzioni e spazi che non ne hanno più, arrestando così il consumo del territorio e rendendo più gradevole la vita all’interno dei confini urbani. Quanto questo nuovo costruire possa essere sostenibile economicamente – e quindi “esportabile” anche in paesi meno ricchi, dove la questione urbana si fa sentire con maggiore violenza, tanto maggiori sono le sacche di povertà che essa determina – dipenderà dallo sviluppo delle tecnologie e dalla volontà della classe dirigente. Ma sta sicuramente a tutti noi auspicare e pretendere città più vivibili e attente all’ambiente, perché come ha detto l’architetto inglese Richard Rogers «non si può pensare un’architettura senza pensare alla gente».

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