BirdmenCinema

Le Recensiony | Money Monster

Se dovessi paragonarlo ad una giornata questo film sarebbe quella volta in cui ti metti a guardare una simpatica seduta del Parlamento e ad un certo punto salta su un pentastellato e la discussione finisce in caciara. Ed è più o meno quello che succede nel film.

Il “giornalista” George Clooney Lee Gates è il presentatore di Money Monster, da cui il titolo del film, è un mattatore che cerca di rendere l’economia comprensibile al grande pubblico. Uno scopo di un certo valore, onorevole si direbbe. Finchè non si cade nelle semplificazioni a “Le Iene”.

Ma il programma di Italia 1 ha il pregio, se così vogliamo definirlo, di far solo perdere tempo, mentre lo show della pellicola è un vero e proprio faro per gli spettatori che, fidandosi del conduttore, investono cifre importanti.

Ci vengono presentati vari personaggi, tra cui il già citato Gates che è sopra le righe, saccente, competente nel suo ruolo di showman ma quasi stereotipo di questa figura così piena di sé; la regia, interpretata da Giulia Roberts, che decide di lasciare il posto dopo anni, ma non confessa l’arcano al suo collega storico, lo stesso Gates; troviamo la PR di un’importante azienda quotata in borsa, interpretata da Caitriona Balfe; il ricco magnate vagabondo e Gus Fring Giancarlo Esposito nei panni del Capitano di polizia Marcus Powell. Per finire c’è colui che muove il film, colui che in Parlamento si alza e con la scatoletta di tonno vuole far capire quanto fa sul serio.

Solo che la scatoletta qui è un giubbotto carico di esplosivo.

Grazie ad una scaltra sicurezza Kyle Budwell riesce ad entrare negli studi durante la diretta, fa indossare il già citato smanicato-bomba (alla faccia del bomber dei paninari) e tenendo la pistola in mano, prende le redini del programma.

Quello che vuole sono risposte, non capisce cosa sia quello che tutti chiamano “glitch”, l’errore che nessuno sa come, ma che ha fatto sparire 800 milioni di dollari, tra i quali c’erano i suoi sessantamila. Il presentatore cerca di prendere tempo, mentre la regia cerca di contattare l’azienda responsabile dell’accaduto. Si comincia a formare una bozza di trama che però non sboccia mai. C’è un intrigo, addirittura intercontinentale. Ma è fin troppo semplicistico, tanto che un piano idealmente complesso viene smascherato in poche ore.

Sempre on air, Kyle e Lee in qualche modo si conosco, si crea una certa forma di comprensione, si mettono a confronto accennando finalmente un ragionamento sensato: siamo tutti nella m****, ma non per questo andiamo a fare stragi. È sostanzialmente questo il messaggio che vuol far intendere il nostro presentatore al giovane. Ma la vera batosta morale arriverà solo con la comparsa della compagna incinta che ci rivelerà qualche verità che ci farà rivalutare il paladino che fino a poco prima sembrava senza macchia.

Qualcuno ha detto Pizzarotti? No? Ok.

Negli studi ormai circondati dalle forze dell’ordine, Gates si accorge che forse qualcosa effettivamente non è andato come doveva, che nell’algoritmo che gestisce quelle quotazioni qualcosa non ha funzionato come ci si aspettava. Non per colpa dei numeri però.

Il ritmo incalza, ci si sposta per le strade dove la gente si riversa urlante non contro il terrorista, bensi in suo favore. “Fagli vedere a quegli…”.

Si arriva al faccia a faccia con il manipolatore grazie all’aiuto fornito dalla sua amante/PR dell’azienda. Come nelle migliori favole, il cattivo minacciato rivela il suo piano malvagio ammettendo di aver sbagliato. Ma la minaccia non esisteva seriamente e quindi, quello che prima era un criminale ma ora un eroe, il nostro Kyle, non ha più peso contrattuale in questo scambio e quindi esce di scena. Lee si rende conto che non era quello con la pistola il vero mostro e non può che star male per questo. Ma questa non è l’unica cosa che scopre. In qualche modo capisce cos’è il vero giornalismo, decisamente non quello che faceva prima. Riscopre poi i rapporti umani e si riavvicina alla sua collega della regia. In qualche modo, ai fini della trama, questo evento diviene utile al personaggio per crescere.

In sintesi. È un film con una certa dinamica nella trama, non ci si annoia realmente. Ma basta soffermarsi a pensare minimamente a quel che sta accadendo in scena per dirsi “hey un attimo, c’è qualcosa che non va”. Quel qualcosa è l’estrema semplificazione della questione, dell’economia, del mondo. E qui mi sorge un dubbio. Forse possiamo vederla come favola moderna. Quello che sembrava buono è cattivo. Quello che prima era cattivo, scopre di essere buono. Quello che sembrava cattivo è in realtà l’eroe che scopre il marcio. In quest’ottica metaforica forse si riesce a scorgere un motivo valido per apprezzare la pellicola. Per il resto, è come la metafora sul partito fatto in apertura. Possono esserci mille idee, cento delle quali buone, dieci delle quali ottime. Ma se poi non si riesce a realizzare neanche una di queste, come il film non porta nulla di concreto in scena, si rischia solo di fare caciara, di semplificare eccessivamente un mondo complesso, di dare a tutti la possibilità di dire la propria come se tutti ne avessimo le competenze. Serve solo a fomentare chi sta guardando, ma si rischia di creare dei mostri. 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *