BirdmenCinema

Wonder Woman è il miglior prodotto DC/Warner, ma c’è poco da andarne fieri.

«Se esiste un singolo fattore che garantisca il successo nella vita, è la capacità di trarre dividendi dalla sconfitta».

Questa frase di William Moulton Marston – psicologo americano al quale il mondo deve l’invenzione della macchina della verità – riassume bene il lavoro compiuto da Warner Bros e Patty Jenkins. Prendendo quanto di meglio è stato fatto finora nei film nel DCEU (DC Extended Universe), la Jenkins ha confezionato un film tutt’altro che perfetto, ma capace di riaccendere un barlume di speranza nei cuori dei fan  DC. Cuori duramente messi alla prova – finora – da film confusi, esagerati e fallimentari.

La storia, ripresa in parte dal riavvio delle origini del personaggio dopo Crisi su Terre Infinite del 1985, si svolge durante la Prima Guerra Mondiale. Diana, principessa delle amazzoni, vive, insieme a mamma, zia e molte sorelle, sull’Isola Paradiso di Themiscyra. È un’esistenza beata la sua – e come potrebbe essere altrimenti? – dato che la sua casa assomiglia non poco alla nostra bellissima Matera, città dove sono state girate tutte le scene ambientate sull’isola. Quando però Steve Trevor, pilota e spia americana, precipita al largo dell’isola, Diana entra in contatto con un mondo esterno grigio e crudele, di cui non sospettava l’esistenza. Armata di spada, scudo, lazo della verità e del suo cieco idealismo, Diana attraversa i campi, o meglio il campo, di battaglia del Belgio, per portare a termine una missione super segreta, super importante e super chiassosa. Assieme al piatto principale, che sono Diana e Steve e la loro convincente relazione di incontro/scontro sul piano etico e pratico, contorna le vicende uno sparuto gruppo di personaggi secondari dal dubbio effetto comico. Passi Saïd Taghmaoui e il suo personaggio che ricorda Simon Helberg e il suo Howard Wollowitz nella chimica di gruppo. Ma gli altri sono tutti più che dimenticabili. Chi invece non può proprio essere dimenticata è una irriconoscibile Lucy Davis nei panni di Etta Candy. Poco ma memorabile il suo tempo sullo schermo. Come invece accade sempre più spesso nei cinefumetti a tema supereroi, gli antagonisti sono fiacchi, scialbi, privi di una personalità convincente. Danny Huston, nei panni dello storicamente esistito generale Erich Ludendorff, è totalmente sprecato, mentre il personaggio di Elena Anaya è un gradevole tributo un po’ kitsch alla Golden Age, ma niente di più.

Tuttavia, sono parecchie le buone idee in questa pellicola: Patty Jenkins recupera la fotografia sfumata che aveva caratterizzato, nel bene o nel male, L’uomo d’Acciaio (2013), la simbologia cristiano-pagana di Batman v Superman (2016) e i momenti tra il comico e il grottesco di Suicide Squad (2016). Insomma, per citare nuovamente Marston, fa dividendi dai fallimenti e li rinveste molto bene. Gal Gadot è nata per il ruolo e lo interpreta con una tale passione che siamo sicuri condividerà lo stesso destino di Robert Downey Junior o Hugh Jackman a livello professionale. Non ugualmente appagante, ma comunque convincente, è Chris Pine nei panni di Trevor. È il classico bellimbusto americano dalla faccia pulita, ma il rapporto che instaura con la protagonista è ciò che rende il film degno di essere visto.

Qualcuno però insegni alla Warner Bros come fare dei buoni finali. Poiché non se ne può più di scontri fracassoni e mostri fantasy fatti di sola CGI. Sarà la maledizione della Warner Bros o forse solo l’ennesimo sintomo del complesso di inferiorità della DC verso la Marvel, ma la battaglia finale è un replay di quanto già visto nei due film precedenti del DCEU. Per il resto, Wonder Woman è un film piacevole, scorrevole, che forse avrebbe dovuto osare un po’ di più, ma comunque ben equilibrato e pure genuinamente emozionante in alcuni punti. Forse, e dico forse, se questo film fosse stata la pietra angolare dell’Universo Cinematografico DC, o se soltanto fosse uscito qualche anno fa, magari al posto dei suoi predecessori Elektra e Catwoman, avrebbe guadagnato qualche punto in più. Invece così Wonder Woman è solo un buon film che ha però il brutto difetto di essere in ritardo sui tempi, un po’ a causa della mastodontica e ben rodata macchina Marvel, un po’ per la scarsa lungimiranza Warner Bros. Ed è un peccato, perché si parla di un film il cui merito principale non è quello di rinnovare il genere super eroico, ma di offrire una parvenza di direzione a una maxi-saga sperduta e confusa. Pazienza. Speriamo che i buoni propositi avanzati da questo film siano sufficienti a chiarire le idee ai piani alti della produzione. Sempre Marston diceva «Realizza ciò che vuoi veramente. Ti impedisce di inseguire le farfalle e ti fa lavorare per trovare l’oro». Saggio il dottore. Non a caso, era egli, fra le altre cose, il creatore di Wonder Woman.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *