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Le Recensiony | La ragazza del bagno pubblico

Se dovessi paragonarlo ad una giornata, questo film sarebbe il dormiveglia: che ci faccio alle due di notte, a letto, col pc a guardare film inglesi degli anni ’70? Non lo so, ma sono mezzo addormentato e quindi non mi pongo queste domande.

Per la regia di Jerzy Skolimowski, La ragazza del bagno pubblico (Deep end, in originale) è un film del 1970 con una trama non troppo arzigogolata e facile da seguire, anche se sembra che tutto accada un po’ a caso. Un quindicenne lascia la scuola, o così sembra, e trova lavoro in un bagno pubblico dove, tra avances di signore allupate e mance da dieci scellini per volta, conosce Susan: una ragazza che definirebbero provocante; dico “definirebbero” per evitarmi le ire femministe, nonostante le femministe abbiano di che pensare guardando questo film. Ma ci torneremo.

Il nostro Mike si innamora; Susan è fidanzata con un buon partito nonostante continui ad essere un tantino libertina. Il ragazzino si fa sempre più morboso, il professore di ginnastica è sempre più ambiguo con le sue studentesse minorenni, la palpata al cinema, il poliziotto corrotto con un gin tonic, il cartonato rubato da uno strip club, le ruote bucate, il diamante smarrito e…

Non avete capito? Bene, perché la regia, benché molto più dilatata di questa lista di fatti, segue il punto di vista di un ragazzino – confuso e geloso – che, irrequieto, spia la sua amata, probabilmente la sua prima vera cotta. Ci sono momenti dove l’azione sta ferma in un luogo per svariato tempo, ma succedono cose dal dubbio significato, come quando allo strip club/bordello Mike comincia a comprare hot dog a non finire, li offre a due ragazze a caso, stando per ore in agguato. Mentre altre scene si dimostrano più dinamiche, si muovono e marcano ancora una volta il nervosismo di un adolescente che non sa stare fermo, soprattutto quando nei paraggi c’è Susan. Ma la cosa che più spiazza è come tutti vogliano sostanzialmente fornicare. Chicchessia, di qualsivoglia età, lancia occhiatine malandrine al nostro Mike dalla faccia pulita e gentile, come anche alla più lasciva Susan, più grande del ragazzo, ma comunque molto giovane. È un bel contrasto con la descrizione di un’Inghilterra a cavallo fra gli anni ’60 e ’70 che, da una parte, deve fare ancora i conti con i lasciti di un passato in cui molte regole erano abbozzate, e, dall’altro, emerge quella libertà moderna di far quel che si vuole senza troppe preoccupazioni. Altro contrasto è dato da quella sessualità viva e pulsante, che si scontra con la realtà che gira per le strade per cui tutti fingono di farsi gli affari propri, nessuno alza lo sguardo anche nei momenti più particolari. Banalmente la scena della metropolitana rifatta nella stazione Toledo di Napoli avrebbe dato vita ad un passaparola tra le vrenzole partenopee che non finiva più. Lì, su l’underground inglese invece sembra che tutti siano troppo presi dal giornale per potersi accorgere di un tizio che sbraita contro una ragazza tenendo in mano un cartonato ignudo. Ma sono inglesi…

Come accennavo,  forse, una chiave di lettura che oggi, col senno di poi, gli possiamo dare sarebbe: la donna, in questo caso Susan, è sostanzialmente un bel corpo che gli uomini vogliono usare, e lei talvolta sembra anche concedersi per una sorta di pietà mista a ricerca di accettazione maschile. Notare come questo comportamento viene mantenuto anche nei confronti di Mike che, di contro, ha la forza di scollarselo di dosso perché, appunto, quella parte non è scritta nel copione dei comportamenti sociali di un uomo; leggasi: la donna si sente in dovere di compiacere l’uomo, ma non viceversa.

La recitazione è inglese e lo si capisce ancora prima che aprano la bocca e mostrino non l’accento british, ma i denti anneriti (stereotipo che si dimostra realistico, ma solo nella figura del padrone del bagno). I colori sono come sempre caldi, tipici del loro cinema e tv; le scelte di regia ci sono e sono comunicativamente azzeccate. La telecamera segue sempre da vicino i movimenti di Mike che salta, corre, sale su un muretto. Ma il colpo di classe, che oggi sembra già visto ma dobbiamo ricordarci di che anni è il film, lo si vede sul finire della pellicola: una lampada che oscilla avanti e indietro illuminando in maniera diversa i personaggi mentre un barattolo di vernice cade a terra sporcando tutto quello che incontra. Una metafora che continua e si conclude con un parallelismo finale tra l’abbraccio di fantasia tra Mike e il cartonato e, poi, quello reale tra Mike e un altrettanto rigida Susan.

Film che si lascia guardare volentieri, anche per la sua breve durata di 88 minuti. Non ci si annoia mai e ci si continua a fare domande su cosa stia succedendo e sul perché stia succedendo. Se non mi credete, vi dico solo che David Lynch sostiene che sia uno dei pochi film a colori che apprezza. Magari a molti non dice nulla questo fatto, ma il signorino qui sopra è il tizio che mette in scena conigli antropomorfi e inquietanti. Di stravaganza, se così vogliamo definirla, forse ne sa qualcosa. E ancora, è bello notare la diversa concezione dell’età nella società e nel cinema. Oggi un quindicenne è poco più di un ragazzino e così viene rappresentato anche su pellicola; ieri invece era quasi un uomo e nessuno si faceva troppe domande su di lui. Per finire, interessante vedere i tratti caratteristici della cultura inglese e ragionare sul come sono cambiati e nel contempo sul come sembra che oggi ci si stia livellando tutti più o meno allo stesso costume. Molte di quelle caratteristiche tipiche, oggi, e non lo dico in senso negativo, non si noterebbero e, anzi, probabilmente staremmo a guardare più le analogie tra noi, i protagonisti e la realtà che li circonda.

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