4 mesi, 3 settimane, 2 giorni
Dopo Iñarritu – e in attesa della rassegna su David Lynch – prosegue a Radio Aut il cineforum del giovedì sera; l’ultimo appuntamento è stato organizzato e diretto dalle ragazze del Collettivo femminista Il secondo sesso, le quali ci hanno proposto la visione di 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni, film di Cristian Mungiu (2007). Noi di Birdmen non ce lo siamo perso.
In questa pellicola – Palma d’oro a Cannes – il regista rumeno affronta la tematica spinosa di come era possibile portare a termine un aborto clandestino, negli anni del regime di Ceausescu. La vicenda, infatti, è ambientata a Bucarest nel 1987. Ci troviamo all’interno di una Casa dello studente; due ragazze, che condividono la stanza, si stanno preparando per qualcosa che devono fare quel giorno. Non sappiamo ancora che cosa. Tuttavia, dopo pochi minuti, ascoltando i primi dialoghi, osservando i loro gesti inquieti, lentamente, sentiamo crescere in noi la stessa ansia, la paura, la disperazione che provano le due giovani. Quasi una tragedia moderna, che rispetta perfettamente le tre unità aristoteliche: Gabita ha deciso di abortire e Otilia sarà la sua complice in quella che si rivelerà essere una vera e propria impresa; di ventiquattro ore, dopo le quali nessuna delle due sarà più la stessa.
Se è la prima ad aver commesso l’ “errore”, la vera protagonista della vicenda è l’amica, l’unica a esporsi in prima persona nel contattare il medico che ha acconsentito a praticare l’interruzione della gravidanza in una squallida stanza di un albergo, la stessa dove sarà costretta a sottostare alle condizioni dell’uomo, compensando col proprio corpo la scarsezza del denaro che le due hanno racimolato per pagarlo. È lei che, immedesimandosi nella situazione di Gabita, mette in discussione il rapporto con il fidanzato; è lei che, alla fine, dovrà occuparsi del destino ultimo di quella vita interrotta. Agghiacciante è lo sguardo che, attraverso una vetrina, Otilia pianta nei nostri occhi di spettatori. È distrutta. E è sola.
L’atmosfera è così cupa, opprimente, che si avrebbe l’impressione (o il desiderio?) di trovarsi di fronte ad un incubo, dal quale è possibile svegliarsi. Ma non è così. L’odissea delle due donne viene rappresentata da Mungiu attraverso un realismo assoluto, duro, spietato. Il regista descrive l’ambiente attraverso inquadrature molto accurate: fondamentale è il ruolo simbolico degli interni, ingombri di oggetti, claustrofobici, opprimenti. Sapientissimo l’uso del montaggio che favorisce la completa empatia con le protagoniste. Emblematico il caso della scena della cena di compleanno, dove il piano sequenza si rivela tanto intenso quanto (quasi) insostenibile. Oppure, come non provare la stessa inquietudine di Otilia, mentre di notte vaga per la città, pedinata dalla camera mobile?
Come forse avrete intuito, gli uomini non fanno una gran bella figura in questo film: il ragazzo di Otilia dice di amarla ma in fondo pensa solo a se stesso, il medico obbliga le due ragazze a uno stupro consenziente, il padre del bambino di Gabita è assente. Le protagoniste si trovano immerse in una società regolata dalle leggi imposte loro dagli uomini, quelle ufficiali (rischiano la prigione per quello che vogliono fare) ma, soprattutto, quelle non scritte, che le costringono a sottostare al ricatto psicologico e all’umiliazione.
A fine proiezione una della ragazze del Collettivo ha esordito con una domanda provocatoria: è questo un film contro l’aborto? In effetti, nella Repubblica socialista di Romania, l’aborto era illegale sulla base di motivazioni puramente economiche, inerenti la politica demografica del paese. Infatti, Gabita non pare, fino alla fine, provare qualcosa che somigli vagamente al rimorso, né qualche segno di ripensamento: ha paura, certo, per sé e per l’amica, potrebbero arrestarle o, peggio, potrebbe non funzionare… Tutti erano d’accordo, quindi, che si trattasse di un film contro l’aborto clandestino. Dopo poco, il discorso, ovviamente, si è allargato, andando a toccare, in modo particolare, l’ambito della nostra situazione italiana. Si è allora discusso di etica, religione, diritto alla vita, obiezione di coscienza… Tematiche importanti e che spesso faticano a trovare una comunanza di opinione e di vedute. (Per fortuna le ragazze avevano portato un sacco di cioccolatini per tirarci su il morale!).
Film che mi ha colpito profondamente, anche e soprattutto in quanto donna. Perché, ragazze, diciamocelo, essere donna non è semplice, anche se siamo nel 2016 e non sotto regime. Un grazie al Collettivo femminista, dunque, per la serata e per tutto quello che fanno. Brave!