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#WildWest – 3 • Età aurea: “Mezzogiorno di fuoco” e “I Magnifici Sette”

#WildWest • Il Cinema Western passo passo, nella rubrica di Samuele Badino. 3° episodio. Due pilastri a confronto: Mezzogiorno di fuoco, critico e personale, e I Magnifici Sette, una parata di pistoleri all’americana. Clicca qui per scoprire tutti gli articoli.


Dopo esserci occupati dei grandi film degli anni trenta e quaranta di John Ford (clicca qui per approfondire), nome legato a filo doppio col nostro genere, ci affacciamo sul nuovo decennio con un regista che invece di Western si è occupato solo una volta, lasciando però un segno indelebile e lo chiudiamo con uno dei classici più famosi. Parliamo da un lato di Fred Zinnemann, e del suo Mezzogiorno di fuoco (High Noon – 1952), dall’altro de I Magnifici Sette (The Magnificent Seven – 1960).


Mezzogiorno di fuoco (1952)


La modalità narrativa adottata è del tutto inedita per il genere: il tempo espositivo della pellicola coincide con quello reale, e racconta gli eventi dalle undici meno venti fino, appunto, al Mezzogiorno di fuoco; ovvero, dalle nozze tra lo sceriffo dimissionario Willy Kane (Gary Cooper) e la bella e giovane Amy Fowler (Grace Kelly), fino all’arrivo del treno di mezzogiorno con cui giungerà Frank Miller (Ian MacDonald), noto a tutta la città di Hadlyville ma misterioso allo spettatore, che scoprirà di lui solo nel corso della pellicola. Zinneman rimarca continuamente il progressivo avvicinamento della minaccia portata dal bandito con frequenti inquadrature di orologi, imprimendo con forza nello spettatore riferimenti all’inesorabile scorrere dei minuti. Il senso di crescente tensione e intensa inquietudine provocati raggiungono agilmente e con rapidità il proprio scopo: l’empatia nei confronti del protagonista, completamente solo nella sua sfiancante attesa non fosse per lo spettatore, impossibilitato però a porgergli aiuto.3 - High noon 2

Nei panni del coraggioso sceriffo, pieno di senso del dovere, Gary Cooper regala l’interpretazione più riuscita della sua fortunata e mirabile carriera, e si porta a casa il suo secondo Oscar, incarnando uno degli eroi più intensi e sofferti di tutta l’epopea Western, fatto di sguardi malinconici ed espressioni severe ma ricche di sincero, palpabile timore. La critica alla società americana contemporanea, dominata da un dilagante maccartismo, è una 3 - High noon 3lampante denuncia del clima di spionaggio, controspionaggio e caccia alle streghe che aveva invaso persino Hollywood; critica inasprita dallo scoprire, non senza un certo sgomento, che la vera minaccia non arriva dall’esterno (banditi o Russi che siano), ma dalla società stessa, impersonata sullo schermo dai vili e miserabili cittadini di Hadleyville – che per paura o convenienza abbandonano Kane al proprio destino – e sempre in quest’ottica va intesa la scelta dello sceneggiatore Carl Foreman spesso criticata di caratterizzare i personaggi secondari in maniera piuttosto abbozzata, fatto che ne mette in risalto la pochezza morale e lo squallore d’animo. A spiccare in questa miseria è dunque la moglie Amy Fowler, che abbandona progressivamente il candore tipico delle eroine Western per supportare il marito. A far splendere ancor più questo personaggio è la ventitreenne Grace Kelly – alla sua seconda apparizione sullo schermo ma al suo primo ruolo da protagonista –, che proprio a questo film deve l’inizio dei suoi successi, da Hitchcock fino all’Oscar. Ma ancor più notevole per la nostra rubrica il piccolo ruolo nel numero dei banditi assegnato ad un giovanissimo Lee Van Cleef, divenuto poi famoso come il volto de il Cattivo nel film del 1966, Il Buono, il Brutto e il Cattivo (clicca qui per approfondire).

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I Magnifici sette  (1960)


Se High Noon lancia – in qualche modo – Lee Van Cleef nel mondo del Western, ne I Magnifici Sette si fa l’incontro con un altro volto che acquisirà notorietà negli anni a venire, quello di Eli Wallach, attore che diverrà poi uno dei più talentuosi caratteristi attivi nel Cinema hollywoodiano, oltre che l’indimenticabile fisionomia de il Brutto, sempre nel film di Sergio Leone (clicca qui per approfondire).

Ed è proprio il personaggio interpretato da Wallach, il bandito Calvera, ad essere il perno centrale di questa pellicola di John Sturges, altrimenti pallida imitazione de I Sette Samurai di Akira Kurosawa. Da una parte avevamo il Giappone del XVI secolo, dall’altra un luogo imprecisato del confine tra Messico e USA. Da ambo le parti i contadini si rivolgono a uomini d’arme, offrendo una magra ricompensa, per contrastare la minaccia dei banditi, che periodicamente saccheggiano il villaggio lasciandoli miseri e affamati. L’impianto è pressoché identico, i personaggi sono perfino gli stessi:

•  il capo, calvo, astuto e coraggioso (che sia Takashi Shimura nei panni del samurai Kambei o il pistolero Chris di Yul Brynner);

•  il vecchio amico, simpatico e fatalista (Minoru Chiaki o Brad Dexter);

•  il taciturno ma abilissimo con le armi (Kyuzo o Britt, interpretato da James Coburn);

•  il nervoso (Rikichi da una parte e il Lee di Robert Vaughn dall’altra);

•  il guerriero impoverito che per campare spacca la legna (un indimenticabile Charles Bronson nella versione americana).

3 - magnificent seven 1 Il remake si prende qualche libertà su due soli dei sette: la figura del buffone, istrionico e ubriacone, in cerca di redenzione dalla sua condizione di nascita – il figlio di contadini Kikuchiyo, che Kurosawa affidò al suo beniamino Toshiro Mifune – viene unita a quella del giovane in cerca di gloria e onore – Isao Kimura nei panni di Katsushiro – nel mezzosangue indiano Chico – interpretato dal debuttante Horst Buchholz –, lasciando così spazio libero per Steve McQueen, per cui questo film fu un vero e proprio trampolino di lancio, nel ruolo del braccio destro del capo, laconico e beffardo.

3 - magnificent seven 2Ma dove Sturges sa innovare è nel dare lo spazio che Kurosawa aveva negato al bandito, Eli Wallach, che qui ha un volto, una voce e un suo codice d’onore: ruba per mantenere i suoi uomini, che per lui sono come dei figli, lasciando nei villaggi che depreda il necessario perché non muoiano di fame. Suoi i momenti più intensi e le battute più memorabili, insieme alle parole di Brynner: «Mi avevano offerto molto per il mio lavoro, ma mai tutto», manifesto del film, e al finale, ripreso identico da I Sette Samurai, per cui mi affido alle parole del critico Morando Morandini: «Il film si chiude su una nota di virile malinconia: noi samurai – dice Kambei – siamo come il vento che passa veloce sulla terra, ma la terra rimane e appartiene ai contadini. Anche questa volta siamo stati noi i vinti; i veri vincitori sono loro».

Elmer Bernstein firma la colonna sonora probabilmente più iconica e famosa del genere (prima dell’avvento dell’era Leone-Morricone, beninteso – clicca qui per approfondire), sfondo di uno dei classici più amati, la cui parata dei protagonisti ispirerà tutti da qui in poi, con esiti quasi mai così felici.3 - magnificent seven 3


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